La crisi della Pallacanestro Varese ha un malessere profondo, molto più di quanto la “banalità” dell’evidenza possa mostrare ogni singola domenica dall’inizio di questa stagione ad oggi.
Un malessere profondo figlio dell’incapacità di questa squadra di realizzarsi in un sistema di gioco troppo legato ai numeri e poco all’essenza, davvero concreta, degli interpreti che ogni giorno lo devono mettere in pratica.
Un malessere figlio di scelte sul mercato rivelatesi sbagliate, da quella di puntare tutto su un Nico Mannion rimasto a Varese non per volontà ma per mancanza di alternative e non a caso, alla prima occasione buona, il Red Mamba la barca varesina ha deciso di abbandonarla senza pensarci due volte; a quella di non intervenire dopo il caso Okeke, tagliando una delle 3 ali per puntare su un lungo che potesse dare tempo e modo di crescere a Kao senza fretta; ad una linea comunicativa degli attori principali, dal coach ai GM, fin troppo avventata, sbandierando la difesa come caratteristica principale di un gruppo che sta riscrivendo tutti i record negativi a livello di punti subiti, parlando di playoff per una squadra che prima di tutto deve pensare a trovare la propria vera identità per salvare la pelle in un campionato sempre più competitivo.
La crisi biancorossa non è solo figlia di questioni meramente tecnico-tattiche, ormai sotto gli occhi di tutti, quanto, da domenica contro Trieste si è scoperta essere anche caratteriale, con la squadra apparsa arrendevole e rassegnata solo dopo pochi minuti di gioco. Una squadra in enorme difficoltà e che fatica a recepire i segnali chiari e diretti del suo allenatore che si sforza ogni settimana di far centrare il focus del problema ad un gruppo che però, in maniera evidente, non riesce ad arrivare alla soluzione di questa problematica. Una crisi identitaria di un gruppo che la sua vera forma non l’ha ancora trovata.
Così l’unica soluzione plausibile è la rivoluzione di novembre, a cui è chiamata la società, per far sì di cambiare il corso di una stagione ancora tutta da giocare, a patto che non si perda altro tempo nel fermare un’emorragia che settimana dopo settimana fa perdere sangue (ovvero punti) ad un gruppo ferito che ha bisogno di un’incerottata bella pesante per tornare a combattere per la propria salvezza.
Alessandro Burin