
Ci sono imprenditori che costruiscono fabbriche e imprenditori che costruiscono comunità. Giovanni Borghi, imprenditore visionario e fondatore della storia IGNIS, azienda simbolo dell’innovazione negli elettrodomestici, appartiene senza dubbio a questa seconda categoria. A Comerio, presso l’ex sede Whirlpool, cuore pulsante di una storia familiare e industriale nonché simbolo di un’epoca che ha plasmato l’Italia del dopoguerra, si è svolta la celebrazione del 50° anniversario della morte di Giovanni Borghi. Parte significativa della commemorazione è stata l’emissione, da parte di Poste Italiane, di un annullo filatelico speciale che vede Borghi nella sua classica posa con le dita incrociate. Questo timbro rende l’occasione ancora più indimenticabile, trasformando un momento di memoria in un piccolo pezzo di storia tangibile e simboleggiando il valore duraturo di una figura così importante. L’evento, fortemente voluto da Maurizio Gandini e il suo gruppo di lavoro, segna un passo fondamentale per la riqualificazione dell’area industriale di Comerio con l’inizio di progetti per trasformare l’area in un polo sociale e culturale, rendendo omaggio al passato e costruendo un futuro intriso dei valori che Borghi ha saputo seminare e che traspaiono tutt’oggi dalle parole di suo figlio Guido.
Con occhi lucidi di emozione, pieni di memoria e affetto, Guido Borghi inizia a raccontare: “Tutto questo è frutto del DNA: l’epigenetica, ancora una volta, ha permesso di portare avanti i tratti, i geni e le caratteristiche che erano già presenti nella mia famiglia. Partiamo da mio nonno che, insieme ai suoi figli, è riuscito a creare una piccola azienda nel settore degli elettrodomestici e degli impianti elettrici, utili ai grandi stabilimenti i quali, negli anni ‘20 e ‘30, erano già in grande fermento industriale. Ciò che ha fatto la differenza è stata la volontà, la determinazione che ha guidato ogni passo della nostra storia familiare”.
Ogni parola è un filo rosso che intreccia il presente al passato, tessendo una tela di sorrisi trattenuti e sguardi emozionati capace di raccontare tutto ciò che le parole non riescono a contenere. Ogni silenzio tradisce l’emozione di chi sente ancora, nel cuore, la presenza del padre: un’ombra dolce e avvolgente che accompagna ogni pensiero. L’emozione si fa ancora più profonda quando iniziamo a ricordare gli esordi del grande impero Borghi. Immagini di mani che accarezzano la terracotta dei primi fornelli, spirali di ferro che si riscaldano lentamente riflettendosi negli occhi di chi, in quel calore, vede un sogno destinato a durare più di una vita. “Finita la guerra, mio papà ha avuto un colpo di ingegno: si è accorto che in Italia i riscaldamenti funzionavano grazie alle bombole a gas che alimentavano le stufette per riscaldare le case. Ha capito subito che questa sarebbe stata la soluzione chiave per creare elettrodomestici a gas – afferma Guido Borghi –. Ha inventato quindi il fornello a gas e negli anni ‘49-’50, alla Fiera Internazionale di Milano, ha dimostrato la sua efficacia: mentre un fornello elettrico impiegava 20 minuti per portare l’acqua a ebollizione, il fornello a gas ci riusciva in soli 5 minuti utilizzando una sola fonte di calore. Il successo è stato immediato. Poco dopo ha siglato un accordo con la Pibigas, che vendeva le bombole, e ha iniziato la distribuzione dei suoi prodotti in Italia”.
Arriva poi quel momento dell’intervista in cui diventa difficile trovare le parole, come se il ricordo stesso trattenesse il respiro e la voce cominciasse a tremare. E impossibile non ricordare che “in Giovanni Borghi si strappò qualcosa quando firmò la vendita della IGNIS”, ma Guido Borghi ci tiene ad approfondire, quasi a restituire forma a una ferita che non ha mai davvero smesso di pulsare. “Quando avviene la vendita di IGNIS mi sono laureato da poco: non ho ancora un ruolo nell’azienda e mi limito ad orecchiare le vicende. Mio padre, nel momento della più grande maturità, è improvvisamente colpito prima da un grave infarto, che lo tiene lontano dall’azienda per un anno, e poi da cancro che, nei cinque anni successivi lo costringe a entrare e uscire dagli ospedali. Queste due disgrazie lo allontanano dal lavoro e indeboliscono l’azienda. Se non fosse stato per la malattia – afferma Borghi –, sarebbe rimasto alla guida per tutta la vita e probabilmente IGNIS sarebbe rimasta italiana, continuando a crescere valorizzando il patrimonio imprenditoriale del Paese”.
