Da anni ormai è uno degli atleti di punta della ginnastica artistica maschile italiana ed anche a queste ultime Olimpiadi Ludovico Edalli ha rappresentato i colori azzurri al massimo, portando un altro pezzo importante della provincia di Varese in Giappone.
Edalli, atleta del Gruppo Sportivo dell’Aeronautica Militare dal cuore targato Pro Patria, società di ginnastica di Busto Arsizio, era alla sua terza Olimpiade, dopo aver disputato quelle juniores di Singapore e quelle di Rio de Janeiro del 2016, nelle quali ha sempre dimostrato tutto il suo valore e le sue qualità.

Questa volta a Tokyo ha vissuto un’edizione dei Giochi molto particolare, come tutti gli altri atleti del resto, condizionata in maniera forte dal covid-19 e dalle restrizioni che esso si è portato dietro, eppure unica ed indimenticabile come lo stesso Ludovico ci tiene a sottolineare.
Una spedizione arrivata al termine di un anno stressante e difficile a causa del coronavirus, che non ha portato medaglie ma che è rimasta nel cuore del ginnasta bustocco che, a quasi un mese di distanza dopo aver terminato le meritatissime vacanze, è già tornato al lavoro in vista dei prossimi obiettivi.

Che anno di preparazione è stato per lei quest’ultimo in vista delle Olimpiadi, con tutto ciò che il covid-19 si è portato dietro in termini di restrizioni?
“E’ stato un anno abbastanza pesante. Dal punto di vista dell’allenamento fisico in sé e per sé a me ha toccato ben poco, eccezion fatta per il primo periodo di lockdown, nel quale siamo dovuti rimanere tutti in casa per 40/50 giorni e quindi lì ho dovuto completamente interrompere le attività e per un’atleta professionista questo è comunque molto condizionante. Io sono passato ad allenarmi 6/7 ore al giorno in preparazione delle Olimpiadi a zero. A questa parentesi davvero pesante, si è aggiunto un altro periodo tutt’altro che semplice, con restrizioni forti, diciamo che a livello fisico mi sono potuto allenare ma a livello mentale ero sempre preoccupato che potessero fermare tutto da un momento all’altro e qui il carico psicologico, in preparazione di un Olimpiade sempre più incerta, si è fatto sentire. Non è stato sicuramente un bel periodo per tutti”.

Per lei questa è stata la terza Olimpiade, considerando anche quella juniores di Singapore, in una classifica dove mette Tokyo 2020?
“Senza dubbio al primo posto e lo dico a cuor sereno. E’ stata un’edizione dei Giochi strana, noi eravamo super controllati, in una bolla concentratissima, ogni mattina facevamo un tampone, non si poteva uscire. Il villaggio era un’estensione del porto di Tokyo, lo sbarco merci, quindi una volta che uscivi dal villaggio per andare al palazzetto, ti lasciavano a 20 centimetri dall’ingresso dell’impianto, entravi ti allenavi o gareggiavi, uscivi e tornavi al villaggio, insomma è stata un po’ pesante. In più tutto questo è stato amplificato dal fatto che, a differenza delle altre Olimpiadi, non c’era la possibilità di incontrarsi con gli altri migliaia di atleti che partecipavano, scambiarsi impressioni, conoscersi, chiacchierare, perché tra controlli e misure di sicurezza risultava difficile interagire. Fortunatamente tra noi ginnasti una volta seguite tutte le misure, c’era poi la possibilità di creare un po’ più di chiacchiericcio, però obiettivamente si respirava un’aria pesante. Infine la cosa più forte all’impatto visivo ed anche pesante poi in gara è stato vedere il palazzetto completamente vuoto. Però, quasi per assurdo, proprio questo è il motivo per il quale metto Tokyo al primo posto. In una situazione del genere è stato bellissimo vedere i volontari dare man forte, applaudire, mettere la musica, insomma sostenerci in ogni modo e questo è stato unico. Il messaggio che ne scaturiva era proprio quello di dire che noi eravamo lì in una situazione di cataclisma mondiale a rappresentare il nostro paese e lo stavamo facendo in clima in cui ognuno di noi cercava di sostenere l’altro in una sorta di comunità. In più devo dire che aver vissuto questa esperienza con il mio allenatore e con uno dei miei compagni ed amici storici come Marco Lodadio, con cui faccio ginnastica da ormai 15 anni, è stato speciale”.

Andando invece sulla gara, come valuta la sua performance?
“Il risultato è stato quello che è stato, ma se devo essere sincero ho fatto una signora gara. Sul momento è chiaro che mi sono dispiaciuto, però a mente lucida ho ragionato vedendo come a 28 anni stessi gareggiando con gente con 10 anni in meno di me e l’ho fatto portando i miei esercizi al top. Più di così sapevo di non poter fare, purtroppo c’è stato un piccolo errore ma siamo alle Olimpiadi, sono umano, la cosa bella è che si può anche sbagliare senza che succeda nulla. Sono orgoglioso e felice di aver presentato lì il me stesso che sono in palestra e questa è la cosa più semplice ed anche più difficile da fare”.

E’ stata quindi più la felicità per la gara fatta o il rammarico per quella caduta a parallele?
“Assolutamente la soddisfazione per la gara fatta. In questo secondo me insegna molto bene tutto il caso Biles. Bisognerebbe prendere molto spunto dalle sue parole. Come dico molto spesso tra amici “io non salvo vite e non salvo il mondo, faccio ginnastica artistica”. Può capitare che ci sia la giornata più o meno buona, ma questa non deve essere una cosa da vivere con l’angoscia. E’ chiaro ed è giusto che ci sia l’agonismo perché se no non esisterebbe lo sport, detto questo un errore può capitare, poi l’importante è cercare di esprimersi al meglio delle proprie qualità e prepararsi con il duro lavoro per questo”.

Quali sono i prossimo obiettivi di Ludovico Edalli?
Vedere cosa accadrà domani, questo è il vero obiettivo”.

Alessandro Burin
(Foto Ricardo Bufolin – FGI)

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