L’uomo del momento in casa Varese? Macché. Al netto di splendide prestazioni e di tre gol consecutivi, Filippo Guerini è ben lontano dall’esaltazione personale (com’è giusto che sia) e pensa solo a godersi il trend positivo di squadra con 13 punti nelle prime cinque

partite che valgono l’attuale secondo posto alle spalle del Vado. L’esterno offensivo classe ’00 è arrivato in estate lontano dalle luci dei riflettori (reduce, peraltro, da una stagione molto positiva al Breno, ma tutt’altro che brillante dal punto di vista realizzativo), ma fin dalle prime uscite amichevoli ha lasciato intravedere guizzi di puro talento che hanno subito catturato i tifosi. E, appena iniziata la stagione, con quei lampi sono arrivati anche i gol.

“Appena arrivato qui sognavo di poter vivere un inizio così – esordisce Guerini – e ho lavorato tantissimo per farmi trovare pronto per gli impegni ufficiali. Sta andando tutto per il meglio, ma siamo solo alle prime partite: l’augurio è quello di continuare così. Non mi definisco affatto l’uomo del momento perché è l’intera squadra che sta facendo bene: tutti i risultati ottenuti fin qui sono frutto della nostra unione, del lottare su ogni pallone e dell’incredibile lavoro che facciamo in settimana. Qualcuno poi deve segnare, ma che sia io o qualcun altro poco importa, perché si va avanti tutti insieme”.

Nove punti nelle ultime tre partite: meglio di così, a livello di risultati, era impossibile. Guardando però alle prestazioni c’è ancora qualcosa su cui lavorare.
“Sì, anche oggi con il mister abbiamo rivisto la partita di domenica e sappiamo che dobbiamo alzare un po’ l’asticella soprattutto sull’attenzione e nella gestione dei momenti della gara. Per ora siamo stati bravi ad andare sempre in vantaggio, e questo ti aiuta; però capita che, una volta sopra, la tensione cali un attimo e la partita si riapra. L’obiettivo è proprio questo: ridurre al minimo questi momenti di flessione e gestire meglio i 90 minuti, da squadra matura”.

Hai già eguagliato il numero di gol dello scorso anno. L’obiettivo personale qual è?
“L’anno scorso dal punto di vista realizzativo è stata probabilmente la stagione peggiore della mia carriera. Tiravo tanto, sì, ma tra pali e paratone sembrava che la palla non volesse entrare mai. Quest’anno invece sta andando bene: riceviamo tanti palloni, il mister ci spinge ad attaccare e cerco sempre di arrivare alla conclusione. Domenica ci ho provato e riprovato finché sono riuscito a metterla dentro. Detto questo non voglio pormi limiti perché sto solo lavorando tantissimo per migliorare sia fisicamente che nelle scelte di campo: affronterò ogni partita come se fosse l’ultima, cercando di segnare il più possibile ma soprattutto facendo il bene della squadra”.

Torniamo un attimo indietro. Nasci nel settore giovanile del Brescia: e poi?
“Ho fatto tutta la trafila fino alla Primavera per poi andare in prestito in Serie D al Franciacorta. Quell’anno però è arrivato il Covid e ha scombinato tutto, soprattutto per noi giovani. Avevo deciso di andare in Eccellenza per giocare, ma la mia squadra non si è iscritta al campionato e quindi mi sono fermato per mezza stagione. Lì ho forse perso un treno perché ho dovuto ripartire dal basso per ritrovare minutaggio e fiducia: risalire non è stato facile, ma ci ho sempre creduto e ho lavorato sodo ritornando in Serie D la scorsa stagione. Quest’estate è arrivata una piazza come Varese e non ci ho pensato un secondo: era quello che desideravo”.

Quanto ti ha lasciato l’esperienza nel vivaio del Brescia?
“Il settore giovanile del Brescia è stato fondamentale: mi ha dato tantissimo, tecnicamente e tatticamente. Ho avuto allenatori davvero preparati. Peccato solo che non sia mai arrivata l’occasione di esordire in Prima Squadra, anche se qualche allenamento l’ho fatto: era il Brescia di Corini, che tra l’altro aveva già vinto il campionato e noi giovani speravamo di poter giocare qualche minuto in Serie B, ma purtroppo non siamo riusciti. Con me, giusto per fare un nome, c’era un certo Lorenzo Lucca e anche lui non riuscì a esordire quell’anno”.

