Il calcio come ragione di vita: una passione che va oltre qualsiasi cosa e che ha tenuto Ambrogio Baj ancorato ai rettangoli verdi per quarant’anni. “Ho il patentino dal 1981 comincia il tecnicoe ho allenato in quasi tutte le categorie dilettantistiche dalla Seconda alla Promozione: non ho mai voluto scendere in Terza Categoria e, ai miei tempi, l’Eccellenza non esisteva ancora”.

Dalla Seconda Categoria alla Promozione con il Cairate è stata una delle tante cavalcate di Ambrogio Baj, anche se il suo nome è più che altro legato alle zone basse della classifica. Il soprannome “re delle salvezze” non è certo scontato e il perché è presto detto: “La mia carriera è stata caratterizzata da tanti salvataggi, alcuni dei quali davvero miracolosi. Ne ricordo tre in particolare: Brebbia e Audax Arcisate in Prima Categoria e Rasa in Seconda Categoria: a Brebbia eravamo praticamente spacciati ma abbiamo mantenuto la categoria così come all’Audax quando ci siamo salvati ai playout dopo averli raggiunti all’ultima giornata. Con la Rasa, addirittura, abbiamo inanellato un filotto di vittorie tale da raggiungere la salvezza senza passare per i playout”.

Tra le tante realtà cui il nome Ambrogio Baj è stato legato non si possono non citare anche Ternatese, Luino, Sestese e Tradate, senza dimenticare il biennio in Svizzera a Mendrisio (vice di Fiorenzo Roncari che era allenatore/giocatore) e a Morbio Inferiore; da evidenziare addirittura un’amichevole, alla guida della Ternatese, contro l’Inter di Trapattoni. Esperienza da vendere che, nelle ultime stagioni, era stata messa al servizio dell’Aurora Induno prima della turbolenta separazione.

In quarant’anni di carriera Baj ne ha viste tante e ha così potuto costruire una sua filosofia personale: “Sono sempre stato un allenatore deciso a puntare sul carattere e sull’aspetto psicologico. Lavorare sulla testa dei giocatori è la cosa più affascinante e farlo oggi è ancor più stimolante dato che i ragazzi si sono evoluti seguendo logiche culturali diverse rispetto a quelle del passato. Io cerco sempre di bussare alla porta del loro cervello sperando che mi aprano e, così facendo, ho avuto le più grandi soddisfazioni: in certe situazioni, salvarsi è molto più difficile che vincere un campionato perché lavorare sulle delusioni, come hanno fatto alle Olimpiadi Tamberi e Jacobs, non è né facile né scontato. Serve capire come reagisce un giocatore e, di conseguenza, la sfida vera è amalgamare un gruppo nella difficoltà superando insieme i momenti critici”.

Per questo motivo, il “re delle salvezze” ritiene che siano proprio le salvezze a dare più soddisfazione. “Chiariamo: la vittoria ti appaga e appaga il tuo ego, ma salvare una squadra in difficoltà lascia uno strascico ben più importante. Non è un caso che i rapporti più forti a livello umano, dopo oltre mille panchine e più di 700 giocatori allenati, siano quelli stretti con ragazzi che hanno condiviso grandi momenti di emotività legati ai traguardi più difficili”.

Anche dopo aver allenato oltre 700 giocatori, alcuni davvero forti, Baj crede sempre nella forza del gruppo e spetta proprio all’allenatore amalgamarlo nel migliore dei modi. “Tutti i gruppi sono caratterizzati da individualità tecniche e umane, ma non necessariamente queste coincidono. Gestire situazioni del genere è difficile e farlo ti rende un allenatore migliore. Spesso mi è capitato di avere a che fare con delle prime donne che si sentivano superiori e scaricavano le responsabilità su altri. In questi casi bisogna responsabilizzare: se non giochi ma diventi un esempio, un uomo spogliatoio, significa che sei tra i giocatori più intelligenti, diventi quasi più importante di chi gioca, ed è compito del mister spronarti in ciò che fai. Un esempio del genere l’ho visto recentemente con Salvatore Sirigu nella Nazionale italiana: la sua presenza è stata fondamentale”.

A questo punto è quasi inevitabile una riflessione su come sia cambiato il calcio nel corso degli anni e Baj non ha dubbi: “Posso garantire che, malgrado le differenze tecniche e tattiche, la passione è rimasta intonsa. L’amore per il calcio si vede nel delirio pubblico quando vince la Nazionale e la passione ardente per questo sport non morirà mai. I ragazzi di oggi sono più emancipati mentalmente e, per legarmi al discorso precedente, non si accontentano più del mister che alza la voce ma vogliono guide credibili. Anche per questo motivo credo che, salvo eccezioni, un allenatore non possa stare più di tre anni nello stesso spogliatoio: ad un certo punto gli argomenti finiscono e nel gioco del calcio le novità hanno un grande peso specifico. Quando si cambia allenatore, comunque, perdono tutti, dalla società all’allenatore passando per i giocatori, ed è questo che dico sempre appena arrivo a sostituire qualcuno: serve ricostruire senza rinnegare ciò che è stato, e per farlo occorre tanto entusiasmo”.

A proposito di entusiasmo, in vista della ripartenza di settembre si percepisce un’adrenalina quasi irrefrenabile e la domanda sorge spontanea: dove sarà Ambrogio Baj?Ho appena avviato l’esperienza con il settore giovanile dell’Olona, ma il mio lavoro riguarda le prime squadre: ad oggi tutte le squadre hanno il rispettivo allenatore ma, come ho sempre detto, in autunno con le foglie cadono anche le panchine: è capitato a me, è capitato ad allenatori di Serie A e continuerà a capitare. Ripartire non sarà facile perché c’è davvero tanto entusiasmo, ma quando ci si mette a tavola con troppa fame si rischia di fare indigestione; io in questo momento vivo tranquillo e aspetterò una chiamata”.

Sfide. È questo ciò di cui si nutre Ambrogio Baj. Qualcuna in particolare?Sono affascinato da tutti i progetti che hanno una propria logica e non disdegno le novità, anche perché se prendo una squadra in corsa di sicuro quel progetto non è il mio. Io ho il patentino che mi permette di allenare fino alla Serie D e sognare non costa nulla, anche se ciò che mi interessa di più è divertirmi. Precisiamo: io mi diverto solo se vinco”.

Matteo Carraro

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