Sono passate ormai quattro settimane dallo stop del campionato, quando l’ordinanza improvvisa del presidente Fontana aveva causato tanto malcontento tra società e tifosi. Chi avrebbe immaginato, allora, che l’emergenza sanitaria sarebbe tornata a farsi sentire con così tanta aggressività? Con il rinvio a febbraio dell’eventuale ripresa della stagione, il Cas Sacconago, ancora prima della chiusura dei centri sportivi, aveva deciso di sospendere le attività fino alla fine dell’anno. Dì lì a pochi giorni è stato annunciato il lockdown regionale, che rischia ora di convertirsi in nazionale, e nel cielo del calcio dilettanti si sono addensate nubi ancora più nere. Abbiamo analizzato questo panorama sconcertante con il direttore sportivo dei bustocchi, Claudio Colombo.

Prima del lockdown, per qualche giorno erano ancora consentiti gli allenamenti individuali. Voi, comunque, vi eravate già fermati.
“Avevamo deciso così perché, vista la situazione che si stava creando, le difficoltà e il rinvio del campionato, non valeva la pena far venire i giocatori al campo per una corsa, anche perché non abitano tutti nelle vicinanze. Siamo una piccola società che sta facendo grandi sforzi per giocare in una categoria importante come la Promozione, quindi sarebbe stato complicato anche dal punto di vista economico. Poi se fosse capitato un contagio, ci saremmo dovuti mettere in quarantena e tutti abbiamo un lavoro e una famiglia. Lo stesso sarebbe potuto succedere nelle giovanili, perché anche i più piccoli possono ammalarsi e contagiare genitori e nonni a casa. Nel loro caso, sarebbe stato più difficile gestirli e farli stare a distanza perché hanno il loro entusiasmo, com’è giusto che sia. Per ora in prima squadra abbiamo dato ai giocatori un programma di allenamento, quindi ci affidiamo alla loro voglia e al loro senso di responsabilità, sapendo che ognuno potrà fare quello che riesce”.

Già dopo il primo stop, era stata necessaria una preparazione intensa per recuperare la condizione. A livello fisico, quanto si farà sentire questa seconda pausa? 
“Sarà abbastanza pesante perché tanti mesi di inattività dopo altrettanti mesi di inattività si sentiranno di sicuro. Personalmente l’avevo già notato nella mia squadra. È vero che ad agosto avevamo iniziato una decina di giorni dopo rispetto agli altri, però dal punto di vista della condizione fisica avevamo pagato le conseguenze dello stop. Poi quando stavamo migliorando è arrivata la seconda interruzione. Quando si potrà riprendere, penso che saremo tutti sulla stessa barca e magari le partite saranno più leggere fisicamente. La preoccupazione, però, è che tornando a giocare si vada incontro a più infortuni muscolari”. 

E a livello mentale? 
“In prima squadra sono tutti dispiaciuti e demoralizzati, ma essendo adulti capiscono bene la situazione. Ho parlato con qualche giocatore e condividiamo le stesse preoccupazioni, sia per la questione del lavoro che della salute. Con i bambini è più complicato ed è veramente un dispiacere che si stiano perdendo tanti momenti. Sia andando a scuola che giocando a pallone o praticando qualsiasi altro sport, la loro è un’età in cui ci si crea una vita, tanti ricordi e tante amicizie. È un periodo molto bello da vivere e almeno per questi mesi non potranno farlo, ed è una parte molto triste di questo maledetto virus. Purtroppo, però, ci sono poche alternative”.

Anche il percorso calcistico ne risente, con il rischio, per i ragazzi “più grandi”, di non arrivare ben preparati al salto di categoria…
“Per i ragazzi della Juniores arrivare in prima squadra è già complesso di suo, perché passano da giocare con i loro pari età a trovarsi magari in campo con uomini di 30 anni. Sicuramente con queste interruzioni avranno meno esperienza. Perdendo un anno e mezzo di allenamenti con i mister che li portano in prima squadra, diventa più complicato, ma avremo tutti più pazienza per farli crescere e maturare nello sport. Da parte loro avranno sicuramente una voglia incredibile e colmeranno le lacune tattiche con l’entusiasmo. Essendo giovani, troveranno la maniera di adattarsi, capire le situazioni e giocare in queste categorie”.

Pensi che sarà fattibile riprendere nel 2021? Secondo te, come sarebbe meglio impostare l’eventuale continuazione della stagione?
“Non sono molto fiducioso sulla ripresa. Bisognerebbe iniziare ad allenarsi a gennaio, ma per come stanno le cose la vedo difficile. Penso che fino a quando non avranno trovato il vaccino, il calcio come lo conoscevamo prima sarà improponibile. Ho letto che stanno pensando di riformare il campionato e far giocare solo l’andata, oppure di creare due gironi da otto squadre. Sinceramente se si torna a giocare andrà sempre bene, in una maniera o nell’altra. Certo è che sarà un calcio diverso e questa situazione penalizzerà un po’ tutti. Prepararsi per una stagione e poi magari essere costretti a giocarsela in dieci partite non è bello, né per una società come la nostra né per le squadre più strutturate che puntano ad altre categorie e vedono il calcio più come un lavoro. Noi al Cas ci mettiamo al cuore e ci arrabbiamo quando le cose non vanno, ma per noi il calcio è un divertimento, sempre con la massima serietà e impegno, e con i protocolli che giustamente avevamo non lo era più e diventava tutto più difficile. Se iniziassimo ad allenarci a gennaio, con il freddo e il covid ancora in circolazione, mi chiedo come si potrà gestire la situazione. È il periodo in cui per le normali influenze di tutti gli anni manca sempre qualcuno su una rosa di 20/25 persone. Sinceramente sono pessimista e secondo me non si giocherà. Vedremo comunque cosa decideranno e bisognerà anche capire eventualmente il format del campionato. Se si andasse avanti fino a giugno/luglio, anche quest’anno salterebbero i tornei estivi, che rappresentano il 50% degli incassi, quindi si porrebbe ancora una volta un problema economico. Penso anche che il campionato così com’era iniziato a settembre non si poteva gestire: non si può giocare qualche partita e poi stare fermi ancora se capita un caso, con rinvii anche all’ultimo momento perché magari al sabato un ragazzo ha la febbre e bisogna aspettare il tampone. Giocare così sarebbe anche poco rispettoso per gli impegni che si prendono le società, sia economici che a livello di risultati sportivi. Ma davanti a questa emergenza nessuno è incosciente, quindi quando ci faranno giocare vuol dire che ci saranno le condizioni adatte e noi ci metteremo tutto l’entusiasmo del mondo”.

Silvia Alabardi

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