È successo pochi giorni fa. Il telefonino ha cominciato a suonare, ho visto sul display un numero lungo e strano, sotto la scritta “Regno Unito”. Era un caro amico che non sentivo da tempo e che mi chiedeva informazioni sullo stato di salute del Varese. Mi sono venute in mente alcune parole che aveva pronunciato qualche anno prima. Un discorso strano, parlava di minatori, del lavoro duro che li attendeva per riuscire a vedere uno spiraglio di luce nel buio tunnel in cui erano finiti. Non so perché, mi è tornata in mente quella storia, quella immagine. Un bagliore chiaro in uno sfondo tutto nero. Di natura sono ottimista, non credo alla sfiga, sono convinto che la fortuna vada seguita, corteggiata, conquistata. Insomma, meritata. In fondo la chiamano “dea bendata” e chi ha più speranze di conquistare una bella ragazza (figuratevi una dea), chi si piange continuamente addosso o chi invece sorride di fronte alle difficoltà e le affronta di slancio?

pavoletti cittadellaHo fatto caso al nostro conteggio: -7, i punti che da tempo (troppo) dividono il Varese dalla soglia della salvezza. Quel segno “meno” è davvero fastidioso. Allora cambiamo la visuale: +1. Ecco, forse è meglio vederla così questa maledetta classifica. Una lunghezza di vantaggio dalla zona dei playout. Meglio che starci dentro, no? A proposito: ho scritto “maledetta”. Altro flash nella mente: “Ogni maledetta domenica”. Film straordinario con il celebre discorso di Al Pacino, coach di una squadra di football. Uno spezzone fra i più usati (per non dire abusati) da allenatori, motivatori e manager. Con il rischio che il destinatario del messaggio si limiti ad archiviarlo nelle belle abitudini del sentimento. Anche io ho voluto adattarlo al Varese di oggi con la speranza che i giocatori di Sottili potessero riascoltare quelle parole e respirarle, viverle, farle proprie in un modo nuovo. Quando si è bombardati da slogan, belle frasi e musica forte tutto rischia di scivolare via, nell’apatia della consuetudine. Bisogna ASCOLTARE con il cuore, non SENTIRE con le orecchie. E poi cercare dentro se stessi la forza per risollevarsi e aiutare il compagno a terra. Sul campo come nella vita, ogni maledetto giorno.

Il momento che stiamo attraversando non è dei più semplici. Non mi riferisco solo al campionato, ma alla situazione generale, alla crisi che sta piegando mezza Italia. Fossi un calciatore qualche riflessione la farei. La forte riduzione della Lega Pro porterà inevitabilmente ad un gran numero di disoccupati. Atleti, anche buoni, che improvvisamente si ritroveranno senza squadra e che il mercato potrà proporre a prezzi di saldo. Ora mi domando: fra poche settimane, quando il direttore sportivo Ambrosetti (a proposito: ben tornato a casa Lele) costruirà la rosa del domani a chi penserà? A uomini motivati e con il fuoco dentro o a gente spenta e rassegnata come quella vista in campo a Cittadella? Io, fossi un calciatore del Varese, qualche dubbio comincerei a pormelo.

Vi ricordate “Il mio nome è Nessuno”? Bel racconto sportivo di un gruppo che ai margini del calcio professionistico cominciò una rimonta straordinaria, romantica e irripetibile, arrivando dall’ultima posizione in C2 ai playoff per la A. Quello è il tipo di gente che siamo abituati a vedere indossare la maglia biancorossa. Corti lo sa bene e in campo sputa l’anima, Zecchin sta sudando per recuperare in fretta e riaccendere la luce nel buio centrocampo biancorosso. E Neto? Comincio a domandarmi se certi infortuni siano fisici o psicologici. Sottili non ha bisogno di gente che si nasconde, ma di Uomini (con la “U” maiuscola) pronti a battersi per una causa, una squadra, una città. Nulla è perduto, con il Carpi comincia un mini-campionato di cinque giornate. In palio non ci sono solo i punti, ma molto di più: il futuro, il destino, la vita. I calciatori passano, Varese resta, fate in modo che rimanga dove merita.

Vito Romaniello
Direttore Agr