È stato dopo i primi cori, calorosi, sinceri, piovuti giù dalla gradinate nel novembre scorso. È stato dopo aver visto i primi cartelli – “Grazie Paolo! Moretti #1. Moretti Sindaco” come suonano? -, in suo favore. È stato dopo aver raccolto commenti entusiastici sul suo conto, in ogni settore del PalaSport e stratificati in tutte le figure: tifosi, addetti ai lavori, amici e avversari, semplici conoscenti.
È stato allora, dopo aver registrato le molte prove a sostegno che mi sono detto: eh sì, deve esserci proprio “un principio di magia” nel voler descrivere lo straordinario rapporto che in questi mesi si è creato tra coach Paolo Moretti e la gente di Varese.
Negli ultimi quindici campionati a salvarsi al 100% sono stati solo Carlo Recalcati, Frank Vitucci e, oggi, appunto, Paolo Moretti. Quindi, c’è sicuramente un che di insondabile, un qualcosa di misterioso che lega la platea del Lino Oldrini al tecnico aretino il quale, dopo la squillante vittoria ottenuta a Cremona, potrebbe chiedere la luna. Ottenendola.

«Tutto questo affetto, tutta questa considerazione, tutti questi attestati di stima -dice Moretti-, non me li so spiegare. Appartengono, come dici tu, a qualcosa difficile da definire, così come il feeling che si è creato tra Masnago ed il sottoscritto è per certi versi inspiegabile. Sorprendentemente non sono mai stato coinvolto in polemiche o critiche anche nei momenti peggiori della stagione, vedi le due strisce da quattro perse in fila, o quando abbiamo sentito vicino la zona retrocessione. Varese, bella sensazione, mi ha voluto bene fin dal primo giorno ma, ripeto, non sono razionalmente in grado di trovare una spiegazione per questi comportamenti così benevoli. Azzardando potrei forse dire che i tifosi hanno apprezzato la mia serietà, il mio parlare chiaro o la mia assunzione di responsabilità nei periodi più duri. Forse hanno capito in fretta che non avevo intenzione di vendere “fuochi artificiali”, ma una sola ricetta: quella del duro lavoro in palestra».

Facciamo un passo indietro: quali gli errori che pensi di aver commesso?
«Non mi piace parlare di queste cose mentre i giochi sono tutti ancora aperti e con quattro partite, due di campionato e due di coppa, che potrebbero cambiare, e non di poco, il senso della nostra stagione. Come ho già avuto modo di dire tornerò su queste situazioni, analizzando ciò che è successo nel corso dell’anno, solo a stagione finita. Per ora mi limito a dire una cosa: nell’agosto scorso in una squadra cambiata in modo totale, allenatore e staff tecnico compresi, abbiamo preso diversi giocatori con poca esperienza. Una scelta, lo ammetto, un pizzico presuntuosa».

Deficit rimediato con gli innesti di Kangur, Wright e Kuksiks…
«È chiaro che a fronte di scelte iniziali rivelatesi rischiose avevamo il dovere di rimediare. Pensiamo di averlo fatto col meglio offerto dal mercato in quel periodo. Pensiamo anche di esserci riusciti. Magari un po’ tardi rispetto ai programmi, ma ci siamo riusciti».

Da uno a cento, a quanto pensi sia arrivato, adesso, il tuo gruppo?
«Con solo quattro partite da giocare e una squadra che ormai viaggia ad alti ritmi posso tranquillamente dire 100% e, in qualche occasione, anche di più. Poi è evidente un aspetto: se avessimo ancora qualche settimana -e Dio solo sa quanto ci piacerebbe averla-, potremmo spingere l’acceleratore ancora più a fondo e raggiungere limiti oggi impensabili perché sono certo di una cosa: questi ragazzi hanno molto, molto da offrire in termini tecnici e mentali».

Quando hai capito che le cose stavano cambiando direzione?
«Nel basket, e nello sport in generale, non si inventa nulla e, da sempre, una squadra nasce e muore in palestra. Ecco, noi siamo rinati quando, ad organico pieno e definitivo, abbiamo iniziato ad allenarci secondo gli standard che avevo in mente. Quando il meccanismo, che prima girava a scatti, si è pian piano sbloccato e ha cominciato a girare in modo fluido prendendo sempre più velocità. Quando le cose, complicatissime agli inizi di febbraio, sono diventate via via più semplici e facili da applicare. Ma, soprattutto, quando ho visto negli occhi dei giocatori una luce diversa. Un lampo che li spingeva ad aiutarsi l’un l’altro in difesa, a passarsi la palla in attacco, a cercarsi con generosità nei momenti difficili, a non mollare mai. Ognuno consapevole che una goccia di energia, in qualche angolo nascosto del loro corpo, l’avrebbero trovata e messa a disposizione dei compagni. Insomma: quando ho capito che un nucleo di persone si stava trasformando in una squadra vera. Solida».

Parliamo di FIBA Europe Cup, checché se ne dica, l’evento della stagione Openjobmetis. In tutta sincerità, ti aspettavi di andare così avanti?
«Beh, non è un mistero che nella prima fase, quella in cui siamo stati massacrati dagli infortuni, la competizione internazionale ha rappresentato un “nemico” capace di toglierci energie in campionato. Nella seconda fase invece ho visto sensibili e continui miglioramenti e da quel momento in poi abbiamo identificato la coppa come un test importante per metterci alla prova e puntare a quel “di più” che sembrava fosse precluso in campionato. Sembrava. Allora…».

Final Four di Chalon: è il momento giusto per farne un breve accenno.
«Chalon è una squadra dotata di grande atletismo e talento offensivo, con quattro USA nel quintetto base e due giocatori trascinanti come Hazell e Brownlee. Quindi, dovremo avere nella difesa l’elemento essenziale e cardine del nostro modo di stare in campo. In più giocheremo contro i padroni di casa, contro il loro tifo, il loro entusiasmo, contro un palazzetto intero, contro il pronostico e, probabilmente, anche contro gli arbitri. Insomma: Varese contro tutto e tutti. E quella che ci attende sarà un’impresa da eroi. Bene così, siamo pronti ma, attenzione, contro Reggio Emilia, squadrone fortissimo e super attrezzato in tutte le zone del campo, non sarà una gara meno difficile o meno importante perché, forse non tutti lo hanno capito, siamo ancora in piena corsa per i playoff e, pur sgranando gli occhi, verso un risultato pazzesco, clamoroso. Crederci, oggi, è il minimo».

Massimo Turconi