Come li racconti dieci anni? Da dove inizi? Come fai a mettere ordine, a dare un senso logico alle cose, a non mescolare le carte? E poi i ricordi, sono ancora tutti lì, a portata di mano, troppo freschi per essere nitidi, troppo forti per essere rivissuti a cuor leggero, come si fa ad inserirli in un album da tenere nella libreria della mente e sfogliare solo all’occorrenza?
È strana la vita, a volte ti metti alle spalle una carriera di punti esclamativi e, quello che più ingarbuglia il cervello, sono i punti di domanda.
Quante domande si sarà fatto Antonio Ippolito prima di lasciare Gorla Maggiore, non è dato sapersi, o forse ne ha perso il conto lui stesso, nelle notti in cui il sonno veniva meno e le risposte parevano lontane.
“Una delle decisioni più sofferte della mia vita” afferma “Ippo” senza giri di parole.
”È stato un anno difficilissimo sotto tanti punti di vista, il più duro in assoluto, covid a parte, sono arrivato alla fine stremato, saturo e mi sono reso conto che forse avevo finito tutte le energie mentali e fisiche per questa società”.
In che direzione sono andate queste certezze che piano piano crescevano dentro di te?
“Gorla è casa mia, so che sto lasciando casa mia, ma se fino a qualche tempo fa questa scelta sembrava impensabile, poco a poco mi sono reso conto che davvero io ho dato tutto quello che avevo per questi colori, io qui ho fatto il giocatore, il capitano, lo psicologo, il dirigente, il mister in campo, il giullare, tutto, e allora le mie certezze si sono cementificate, mi sono reso conto di aver bisogno di normalità, di aver bisogno di tornare a fare “solo” ciò che amo di più, giocare a calcio, un pezzo del mio cuore sarà sempre a Gorla, non ci sono dubbi, saluto tutti a testa alta”.
A Gorla hai dato tutto, e in cambio cosa hai ricevuto? Cosa ti ha insegnato questa “famiglia”?
“Beh, più di tutto…Gorla mi ha accolto, cresciuto, amato, mi ha fatto diventare uomo, mi ha dato il privilegio di esserne il suo leader per tanti anni, quando ero più giovane guardavo il capitano di turno delle diverse squadre in cui sono stato, io poi ho avuto degli esempi pazzeschi, non mollavano mai, e mi chiedevo se un giorno sarei potuto diventare così, ho appreso e poi quando è toccato a me ho fatto del mio meglio, ho cercato di trasmettere tutti i valori che mi appartengono e che mi hanno inculcato, e nel momento in cui li ho visti infusi negli altri allora mi sono reso conto di aver fatto qualcosa di buono, di essere davvero cresciuto”.
Cosa ti è piaciuto di più di questo dare – avere reciproco?
“Io credo che nella vita la cosa più bella in assoluto sia fare del bene, non per un tornaconto o per apparire bello agli occhi degli altri, ma perché niente ti appaga di più, in questi giorni ho ricevuto tanti messaggi inimmaginabili, compagni, mister, tifosi, dirigenti, davvero mi ha scritto il mondo, e quando leggi frasi tipo ‘Siamo stati fortunati ad averti’ ti fermi a riflettere, ti commuovi, forse era dalle medie che non piangevo così, giocando a calcio, facendo la cosa che amo di più, ho fatto del bene, ho dato delle gioie, io non potrei chiedere altro, sono appagato”.
Dieci anni sono un’enormità ma se dovessi pensare al momento più bello quale ti viene in mente?
“Sarebbe scontato dire la promozione, ma il momento più bello penso sia stato quell’indimenticabile playoff con il Busto 81 allo Speroni: siamo arrivati lì in un’annata in cui ci saremmo solo dovuti salvare, ci siamo ritrovati accerchiati da 400 persone con la maglietta del Gorla, a parole non si può descrivere ma è lì che mi sono detto che io e questa squadra prima o poi ce l’avremmo fatta e l’anno scorso quando abbiamo coronato il sogno della promozione è stato l’apice di un percorso incredibile, ce l’abbiamo fatta nell’anno forse più improbabile, ma ci siamo riusciti, il mio obiettivo era raggiunto, ed ero ancora più felice di averlo fatto con accanto persone che lo meritassero almeno quanto me, in primis mister Contaldo…ci siamo raccontati le nostre storie calcistiche e ci siamo trascinanti l’un l’altro, rialzandoci proprio quando qualcuno ci dava per spacciati, è stato bellissimo, mi commuovo ancora adesso…”.