La fragilità diventa improvvisamente visibile, come un filo che vibra sotto il peso dell’emozione. Il ricordo diventa troppo grande per essere contenuto, ma c’è un tratto, quando si parla di Giovanni Borghi, detto “il Cumenda” , che emerge prima di ogni altro: il legame con i suoi lavoratori. Non era solo un imprenditore, ma il custode di una comunità che considerava parte della propria vita, quasi una famiglia allargata. La sua forza nasceva proprio da questo: dalla convinzione profonda che la responsabilità di un’impresa non è solo produrre, ma prendersi cura delle persone che le danno forma. Ogni scelta e ogni passo difficile conteneva questa fedeltà silenziosa e a ricordarlo nuovamente è proprio suo figlio: “Lui ha sempre pensato ai suoi operai: quando Agnelli vuole comprare un giocatore straordinario come Pietro Anastasi, mio padre, invece dei soldi, gli chiede i compressori necessari per l’azienda. In quel momento, i compressori per i frigoriferi sono contingentati, e grazie a quell’accordo riesce a far lavorare gli operai. Quando si sente più debole poi, compie la prima operazione con Phillips e lo fa unicamente per garantire continuità ai suoi operai”.
Non si parla di numeri e di successi, ma di passione e di visione: Giovanni Borghi è riuscito a immaginare il futuro di migliaia di persone rendendolo concreto. Ancora oggi il suo spirito è presente nella vita di chi ha vissuto le sue invenzioni, di chi ha visto le sue idee trasformarsi in realtà tangibili. Ogni casa, ogni famiglia che ha beneficiato del suo lavoro porta con sé un frammento della sua dedizione, un’eco della sua presenza. E come se, attraverso ogni gesto quotidiano, ogni fornello acceso, il suo sogno continuasse a vivere, invisibile ma palpabile, avvolgendo chiunque si fermi ad ascoltare la sua storia. Una storia in cui la determinazione e l’ingegno sono accompagnati da un amuleto che incoraggia chi lo accompagna a guardare avanti: “Quando mio papà è venuto a Varese lasciando la Milano da lui tanto amata, ha deciso di portare con sé un pezzetto della grande città: una piccola madonnina, come quella in cima al Duomo, che metteva ovunque, come a ricordare le sue radici. Arrivato a Varese ha compiuto veri e propri miracoli: non solo per le sue invenzioni straordinarie, ma per la capacità di leggere il futuro e guidare le persone attorno a sé, come un capitano che conduce la sua squadra verso una vittoria che va al di là del capo”.
Questa similitudine calcistica non è lasciata al caso perché, come molti sanno, la storia di Ignis è molto legata all’ambito sportivo. Basti pensare che, fin dai suoi primi passi, l’azienda di Giovanni Borghi non si è limitata a produrre elettrodomestici, ma ha voluto trasmettere valori concreti di impegno, forza e dedizione, valori che sono alla base di tutti gli sport. È nata così l’idea di avere pugili, calciatori e sportivi di ogni genere come testimonial, uomini e donne capaci di simboleggiare il coraggio, la disciplina e la tenacia che Borghi metteva costantemente nel suo lavoro e in ogni sua innovazione. Ogni campagna pubblicitaria non era solo promozione: era un racconto di fatica, sudore e passione, un legame vivo tra l’azienda e gli sportivi, una celebrazione di valori tangibili ancora oggi. A ricordare questo legame unico e speciale è lo stesso Guido Borghi, affiancato da Giuseppe Marotta, dirigente sportivo nonché Presidente e amministratore delegato sportivo dell’Inter. I due si scambiano sorrisi carichi di complicità e ricordi. In quell’istante il tempo sembra sospeso: non è solo memoria, ma la prova concreta del legame che continua a vivere tra famiglia, sport e azienda, riuscendo ancora a toccare le persone con un’emozione genuina e profonda.
“Sono molto contento che Beppe Marotta abbia accettato quest’oggi di venire qui con noi – conclude Guido Borghi –. Sono sicuro che lo ha fatto con il cuore e con entusiasmo. Quando era ragazzino era sempre seduto di fianco a mio padre sulla panchina a bordo campo a vedere le partite di calcio. Proprio per questo credo che lui sia il più bell’esempio della storia di mio padre: un ragazzo umile che, con la sua forza, le sue capacità, il suo ingegno, la sua perseveranza e il suo dinamismo è riuscito a raggiungere i livelli e gli obiettivi più alti che un dirigente sportivo, oggi presidente, possa raggiungere, pur ricordando le proprie origini”. A dargli a man forte è lo stesso Marotta: “Giovanni Borghi è riuscito a condensare molte attività sportive: calcio, pugilato, ciclismo, pallacanestro… I ricordi sono tanti e non possiamo dimenticare il valore della memoria. Con questo annullo filatelico rimane il segno tangibile di ciò che ha costruito e dei valori che ha trasmesso anche a me. Giovanni Borghi dispensava sempre parole molto sagge e concrete che rappresentavano il suo animo. É stato un po’ la chiave del mio percorso e del mio successo, una persona che ti insegna chi puoi diventare”.
Francesca Meoni





















