Tra un presente avvincente, prospettive future e una lunga carriera trascorsa ai massimi livelli del calcio dilettante, conosciamo oggi Alessandro Bratto, nato a Carpi nel 1983, capitano e guida esperta della linea difensiva del Verbano, formazione capolista nel girone A del campionato di Eccellenza.

Partiamo dall’attualità: a inizio stagione ti aspettavi di poter fare un campionato di vertice?
“Se devo essere sincero, il nostro campionato non mi sorprende. A inizio annata sapevo che eravamo una squadra di valore alla quale, sulla scia dello scorso campionato, è stato apportato solo qualche inserimento che ci ha permesso di migliorare, ma senza stravolgere una rosa che aveva fatto già bene”.

Allora fate sul serio?
“A questo punto cerchiamo di giocarcela fino in fondo. Quest’anno siamo più coesi dentro lo spogliatoio rispetto la passata stagione e si è venuta a creare la giusta alchimia di squadra. Ce la metteremo tutta”.

Come nasce la tua investitura al ruolo di capitano?
“Con quella in corso è la quinta stagione che gioco nel Verbano. Il ruolo di capitano mi è stato attribuito un po’ per anzianità di militanza con i colori rossoneri e un po’ per la mia esperienza come calciatore. Quest’anno ho compiuto 35 anni”.

Da capitano e senatore della squadra, come ti rapporti con i tuoi compagni più giovani?
“I nostri giovani sono la fortuna della squadra. Sono bravi calcisticamente e, soprattutto, ragazzi intelligenti che sanno ascoltare e accettare un consiglio, un richiamo. Detto questo, nel rispetto reciproco, nello spogliatoio tutti possono esprimersi liberamente”.

Nella giusta alchimia di squadra che accennavi, quale ruolo ha mister Celestini?
“Per noi il mister è senz’altro un punto di riferimento importante, non è invasivo nei rapporti interni allo spogliatoio e interviene solo quando bisogna chiarire alcune situazioni. Una figura fonsamentale per tutti, in particolare per i più giovani”.

Tra dieci anni ti vedi ancora nel mondo del calcio?
“In merito non ho ancora le idee chiare, potrei intraprendere il percorso di dirigente. Il campo mi piace e già adesso durante gli allenamenti mi viene spontaneo avere un coinvolgimento e una partecipazione più ampia rispetto al solo giocatore che esegue, anche se il ruolo di allenatore richiede la gestione di alcune situazioni fuori dal campo che non fanno per me”.

Nella tua carriera di calciatore ci sono state e ci sono figure di riferimento?
“Ho giocato per molti anni in Liguria, dove ho lasciato amicizie e compagni di squadra e dirigenti che ricordo con affetto, ma per me la figura di riferimento nel corso della mia carriera è senza ombra di dubbio mister Celestini. Ci siamo conosciuti durante gli anni in Liguria e poi ritrovati al Verbano, è una persona competente, che mi ha aiutato a crescere e migliorarmi calcisticamente e soprattutto a formarmi come uomo, instillandomi dei valori che, oggi, mi guidano nel mio percorso di vita”.

Hai giocato per molti anni in Liguria. Quali differenze riscontri tra il calcio ligure e quello lombardo?
“In Liguria si gioca un calcio più fisico, mentre in Lombardia c’è maggiore spazio per l’aspetto tecnico. La differenza più rilevante l’ho notata nelle strutture. In Lombardia c’è un contesto strutturale che permette in modo più adeguato di svolgere l’attività calcistica, mentre in Liguria, vuoi anche la conformazione del territorio stretto tra mare e montagna, ci sono meno spazi e meno ambiti nel quale poter giocare a calcio”.

 Marco Gasparotto