Fra i tanti ex che hanno calcato o calcheranno in futuro il parquet del PalaWhirlpool, Giacomo Galanda è sicuramente uno dei più grandi.
In una sola, immensa, persona troviamo storie di gioie e dolori vissute con la maglia biancorossa stampata sulla pelle: uno scudetto conquistato con la maglia dei Roosters, una retrocessione che ancora brucia come una ferita indelebile, seguita però da una promozione in Serie A vissuta con la fascia di capitano e quel trofeo alzato al cielo simbolo della rinascita della Varese cestistica.
Lui, per tutti “Gek”, è stato per la Città Giardino un idolo da adorare, un esempio da seguire, un protagonista assoluto di un pezzo di storia della Pallacanestro Varese.
“E pensare che non mi sarei mai nemmeno immaginato di ritornare da avversario a Masnago -racconta-. Quando decisi di sposare la causa ‘Pistoia’, non pensavo neanche lontanamente che saremmo riusciti a raggiungere lo storico traguardo della promozione in soli due anni. Eppure eccoci qua, in Serie A; è proprio vero che la vita non smette mai di stupirci. Tornare a calcare il parquet di Varese non mi provoca tensione, piuttosto una forte emozione che è difficile spiegare a parole. È vero che dopo anni non c’è più quello spirito di confrontarsi con i vecchi compagni di squadra perché oggigiorno i roster cambiano velocemente; però è come se ritornassi in quella che è stata casa mia per tanti anni e, sebbene sia stata ristrutturata da quando me ne sono andato, sono sicuro che saprei muovermi li dentro ad occhi chiusi, respirando e rivivendo le profonde sensazioni provate nei miei anni trascorsi qui”.
Quale sarà il primo pensiero che ti passerà per la testa quando varcherai la soglia del PalaWhirlpool?
“Più che le immense gioie e i profondi dolori provati con la maglia biancorossa, il mio primo ricordo si soffermerà sulle persone. I volti di coloro con cui ho condiviso mille battaglie, ma anche gli sguardi di un pubblico come quello varesino che non ha mai lasciato sola la propria squadra, nemmeno nei momenti più bui, neanche quando le cose non giravano per il verso giusto. Una delle qualità più grandi e più belle dei tifosi della Città Giardino, è proprio la loro grande conoscenza dello spirito che uno sport come il nostro sa trasmettere. Questo non è un qualcosa che ‘si crea’, semmai è una caratteristica insita per natura nel cuore e nell’animo delle persone. E il fatto di aver fatto parte di questa squadra, di questo contesto, non fa altro che rendermi fiero”.
Non solo ne hai fatto parte, l’hai vissuto da “capitano”.
“Altro motivo per me di grande orgoglio. Se penso che il mio nome è affiancato a personaggi che non solo hanno fatto la storia di Varese, ma più in generale della pallacanestro italiana, beh, non posso che esserne onorato”.
Parliamo della “tua” Pistoia. Campionato cominciato male ma ora, a salvezza quasi sicura, siete ad un passo dai playoff.
“All’inizio abbiamo faticato moltissimo -risponde-, sia perché abbiamo subìto tremendamente il salto di categoria, sia perché il calendario non ci era sicuramente favorevole; basti pensare che solo nelle prime quattro gare di campionato abbiamo trovato in ordine Cantù, Avellino, Sassari e Milano. Cosa è successo dopo? Con grande spirito tutto l’ambiente, dalla società ai tifosi, si è compattato togliendo, di fatto, ogni tipo di pressione che ci riguardava. Ciò ha fatto sì che i ‘pro’ andassero a nascondere i ‘contro’, i nostri difetti, permettendoci di ottenere anche vittorie molto importanti. Siamo un grande gruppo ed io sono orgoglioso di esserne il capitano. Mi hanno accolto benissimo, facendomi sentire fin da subito un elemento cardine della squadra, responsabilizzandomi anche dal punto di vista dei rapporti con i giocatori più giovani e con quelli stranieri, ai quali insegno, quando necessario, i segreti per riuscire ad esprimersi al massimo in un campionato ‘strano’ come quello italiano”.
Quale dei tuoi compagni ti ha stupito di più?