Alla luce di tutto questo, hai dei rimpianti?
“No, nessuno, io non ho rimpianti, ne avrei avuti se non fossi riuscito a portare il Gorla in promozione, ma fortunatamente questo non è successo, sono molto orgoglioso di tutto ciò che ho fatto e di come l’ho fatto”.
Voltare pagina, ora, ha un solo nome: Valceresio.
“Sì, la mia scelta è la Valceresio. Sarei voluto rimanere in promozione, volevo darmi un’altra chance in un campionato così, pensavo di meritarla, ci sono state delle trattative ma hai presente quando tutti ti vogliono e poi nessuno ti piglia? E allora un giorno mentre un po’ mi arrabbiavo per questa cosa mi ha chiamato Marchesi ed ha colto l’attimo, mi ha detto esattamente ciò che volevo sentirmi dire e non ho saputo dire altro che sì, ho tante motivazioni nuove, tanti stimoli, non vedo l’ora di rimettermi in gioco, di dare qualcosa anche a questa squadra; oltre che con il ds ho parlato con mister D’Onofrio che ha espresso solo parole di stima per me, ma con lui sono stato chiaro, gli ho chiesto di essere severo, io qui devo dimostrare tutto e guadagnarmi tutto, non voglio giocare solo perché in questa categoria qualcosa ho fatto, voglio giocare perché lo merito”.
Tornando a Gorla, quanto è lunga la lista dei grazie?
“Potrei stare qui settimane, ma qualche ringraziamento è doveroso, grazie a tutti i compagni ed i mister che ho avuto, grazie alla società, ai tifosi che mi hanno sempre trattato da Re, grazie a tutti coloro che viaggiano nell’orbita Gorla, una menzione particolare vorrei farla per Pasqualone, il nostro magazziniere venuto a mancare nel periodo del covid, persone come lui mi hanno fatto sentire importante, li incontravo e mi dicevano “Capitano quanti ne fai domenica?” e gli brillavano gli occhi mentre pronunciavano il mio nome (pausa, sospiro ndr), questo non avrà mai eguali, non ci sarà mai niente come Gorla per me”.
E adesso cosa ti auguri per il tuo futuro?
“Innanzitutto ho deciso di dedicarmelo questo futuro, per una volta ho messo il mio bene davanti a quello degli altri, ho scelto per me e solo al pensiero mi sento come un bimbo il primo giorno di scuola, io non so quanti anni mi separano da qui alla fine della mia carriera, ma voglio proprio divertirmi, entrare in campo leggero, per vincere certo, quello è nella mia indole, ma senza un dovere morale nei confronti di qualcuno se non di me stesso, ecco tutto ciò che mi auguro”.
Se non si fermasse potrebbe andare avanti a parlare per ore, perché Capitan Ippolito è così, “parla pure con i muri” come dice lui stesso, e quando poi di mezzo c’è Gorla quelle parole non si esauriscono mai. Dieci anni sono già di per sé un pezzo di vita enome, ma dieci anni a Gorla sono ancora di più, sono qualcosa che ti rende speciale a prescindere, sono il non bastare nemmeno di tutte le parole del mondo, sono un cerchio perfetto che si chiude e che lascia spazio al più naturale dei silenzi, seduto in riva al mare ad osservare il tramonto di un sole che è dentro di te e che non ti farà mai perdere la bussola, perché casa, ovunque andrai, sarà sempre casa.
Gli occhi brillano anche al di là del telefono, i punti di domanda, ora, fanno posto a quell’unica risposta, a quell’unica verità: a Gorla Maggiore non ci sarà mai più un capitan Ippo, e nel cuore di capitan Ippo non ci sarà mai più una squadra come il Gorla Maggiore.
L’amore corrisposto è il più bello degli amori.
The end
Mariella Lamonica