Dopo aver incontrato i due allenatori principali, è il turno di Andrea Tavian che gestisce sia gli Under 17, sia gli Under 19 A (in collaborazione con Manetta e Garbosi).

Iniziamo scoprendo qualcosa in più sulla “prima squadra” di Andrea, gli Under 17: una categoria complicata, in cui le basi dovrebbero essere solide e il talento dovrebbe iniziare a farsi vivo in modo concreto; come si allena un gruppo di ragazzi tanto giovani quanto ormai “veterani” e ad un passo dalla categoria regina?
“La mia fortuna è stata quella di prendere in mano un gruppo già unito che, pur arrivando da un’annata poco brillante, ha saputo rimettersi in gioco e venire in palestra col sorriso e la voglia di ricominciare. Quindi la risposta alla tua domanda è facile: si allenano grazie alla buona volontà e la PASSIONE, e non è un caso che l’abbia scritto in maiuscolo. Se i ragazzi vengono ad allenarsi con voglia e determinazione, allora anche il mio ruolo è molto facilitato. Io mi reputo fortunato perché, nonostante sia un gruppo abbastanza “caldo”, ha voglia di lavorare in palestra, di imparare cose nuove e testarle sul campo”.

A Gazzada il gruppo degli Under 17 viene considerato “ricco di talento”: lo si vede dai risultati, dallo sguardo compiaciuto e soddisfatto di allenatore e società, e lo si valuta anche solo osservando i ragazzi all’opera. Fortuna, talento o tanto lavoro?
“A Gazzada l’annata ’98 è sempre stata la squadra con più talento, ma come ben sappiamo è difficile trovarlo senza “pazzia” e la mia squadra ne è ricca! Le partite giocate fino ad ora non hanno ancora dato una vera e propria identità alla squadra perché la differenza sia fisica che tecnica a volte era abissale e quindi ecco spiegati i risultati. Certo che c’è da dire che non è solo demerito degli avversari, ma merito anche di chi scende in campo. Per quanto riguarda il mio sguardo è sicuramente ricco di soddisfazione perché il rapporto con la squadra e i genitori (cosa non sempre facile) è bellissimo, c’è un legame da “fratello maggiore”, per quanto riguarda i ragazzi, e da “figlio un po’ datato” coi genitori, coadiuvato da un rapporto di rispetto reciproco. Io per loro mi getterei anche nel fuoco e sono sempre pronto a difenderli anche quando magari combinano qualche casino. Alla domanda sulla fortuna o talento o tanto lavoro posso rispondere che la fortuna è ad avere la possibilità di allenare questi ragazzi che rinuncerebbero a tutto pur di indossare calzoncini e divisa e scendere in campo; per quanto riguarda il tanto lavoro vanno ringraziati gli allenatori precedenti perché io di meriti non ne ho e, se ne avessi, sarebbero veramente pochi: e poi ricordiamo che non sono gli allenatori che scendono sul parquet, io posso azzeccare un cambio, capire una situazione vantaggiosa, ma poi non posso eseguirla; quindi il merito è tutto dei miei 18 ragazzi”.

Under 17 travestiti una volta a settimana da Under 19, con un doppio impegno, ma soprattutto con avversari differenti: quanto può aiutare giocare in questa categoria nonostante le evidenti differenze fisiche?
“All’inizio dell’anno quando mi sono ritrovato in palestra 24 ragazzi ero la persona più felice al mondo perché comunque vuol dire che ci sono principi ed educazioni ottime grazie agli insegnamenti dei genitori. Qui sorgeva però un problema: numero troppo basso per fare 2 squadre della stessa annata e numero troppo altro per fare solo una squadra. Alcuni ragazzi spaventati per l’eccessivo numero, hanno deciso di loro spontanea volontà di abbracciare altre società e alla fine gli under 17 sono rimasti in 18. A questo punto c’era comunque la difficoltà di dover gestire un numero così alto di atleti e quella delle due squadre è stata un’idea presa insieme a Garbosi e avallata dalla società per fare in modo che tutti i ragazzi potessero rimanere uniti. Lo sappiamo bene che a Gazzada il motto è quello di tenere veramente tutti, dando comunque la possibilità ad ognuno di giocare, così è nata la seconda squadra Under 19: esperienza utile soprattutto per i miei Under 17 che possono fare le ossa in un campionato, come detto da te, più fisico. Certo l’impegno raddoppia, ma i risultati si vedono perché se all’inizio erano sonore “scoppole”, alla fine i ragazzi hanno preso le misure giocandosela spesso alla pari e traendone benefici con la loro categoria ufficiale”.

Ogni allenatore ha delle preferenze, chi punta tutto sull’attacco, chi preferisce tenere gli avversari sotto un certo punteggio: negli Under 17 come si trova il giusto equilibrio per mettere insieme attacco e difesa? E soprattutto Tavian è un attaccante o un difensore?
“È vero non esiste allenatore che non le abbia, io punto molto sulla difesa e la mia squadra non deve mollare che sia sopra di 20 o sotto di 30. Il mio motto, come quello della maggior parte degli allenatori, è “facciamo segnare un punto in meno agli avversari e poi i nostri canestri vengono di conseguenza!”. Io all’inizio ho trovato una squadra che faceva dell’attacco il suo punto di forza, ma ora a poco a poco si stanno rendendo conto che il lavoro difensivo è importantissimo per poter raggiungere gli obiettivi di crescita che ci siamo prefissati. Per quanto riguarda me, io prettamente preferivo tirare quindi la risposta è più attaccante, ma col tempo ho capito l’importanza della difesa, la quale oltre ad essere un fondamentale con molta tecnica è utile per fortificare la mente e gli attributi!”.