“Fra tutti Brad Wanamaker (che in stagione viaggia a 15.5 punti, 4.2 rimbalzi e 4.8 assist di media a partita, ndr), perché rispetto a come lo avevo ‘etichettato’ all’inizio, si è dimostrato una persona disponibile e aperta. In realtà lui però è l’esempio lampante di ciò che caratterizza tutta la squadra, la cui qualità principale è l’umiltà e la voglia di mettersi sempre in gioco e di compattarsi di fronte alla difficoltà. In questo senso la nostra stessa società ha dato una grande prova di intelligenza nel gestire Ed Daniel, giocatore che all’inizio aveva trovato enormi difficoltà di adattamento (tanto da essere ad un passo dalla rescissione, ndr), salvo poi riprendersi fino a diventare uno degli elementi più importanti che abbiamo, grazie agli enormi progressi che ha fatto da quando è giunto in Italia”.
E di Varese cosa ci dici?
“La Cimberio di quest’anno è l’emblema dei problemi che affliggono la pallacanestro italiana. Come dicevo prima, le squadre oggigiorno cambiano volto da un anno all’altro. È normale che poi il tifoso, che io sostengo con tutte le mie forze, si stanchi; questo perché non capisce il motivo per cui non si possano creare dei ‘cicli’ che possano poi fruttare qualcosa. Il tifoso deve pretendere nella maniera più categorica che la squadra per cui fa il tifo debba avere una base solida di partenza composta da giocatori che si conoscono, attorno alla quale si fanno girare due massimo tre innesti che annualmente la società decide di operare. Ma finché il problema è l’economia, le cose non potranno cambiare più di tanto purtroppo. Tempo fa allungando i contratti dei giocatori, si poteva quanto meno capitalizzare. Ora invece si vive una situazione dove viene valorizzata maggiormente la ‘casualità’ o la ‘fortuna’ di trovare, prima di altri, un giocatore in grado di fare la differenza”.
“Per non parlare della questione legata ai giocatori italiani -prosegue-. È inutile che si continuino a spendere belle parole per promuovere l’utilizzo dei giocatori italiani nelle squadre se poi, effettivamente, si cerca ogni tipo di escamotage per firmare stranieri. Se il nostro obiettivo è quello di crescere come movimento, bisogna investire sensibilmente sui settori giovanili, in modo da ‘creare’ giocatori che possano giocare da protagonisti in Serie A. Molte società ci hanno già pensato, è vero, ma questa deve essere una politica collettiva che coinvolga direttamente la Lega. Bisogna sedersi ad un tavolo e chiedersi: ‘Dove vogliamo arrivare?’. Un giovane italiano uscito da un settore giovanile, a meno che non si tratti di un talento naturale, non può competere con un pari età straniero, questo perché non ha la possibilità di fare l’ultimo, decisivo passo. Io, così come molti italiani della mia età, ho avuto la fortuna di giocare in un periodo dove si era soliti dare spazio ai ragazzi, ai quali, soprattutto, si dava la possibilità di sbagliare e ripartire senza paura”.
Tornando alla Cimberio, quale giocatore temi maggiormente per la partita di domenica?
“Partendo dal presupposto che dovremo fare molta attenzione a tutti i giocatori, l’elemento più pericoloso della compagine biancorossa è Ebi Ere. Non tanto per le sue enormi qualità tecniche, quanto per quelle carismatiche che lo rendono un vero e proprio faro per i suoi compagni. So che non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori, eppure basti vedere come contro Pesaro in cinque minuti sia stato in grado di indirizzare il match sui giusti binari. Poi c’è anche Achille Polonara, uno di quei pochi talenti puri di cui parlavo prima. Con la sua energia può risolvere da solo le partite. Stiamo parlando di un ragazzo che ha il proprio futuro nelle sue mani”.
Ultima “classica” domanda. Che partita dovremo aspettarci?
“Credo fortemente che assisteremo ad una gara non bellissima, ma fortemente intensa. Noi in trasferta abbiamo sempre sfiorato la vittoria di un soffio, sintomo di un grande carattere. Non chiedetemi un pronostico però. Posso dire solo una cosa: che vinca la migliore ma, soprattutto, che vinca lo sport”.

Marco Gandini