Perché tra pochi mesi gli toccherà far girare la prima delle due cifre che compongono la sua età. Perché tra pochi mesi entrerà, suo malgrado, in quel decennio che, per assonanza, ricorda tanto, pure troppo il “trattamento di quiescenza”. Perché quando Fabrizio Natola, classe di ferro 1961, si guarda alle spalle e vede quelle foto in bianco e nero, legge quei ritagli di giornale ingialliti e consumati dallo scorrere del tempo e ripensa ai mille momenti belli vissuti sul campo, di “default” gli si inumidisce la pupilla e i battiti del cuore, beh, insomma, quelli viaggiano un po’ per conto loro.
Fabrizio, se l’argomento è “storia delle squadre giovanili a Varese”, ne ha davvero tantissime da raccontare avendole vissute prima come giocatore, poi come allenatore. Roba da riempire, facile facile, un volumone tra ricordi, aneddoti, risultati e considerazioni.

“Mi sa che mi sono messo alle spalle davvero tantissimo tempo – conferma con un sorriso ricco di serenità Fabrizio -. Quando la mia favola con la pallacanestro è cominciata, cinquant’anni fa, c’erano le canottiere di lana con le scritte ricamate, scarpe improbabili, palloni “plasticoni” oltremodo scivolosi, poche palestre e ancora tanti campi all’aperto. Rispetto a oggi, un altro mondo. O meglio, un’altra era geologica. Io comincio a fare pallacanestro nel minibasket Ignis, ma allora i bambini che frequentavano i corsi organizzati da Pallacanestro Varese erano il triplo e probabilmente di qualità più elevata rispetto a quelli presenti in Robur et Fides. Così, alla fine del ciclo minibasket gli allenatori dell’Ignis mi “segano”. Non ricordo il mio stato d’animo, ma siccome la sola cosa che conta è giocare, senza problemi passo alla Robur e, col senno di poi, mai scelta è stata così felice”.

Perché?
“Perché alla Robur trovo la mia dimensione perfetta in termini di impegno, divertimento e passione per il gioco. Il nostro allenatore, Adalberto Tessarolo, vero maestro di fondamentali, ci fa crescere tecnicamente e mentalmente e dopo un anno di rodaggio nella categoria Propaganda quando inizia il campionato Ragazzi siamo pronti e caricati a molla per disputare quella che nel ricordo di tutti i protagonisti resterà per sempre la nostra stagione tanto sorprendente quanto indimenticabile. Oppure, se vuoi, indimenticabile proprio perché sorprendente. Un’annata che permetterà al gruppo dei nati nel 1961 di partecipare alle Finali Nazionali in programma a Roseto degli Abruzzi”.

Racconta.
“Siamo la classica squadra Robur: quasi tutti nanerottoli, razzenti, iperattivi, ricchi di dinamismo, energia e soprattutto carattere e grinta. Non molliamo mai e saranno esattamente quest’ultime due qualità a spalancarci una dietro l’altra le porte che conducono alle finali nazionali. Nessuno ci concede grande credito, ma noi, ostinati e imperterriti, superando un ostacolo via l’altro arriviamo al primo grande appuntamento della nostra giovanissima vita da giocatore: lo spareggio con l’Ignis, giusta conclusione dopo che le due gare di stagione erano finite con una vittoria per parte”.

Derbyssimo nelle giovanili, un classico intramontabile.
“Proprio così: la gara, molto sentita su entrambi i fronti, significava, allora come oggi, la supremazia cittadina e, di conseguenza, anche quella in provincia di Varese. Il derby si gioca a Cantello in una palestra strapiena nella quale non sarebbe nemmeno uno spillo. Alla fine di una gara stupenda vinciamo noi 93-78 perchè nella circostanza siamo bravi a limitare Marco “Rude” Dellacà che nella gara di ritorno ci aveva mangiato in testa segnandoci “solo” 51 punti. Questa vittoria ci proietta alla fase interzonale a Brescia ed è qui che, battendo prima Ferrara e poi la superfavorita Innocenti Milano (67-58), realizziamo il vero miracolo di quell’annata già miracolosa di suo. Così, per effetto di questa incredibile vittoria ritiriamo il biglietto per le finali nazionali, un traguardo, tanto inatteso quanto meritato”.