Questa squadra va molto bene dove può arrivare? Qual è l’obiettivo minimo della stagione?
“Va molto bene perché ha buone individualità e una buona unione di squadra, io la considero una famiglia allargata, un gruppo di amici che gioca per imparare e divertirsi e questo per me è il fondamentale dello sport di gruppo che non deve mai mancare. L’obiettivo non è vincere, anche se a me non piace perdere, ma è creare giocatori autonomi per la nostra prima squadra e, soprattutto, degli uomini che sappiano districarsi nelle difficoltà della vita. Non ci siamo posti obiettivi minimi, ma cerchiamo di andare avanti il più possibile in modo da guadagnarci quel sogno chiamato ‘campionato elite under 18′”.

Gazzada fa parte della provincia di Varese, una Provincia con la P maiuscola che pur vivendo di pallacanestro e nonostante le innumerevoli società non è in grado da anni di crescere un vero campione, in grado di tenere la serie A; talento a parte, cosa manca al basket giovanile varesino per tornare a vedere un suo giovane in campo da protagonista al Palawhirlpool?
“Guarda sarò schietto: mancano come prima cosa le strutture e le persone. Purtroppo e per fortuna, Varese è una città che vive di basket, ma ognuno guarda il proprio orticello; allenatori che invece di lavorare per il bene dell’atleta cercano di screditare il lavoro altrui e pensano solo a vincere per se stessi. Non esistono più progetti a medio lungo termine, dove la risorsa umana è un patrimonio d’investimento futuro. Ora si vogliono giocatori già pronti al minibasket! Ma come si fa se nessuno sa più insegnare i fondamentali (me compreso)? Si era iniziato fare qualcosa di buono per Varese con il famoso super gruppo del Campus, ma poi i risultati non sono stati quelli sperati. Se davvero si volesse ritornare ai fasti tempi delle giovanili temibili di Varese, che costruiva giocatori ed era protagonista in Italia, bisognerebbe ripartire da zero, con gente volenterosa e soprattutto nuova. Poi di fondo c’è un altro problema che io non capisco: si va a prendere giocatori over 30 che ormai con la pallacanestro stanno battendo gli ultimi colpi, oppure tutti questi stranieri, che di sicuro non giovano all’italiano di turno”.

Qui abbiamo comunque, nel loro piccolo un bel gruppo che si diverte e che sta davvero dando il massimo, non giocheranno la finale di Eurolega contro il Barça o l’Olympiacos, ma hanno degli incontri che per loro hanno lo stesso significato: quando devi caricare i tuoi giocatori, prima di una partita importante su cosa punti? Ma soprattutto, quando poi entrano in campo in panchina cosa trovano: un folle spietato coach stile Obradovic, o un gentleman, comprensivo Recalcati?
“E’ meglio che non dico di cosa parliamo in spogliatoio prima delle partite se no i genitori non mi mandano più i ragazzi! A parte gli scherzi, hanno 17 anni e potete immaginare l’argomento principale dei discorsi; io cerco comunque di mantenere la concentrazione alta, ridendo e scherzando, ma facendo capire che l’andamento del match dipende molto dalla testa e dalla dedizione che usano. Purtroppo non mi avvicino minimamente a due mentori come gli allenatori citati, ho molti limiti perché sono molto impulsivo, anche se mi sto controllando molto per migliorare i miei difetti. Diciamo che agli occhi altrui non sono la persona più simpatica da trovarsi contro in panchina, perché mi piace attirare gli eventuali “insulti” verso di me, per cercare di lasciare i ragazzi in campo tranquilli. Parlando con molta gente ho scoperto che se mi trovano da avversario vengo odiato, mentre una volta che mi conoscono e mi hanno nel proprio team il discorso cambia. Però se c’è una cosa che mi fa imbestialire è vedere giocare male la squadra e soprattutto vederla passiva, in quel caso divento un vulcano in eruzione!”.

Chiudiamo con un paio di desideri da esprimere per questo 2015 appena iniziato: prima di tutto un pensiero per i tuoi ragazzi, e poi, visto che siete una grande famiglia, non può mancare un desiderio per la C1, che si sta comportando molto bene anche quest’anno.
“Allora, appurato che sono molto superstizioso e quindi non vorrei espormi per non portarmi sfortuna proverò a restare con i piedi saldamente inchiodati a terra e chiederei: per i miei under 17, la voglia di migliorare giorno dopo giorno, per raggiungere tante soddisfazioni scolastiche e nel futuro lavorative; e sul lato sportivo gradirei che tutti i miei 18 atleti diventassero giocatori importanti per categorie del basket che conta. Per la nostra C1 invece, chiederei cortesemente a questo nuovo anno, di regalare una promozione a coach Garbosi (che starà facendo balli scaramantici), per vedere tutto il popolo gialloblu in festa, perchè questa grande famiglia lo meriterebbe davvero!”.

Alessandra Conti