
Il presente, si sa, è incerto e la frase più frequente che più si sente sussurrare in questo periodo “bastardo e sospeso” è: “Si naviga a vista”. Del domani, si sa pure questo, “non v’è certezza”. Così, di fatto, se vuoi argomentare di pallacanestro non ti rimane che il passato. Poi, siccome l’invito è “Restate a casa”, non resta altro da fare che provare a mettere un po’ d’ordine in un archivio sempre troppo incasinato. Dai cassetti e dagli scaffali saltano fuori libri, appunti, foto, ritagli di giornale e chi più ne ha, più ne metta.
Foto. Tante. Ognuna delle quali racconta una storia. Cristallizza un momento. Movimenta ricordi. Trascina emozioni. Innesca spunti di riflessione. E tanto, molto d’altro ancora.
“Il portiere caduto alla difesa, ultima vana, contro terra cela la faccia, a non veder l’amara luce. Il compagno in ginocchio che l’induce con parole e con mano, a rilevarsi, scopre pieni di lacrime i suoi occhi”.
Le foto di oggi, davvero famose, oltre a far scattare come meccanismo riflesso i versi di una famosa poesia di Umberto Saba, “inchiodano” Meo Sacchetti nel momento più drammaticamente crudele della sua pur bellissima e soddisfacente carriera. Il momento in cui, gara-2 della finale scudetto 1990 persa contro la Scavolini Pesaro, il ginocchio di Meo fece “crack” e, con l’articolazione del giocatore della Ranger, andarono probabilmente in pezzi anche le speranze tricolori cullate dal terzetto formato da Toto Bulgheroni, Marino Zanatta e Giancarlo Sacco. Una foto sulla quale un “miliardo” di tifosi varesini versarono fiumi di lacrime.
“L’unica frase che a distanza di trent’anni mi vien da dire guardando quelle immagini è: “Bravissimo il fotografo” – commenta con un sorriso amaro Sacchetti -. Bravissimo nel cogliere l’attimo esatto in cui il mio ginocchio salta per aria e anche quello in cui, tra singhiozzi soffocati, cado a terra. Nella foto puoi benissimo scorgere anche l’espressione un po’ sorpresa del pesarese Sandro Boni che, già battuto sulla linea di fondo, mi vede crollare di schianto. Queste sono le prime considerazione che mi sento di fare ma, immagino, tu voglia sapere qualcosa d’altro”.
Esatto, Meo. Cosa sarebbe successo se…?
“Può sembrare strano ma – continua l’allenatore della Nazionale Italiana e della Vanoli Cremona -, proprio quella foto e quell’episodio rappresentano un netto punto di separazione nella mia vita. Da quel giorno in poi, per quanto fossi già pragmatico e abituato alla concretezza dei fatti, ho smesso definitivamente di ragionare con i “se”, con i “ma” e con i “forse”. Da quel giorno, che nella mia vita da giocatore di club ha rappresentato il punto più alto, ho indirizzato i pensieri solo al presente, al concetto di “qui e ora”, alla solidità dell’istante perché, il mio infortunio né è la rappresentazione formale, ci sono eventi che sfuggono al tuo controllo. Ci sono situazioni che con rammarico, a malincuore, con un pizzico di filosofia devi solo imparare ad accettare. Esaurito questo lungo preambolo, non resta altro che ragionare sulle eventuali ipotesi ma, attenzione, solo in forma di gioco. Solo sapendo che, appunto, si tratta di cose campate per aria”.
Quindi, questo “gioco”, dove ci porta?
“Non esistendo la controprova posso dire che, comunque, quella Scavolini, potendo schierare grandi campioni, era davvero forte, completa e attrezzata in ogni reparto. Poi, dopo una roboante gara-1 (109-86 per Pesaro nda), la mia uscita di scena (Meo segna 23 punti in 31 minuti in gara-2) spianò la strada di Pesaro verso lo scudetto agevolando un cammino che si era fatto più incerto (vittoria di Varese 96-86 in gara-2). Insomma, probabilmente Pesaro avrebbe ugualmente vinto il suo secondo scudetto, ma così tutto fu davvero troppo facile”.
Ultima domanda su quella stagione: Wes Matthews, dove lo metti?
“Ho ragione di credere che Wes, se fosse stato in campo, si sarebbe caricato la squadra sulle spalle, avrebbe certamente prodotto un “one-man-show”, perché aveva tutte le qualità per riuscirci e, da solo, ci avrebbe trascinati verso lo scudetto. Ma, attenzione, questo è un “video-game” giocato con la play-station 30 dopo dopo. La realtà, e la storia, raccontano situazioni del tutto diverse. Raccontano di un grandissimo talento, di un giocatore per certi versi incredibile, ma anche di un carattere impossibile da gestire. Raccontano di un giocatore che dopo la rissa con Oscar, dopo lo sputazzo in faccia ad un arbitro, dopo mille altri aneddoti poco edificanti, dopo aver beccato quattro giornate di squalifica, andò via da Varese e dall’Italia, senza lasciare rimpianti. Tutto il resto sono “se”, “forse”, “magari”. Tutto il resto – conclude Sacchetti -, sono chiacchiere”.
Massimo Turconi