A Roseto, però, non vi va molto bene.
“In Abruzzo andiamo carichi e sereni ma, senza voler accampare scuse, finiamo nel classico girone di ferro con Latina, unica gara giocabile e l’accoppiata Rieti-Pesaro, due squadre fisicamente impressionanti. Non caso, alla fine Pesaro dei fratelli Terenzi, di Procaccini e Cecchini, tutti giocatori poi protagonisti in serie A, vincerà lo scudetto. Noi chiudiamo al nono posto, comunque felici, sereni e consapevoli  di aver comunque compiuto un’impresa perché la nostra Robur è una squadra, forse l’unica, quasi tutta fatta in casa, ad eccezione di Rapetti e Bernardi che vengono da Angera”.

Quell’annata “da libro”, quasi fosse epica di Milan High School, rimarrà il vostro unico diamante, giusto?
“Se parliamo di finali nazionali è così e rientra nella logica di un club che, per tradizione, ha sempre puntato sulla produzione di giocatori autoctoni e non ha mai fatto reclutamento fuori dalla provincia di Varese. Quindi, in tutta onestà, quando nelle categorie successive si alza il livello fisico atletico noi non abbiamo le risorse sufficienti per tenere botta. Negli anni a seguire disputiamo buonissimi campionati, ma usciamo nelle fase interregionali o interzonali”.

Qual è stato il segreto di quella squadra
“Il segreto più semplice e “abusato” del mondo: la grandissima amicizia che ci teneva insieme e ci tiene legati anche oggi a distanza di quasi cinquant’anni da quell’evento memorabile. Il “gruppo ‘61”, allora come nel presente, è stato costruito su amicizia, complicità, stima e affetto sincero. Quell’impasto, quel “cemento” sono rimasti gli stessi e anche adesso solo solidissimi. La cena di Natale è un appuntamento al quale nessuno vuole rinunciare e quest’anno, causa Covid, magari la faremo a marzo, ma puoi giurarci che ci saremo tutti. Spagnolo, Bonomi, Bernardi, Gianfrate, Rapetti, Caimi, Uderzo, Binda, Montanari e Natola è praticamente un mantra da ripetere a memoria come Sarti, Burgnich, Facchetti eccetera eccetera. Poi, è chiaro, la frequentazione del quartetto varesino composto da me, Rudy Caimi, Edo Gianfrate e Gigio Bonomi è più assidua e costante, ma le telefonate e i messaggi sul gruppo di Wapp coinvolgono e appassionano sempre tutti”.    

Cosa dici invece della tua carriera cestistica a livello senior?
“Dopo le giovanili in Robur ho raccolto qualche soddisfazione, ma soprattutto tanto divertimento giocando in serie C a Venegono e diversi anni in serie D nella mai dimenticata Garbarini Varese, ma purtroppo ho smesso presto perché l’attività lavorativa e i crescenti impegni come allenatore mi hanno costretto ad una scelta di campo: o giocatore o allenatore”.

Come tutti sanno hai messo la croce su ”opzione B” diventando uno degli allenatori più importanti e presenti nel panorama Robur et Fides.
“Il prossimo anno festeggerò in quarantennale di collaborazione con i colori gialloblu perché il mio primo incarico fu proprio allenatore del minibasket roburino e contestualmente a quello come allenatore nel femminile alle Gazzelle Varese, esperienza durata però una sola stagione. Dal quel lontanissimo 1980-1981, in Robur ho allenato un “milione” di giocatori in tutte le categorie giovanili nazionali e regionali e per alcuni anni ho avuto il privilegio di frequentare la prima squadra in serie B come vice di coach Franco Passera e Arturo Benelli”.

