
Il caso di Collegno è tristemente balzato agli onori della cronaca non per il lato sportivo ma per ciò che ha fatto seguito al fischio finale di Carmagnola-Volpiano Pianese, match tra Under14 del 45° Superoscar (storico torneo torinese): un episodio di campo è sfociato in una rissa tra due tredicenni, cui si sono poi aggiunti compagni, dirigenti e genitori. A scatenare il tutto il portiere del Volpiano che, dopo la sconfitta, come si legge sul referto del Giudice Sportivo: “…assumeva una condotta violenta ed antisportiva innescando una rissa e colpendo con manate e pugni il fianco e la schiena di un giocatore avversario, steso sul terreno di gioco. Condotta, questa, che dava adito ad un ulteriore atto di violenza posto in essere da soggetto non presente in distinta, che entrava arbitrariamente ed indebitamente sul terreno di gioco”.
L’evento, diffuso inizialmente in versione incompleta, è fin da subito stato strumentalizzato portando alla creazione di due fazioni: i “pro-portiere” e i “pro-genitore”. Aspetto di per sé agghiacciante, anche solo da pensare poiché non si tratta solo di un brutto episodio che implica una problematica educativa a livello sportivo, ma sfocia in situazioni valutabili in ambito civile e penale travalicando il concetto sportivo. Pertanto, la riflessione che un episodio del genere dovrebbe portare è tutt’altra: quanto si lavora sulla prevenzione? La risposta di primo impatto è “Non abbastanza”. Affermazione tuttavia indecorosa per chi invece investe tempo, risorse e denaro al fine di garantire la miglior condotta possibile da parte dei suoi tesserati e dei rispettivi genitori.
I fatti di Carmagnola ci portano inevitabilmente ad aprire una riflessione in merito e, per farlo, abbiamo contattato un esperto del settore. Pierluigi Cazzulo, direttore delle Academy della Varesina e scouting in Attività di Base, è anche il Delegato alla Tutela dei Minori della società rossoblù e non ha dubbi nel collegare quanto successo a Collegno con una grave problematica generale: “L’esasperazione dei genitori è diventata così alta che finisce per trasferirsi in un atteggiamento aggressivo sul campo anche da parte dei bambini e dei ragazzi: spesso ci si dimentica che prima di tutto i ragazzini debbano crescere come uomini e l’essere calciatore sia un qualcosa in più. L’ossessione del risultato e della vittoria, quando esistono invece situazioni molto più gravi a livello italiano e internazionale, evidenzia l’esistenza di un problema sociologico ed educativo”.
In provincia di Varese, la Varesina è stata la prima realtà, ora ce ne sono nove, a diventare società Elite di Terzo Livello (parametri FIGC che vanno a riconoscere un elevato standard organizzativo e qualitativo del proprio Settore Giovanile) e lo ha fatto due anni fa proprio dopo la predisposizione della Policy sulla Tutela dei Minori (*in basso in versione integrale) che è stata accettata dalla Federazione al pari delle policy dei club professionisti. L’elaborazione complessa è stata redatta proprio da Cazzulo e viene ridiscussa ed aggiornata con i responsabili del Settore Giovanile e ad altri membri della società con comprovata esperienza in ambito psico-pedagogico. Tale documento parte dalle normative basilari condivise dalla FIGC e permette di spaziare in diverse direzioni, rispecchiando la visione della società guidata dalla famiglia Di Caro.

“Una policy mirata – prosegue Cazzulo –, come un vestito ad personam modellato da un sarto, potrebbe essere uno strumento utile per tutte le società come deterrente ad episodi come quello accaduto. Sarebbe opportuno anche partire dalle normative standard che dal 2024 la FIGC richiede. Faccio alcuni esempi: compagni istruiti in caso di eccessiva aggressività di gioco, dirigenti e staff tecnici pronti a intervenire, sono alcuni strumenti di prevenzione. Resta vero che la situazione del momento sia sempre nuova e difficile da gestire: le fondamenta poggiano sull’educazione allo Sport e al giuoco del calcio che noi dobbiamo infondere alle nuove leve”.
La policy della Varesina prevede i codici di condotta che tesserati, dirigenti e genitori devono seguire al fine di evitare situazioni di violenza fisica e psicologica come abusi, bullismo e, in generale, azioni negative che possano andare a compromettere la crescita e la tutela dei giovani. Ogni anno la società tiene almeno due corsi, gestiti proprio dal Delegato alla Tutela dei Minori, legati a tematiche quali bullismo, cyberbullismo, modalità di comportamento durante le trasferte etc. Cazzulo è certo che sia Carmagnola sia Volpiano Pianese abbiano a loro volta investito sulla prevenzione, ma l’episodio si ricollega al discorso precedente circa la necessità di risolvere a monte la problematica sociologica ed educativa.
“Le categorie U14/U15 – aggiunge Cazzulo – rappresentano un passaggio di crescita molto delicato. Il bambino è ora un adolescente, attraversa una fase centrale di presa di coscienza di chi è e vorrà essere, ma ha inevitabilmente bisogno di esempi e guide. Se ad un errore di un ragazzino, come in questo frangente, aggiungiamo i nostri da adulti, moltiplicando le reazioni, il trauma si raddoppia e non diventa formativo“.
Pertanto, cosa lascia l’evento di Collegno? “Tanta amarezza – risponde senza esitazione il dirigente rossoblù – anche se è doveroso sottolineare che episodi del genere capitino troppo frequentemente sui campi: in questo caso c’è stata una risonanza mediatica importante. Il problema è proprio il discorso legato alla pressione e alla voglia di vincere da parte dei genitori, quando un bambino dovrebbe in primis esser lasciato libero di crescere e divertirsi: questo è il vero cambiamento che ho percepito nel mondo del calcio. Non credo sia un caso che l’Italia stia vivendo anni difficili a livello calcistico, mentre in altre discipline stiamo raggiungendo risultati importanti: bisogna che gli adulti e l’ambiente frenino la propria esaltazione perché, come abbiamo visto, è un attimo vederla sfociare dalla concitazione sportiva alla violenza”.
La chiosa di Pierluigi Cazzulo apre la riflessione più importante: “Faccio un appello a madri e padri che vediamo sempre più focalizzati sul successo dei ragazzini come atleti nel calcio: il vero obiettivo è che i Vostri piccoli diventino uomini, responsabili per sé stessi e nei gruppi di gioco e lavoro dove vivranno. Li state davvero educando o siete i primi loro tifosi/sponsor, impegnati a cancellare le problematiche che incontrano? Presidi, Direttori, sono da incalzare con metodi subdoli per contestare insegnanti o allenatori, creando la Vostra rivalsa personale? I “NO” ricevuti dalla vita sono spesso più formativi dei “SÌ” di comprensione ad ogni costo. Ma state facendo davvero il loro interesse formativo?”
Matteo Carraro