Oggi gli hanno dedicato un palasport, quella della sua Brindisi. Nel 1980, appena ingaggiato da una Varese che cercava di tenersi aggrappata all’epopea degli anni d’oro, Elio Pentassuglia era per tutti “Big Elio”.

Non era stato facile per lui risalire la penisola e sedersi sulla panchina a fianco di un parquet che, per dieci anni consecutivi, aveva visto brillare uno dei quintetti più forti nella storia del basket continentale.

Alla proposta del direttore sportivo Giancarlo Gualco, però, la risposta non poteva che essere un entusiastico sì. Del resto, che Big Elio – chiamato così anche per la sua corporatura decisamente robusta – ci sapesse fare in palestra era assodato. Il suo era un basket fatto di pochi ma solidi concetti, frutto di una grande attenzione e di una capacità di analizzare quello che succedeva in campo decisamente in anticipo rispetto ai tempi. Concetti che esprimeva con la sua voce profonda e possente. E però mai sopra il tono giusto.

Fu così che, nonostante l’addio di Aldo Ossola che aveva lasciato il suo posto in regia a Mauro Salvaneschi, quella squadra griffata Turisanda seppe far bene. Anzi, andò vicinissima a ripetere la grande impresa: dopo una Regular Season da leader, conclusa con addirittura 8 punti in più rispetto al Billy Milano secondo, la beffa arrivò in semifinale. In gara 1, la Sinudyne Bologna sbancò Masnago dopo un supplementare e per soli due punti. In terra emiliana, non bastò un Morse  da 32 punti nella sua ultima partita con la maglia di Varese per evitare una nuova sconfitta per un solo canestro.

Pentassuglia rimase allenatore ai piedi del Sacromonte anche nel primo anno del nuovo presidente Toto Bulgheroni, era la stagione 1981/82, prima di tornare a Brindisi per tre campionati e lasciare il basket, ma soprattutto la vita, in un terribile incidente stradale nel 1988.

Antonio Franzi