Il tuo albo d’oro a livello nazionale è ricchissimo, o sbaglio?
“Ricordi bene perché ho partecipato a finali nazionali in ogni categoria – Ragazzi, Allievi, Cadetti e Juniores – e ho avuto l’onore di insegnare pallacanestro e guidare tante generazioni di roburini. Dai nati nel 1973 (Montanini, Bertoldo, Alfieri, Garbi, Stucchi), ai ’75-‘76-’77 (Zanatta, Malavasi, Mondello, Lucarelli), ai ’79 (Premoli e Lollo Bini), agli ’82 (Marco Passera, Gatti, Rovera, Bazzani) e potrei continuare di questo passo per almeno un’ora. Ricordo perfettamente tutti i miei “bimbi” e sento di doverli ringraziare non solo perché insieme abbiamo ottenuto buonissimi risultati, ma anche perché nella memoria porto solo i momenti gradevolissimi di un bel basket e di felicissimi rapporti umani”.

E il livello senior da capo allenatore? Com’è stato?
“Bellissimo e coinvolgente fino al punto di farmi vacillare rispetto alle mie convinzioni e alle mie scelte di vita. Mi riferisco al paio d’anni trascorsi a Busto Arsizio e alla finalissima giocata nel 2005 per andare in B2 e persa in gara-3 a Borgomanero contro una formazione ricchissima di qualità, esperienza e talento con giocatori del calibro di Ferrarese, Zorzolo, Andrea Conti playmaker, Mondello, Fontanel. Anche noi però non eravamo male – Luca Mio, l’altro Andrea Meneghin, Cucco, Paolino Lombardi, Rondena e compagnia -. Se fossimo saliti noi, la mia vita sarebbe probabilmente cambiata e, forse, in quel momento avrei tentato la strada del professionismo. Tuttavia, mi rendo conto che i “se” e i “ma” sono troppi ed è evidente che alla fine, con buona pace di tutti, specialmente della mia famiglia, è stato giusto così. Doveva andare esattamente in quel modo. Sono rientrato in Robur come capo allenatore del Campus in serie C1 e in seguito come allenatore dei gruppi di Eccellenza e, ormai da qualche anno, come capo allenatore del gruppo “Lab” Under 18-20 che disputa anche la serie D. In mezzo, giusto per gradire, una parentesi a Oleggio e una bellissima esperienza come capo allenatore della selezione lombarda nel 2010. Insomma: un percorso lungo, variegato, certamente interessante che, lo affermo orgogliosamente, mi ha permesso di conoscere la pallacanestro fin nei minimi dettagli. Dettagli che – commenta in modo autoironico Fabrizio -, poi sviluppo insieme agli amici della Fulgor con cui mi diverto ancora a giochicchiare un paio di volte la settimana”.

A conclusione del tuo lungo percorso è arrivato il classico momento dedicato alle tue classifiche finali cominciando dai migliori giocatori che hai allenato a livello giovanile e a livello senior?
“Scelgo Marco Passera per il settore giovanile e Andrea Meneghin, l’altro, per il livello senior”.

Il giocatore di maggior talento?
“Francesco Badocchi, classe 1998, che ho avuto nella selezione Lombardia”.

Il giocatore sul quale avresti scommesso per il top-level?
“Simone Gatti: dopo averlo allenato da giovane pensavo arrivasse in serie A “cantando””. 

Il tuo quintetto ideale per le categorie giovanili?
“Marco Passerà, Andrea Calzavara, Fabrizio Premoli, Simone Gatti, Giordano Pagani”.

Il tuo quintetto ideale per il livello senior?
“Paolo Lombardi, Andrea Meneghin, John Mondello, Luca Mio, Nicoló Ravazzani”.

Ci sono giocatori che poi sono diventati anche amici e che frequenti tuttora?
“Amici direi tutti poi, chiaramente, con alcuni rimasti nel mondo del basket ci si frequenta di più. Tra questi cito senz’altro Martino Rovera”.

Massimo Turconi

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