E quanto, invece, sono stati importanti quegli anni in Eccellenza? Non è una scelta così scontata decidere di scendere…
“Sono arrivato in Serie D in una squadra con tanti giocatori offensivi d’esperienza e quindi ho fatto più panchina del previsto. A quel punto ho deciso che dovevo giocare: niente panico, l’ho presa come un’opportunità di crescita. Giocare con gli uomini, nel calcio vero, ti forma. E oggi sono felice di quella scelta”.

La Serie D te la sei riguadagnata sul campo, e poi è arrivato il Varese. Come è nato il contatto?
“Nonostante l’anno scorso non sia stato brillante sotto porta ho sempre fatto buone prestazioni. Con il mio agente ci eravamo detti che volevamo alzare l’asticella e lui ha lavorato tanto per trovare la soluzione giusta. Quando mi ha detto: “Pippo, c’è il Varese”, ho detto subito sì. Una piazza del genere, con questa storia e questa passione non si rifiuta mai. Per me è un sogno: mi sono messo subito sotto, con la voglia di dimostrare tutto il mio valore”.

Com’è stato l’impatto con la squadra, con il mister e con la piazza?
“All’inizio era tutto nuovo: città, compagni, allenatore. Non conoscevo nessuno, ed era anche la prima volta che mi trasferivo da casa. Vivo da sempre a Brescia, sopra i miei nonni, quindi ti lascio immaginare il trauma per loro (ride, ndr). Però ho subito trovato un ambiente accogliente dentro e fuori dal campo: vivo a Ternate con Berbenni, di cui ormai la mia ragazza è gelosa (ride ancora, ndr), De Ponti, Rugginenti e Salera, e con tutti loro si è creato un rapporto fantastico, quasi da fratelli. Non ho ancora vissuto Varese come città, ma è un posto davvero bello che non ha nulla da invidiare ad altre realtà e il tifo è clamoroso per la categoria in cui siamo. È stato un impatto super positivo, non manca nulla”.

Hai un’esultanza un po’ particolare: ci racconti la storia?
“È una gag nata quest’estate con i miei amici. Mi prendevano in giro e mi chiamavano PistoGuero. Allora ho detto: “Va bene, se segno quest’anno vi faccio il pistolero”. Promessa mantenuta (ride, ndr)”.

A Sestri hai detto che il gol era per la tua famiglia. Immagino ci siano dei ringraziamenti particolari
“Sicuramente la mia famiglia: sono il mio punto fermo. Come ti dicevo, è la prima volta che vado via di casa e per i miei nonni è stato un colpo perché erano abituati a vedermi tutti i giorni. Il loro supporto, quello dei miei genitori e della mia ragazza non è mai venuto meno e mi seguono sempre: sapere di poter contare su di loro mi dà una grande forza”.

Torniamo all’attualità in chiusura. Domenica all’Ossola arriva la Biellese: matricola sulla carta, ma squadra davvero importante. Che partita ti aspetti?
“Abbiamo già cominciato ad analizzarli ieri: sono una squadra esperta, probabilmente più strutturata rispetto a quelle che abbiamo affrontato finora. Dovremo essere pronti a lottare su ogni pallone, ma veniamo da un bel momento e dobbiamo farci trascinare da questo entusiasmo. Sono certo che i nostri tifosi ci daranno una spinta in più”.

Evitiamo promesse ai tifosi, di solito non porta bene, ma per chiudere ti chiedo: come descriveresti questo Varese?
“Un gruppo vero. Lo si vede in campo: ci aiutiamo, ci sosteniamo e c’è unione. È una squadra che lotta, che non molla mai. Non ci stiamo ponendo limiti, ma viviamo alla giornata, lavorando ogni giorno per migliorarci. Per questo motivo non ho problemi a promettere una cosa ai nostri tifosi: ogni domenica la maglia sarà sudata”.

Matteo Carraro

Articolo precedenteCronometro e Gran Fondo: cambia la viabilità a Varese
Articolo successivoPallacanestro Varese – Moody: “Devo ancora integrarmi al meglio con le richieste del coach”, Freeman: “Reupero oltre le aspettative”

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui