Forse, ascoltando la famosa canzone, ti sei chiesto “Chi erano i Beatles?”. Bene, oltre ai fantastici “Fab Four”, già che ci sei, già che sei in ballo, chiediti anche “Chi erano i Frogs?”.
Chiediti di quando, più o meno a metà degli anni ’80, tutti eravamo impazziti per i football americano e, quindi, per i Frogs Busto Arsizio.
Chiediti di quando, nel linguaggio comune di quell’epoca non c’erano solo “pick and roll”, “box out”, “blind screen” e così via, ma era doveroso, anzi obbligatorio conoscere anche termini come “quarterback”, “linebacker”, “wide receiver” o “kick off” .
Chiediti come mai Bienate, paesino di poche migliaia di abitanti, fosse diventato il centro del mondo del football americano in Italia. Vera meta di pellegrinaggio di ogni sabato pomeriggio.
Chiediti come mai i colori nero e argento, livrea ufficiale dei Frogs fossero quelli più alla moda.
Chiediti, infine, perchè nella nostra provincia accanto ai nomi dei mostri sacri della pallacanestro fossero improvvisamente diventati presenti, e moooolto popolari, anche quelli di Giorgio Mazzucchelli, Pierpaolo Gallivanone, Dario Castellanza e, massimamente, quello di Luca Bellora.

Già, in quel periodo, citando Luca Bellora era automatico citare il football americano. Un po’ come dire Maradona uguale gioco del calcio.  
Insomma, liberi di crederci o meno, ma per circa una decina d’anni la zona dell’alto milanese – Busto Arsizio, Legnano e dintorni -, è stata culla di uno dei più importanti, riconosciuti, prestigiosi e vincenti team di football americano in Italia. Sono passati tantissimi anni e i ricordi sono stati seppelliti dal tempo. Non la figura, e la storia, e le vicende sportive di Luca Bellora. Quelle, sono sempre state, lo sono tuttora, vivissime e presenti nel football americano e, prima, in altre discipline sportive. Vicende che tra momenti di strabiliante esaltazione e periodi di inenarrabile delusione, e “storie” anche umanamente difficili da affrontare, che a mio modesto parere val la pena di raccontare.

“Che avventura fantastica è stata quella col football americano? – si chiede in tono estatico e giustamente compiaciuto Bellora -. La nostra, quella dei Frogs intendo, è stata un’avventura che è andata un milione di chilometri oltre i, pur clamorosi, risultati sportivi. In quegli anni, persino difficili da spiegare, abbiamo vissuto indossando alternativamente i panni dei pionieri e degli eroi. Pionieri perchè riuscire a imporre all’attenzione di decine di migliaia di persone uno sport nuovo, ma complicato e di non facile presa come il football americano è stata sicuramente una grande impresa. Eroi perchè aver vinto scudetti, trofei e titoli europei in un territorio calciobasket centrico ci ha proiettato in una dimensione che appartiene certamente, solamente alla leggenda”.

Come arrivi al football USA, sport che prima dei Frogs era praticamente sconosciuto nella nostra zona?
“Capito nel football assolutamente per caso dopo aver praticato il pugilato, sport che rappresenta la mia prima grande passione. Un amore che però devo mettere da parte abbastanza presto a causa di problemi ad un occhio che mi sconsigliano di continuare a prendere cazzotti a tutto spiano. Dopo il pugilato provo col rugby, ma tre partite poco divertenti nel ruolo di seconda linea mi bastano e sulla spinta di amici di Gallarate decido di provare col football USA con i Frogs Busto, in attività già da qualche anno. Mazzucchelli è il mio primo coach nonchè il personaggio che, a 17 anni, nel settore giovanile mi sgrezza insegnandomi le cose fondamentali per poter stare in campo. Nel giro di pochi mesi passo dalla delusione più tremenda – una finalissima Juniores persa contro Bobcats Parma-, alla felicità più dirompente perchè coach Mazzucchelli, vedendomi fisicamente e mentalmente pronto, mi convoca in prima squadra nel gruppo dei difensori, ruolo Line Backer e, incredibile, nel giugno del 1984 mi ritrovo a festeggiare il primo scudetto tricolore dei Frogs conquistato battendo i Bologna Warriors nella finalissima disputata a Rimini”. 

Uno scudetto che oggi viene considerato “storico”.
“Una definizione che mi trova completamente d’accordo perché la nostra ascesa, repentina, certamente inaspettata, coglie di sorpresa non solo il mondo del football, ma tutto lo sport italiano. Poi, nel nostro territorio, la conquista del tricolore ha un effetto incredibile perché si tratta del primo assoluto di uno sport di squadra, In quel periodo, ma sarebbe meglio dire in quegli anni, noi dei Frogs siamo qualcosa più di una squadra vincente: rappresentiamo una novità assoluta per di più poco conosciuto e “masticato”. Ricordo benissimo che allora parlare di football USA, atteggiarsi a conoscitore della materia faceva figo. Insomma: era di moda”.

Football modaiolo al punto che lo sponsor principale dei Frogs era nientemeno che Giorgio Armani.
“In effetti Armani, dimostrandosi uomo sempre un passo avanti a tutti, coglie immediatamente la potenza del messaggio-football USA e decide di legare il suo marchio ai Frogs anche se in maniera discreta. Intanto la società passa di mano e viene acquisita dal dottor Lucarelli e sua moglie Marisa Pecis, ai quali il football italiano dovrebbe erigere un monumento perchè raramente hop visto persone così appassionate, disponibili, entusiaste. La sede operativa si sposta a Legnano, città che al contrario di Busto Arsizio ci accoglie benissimo al punto che alcune partite riusciamo a giocarle allo “Stadio Mari” con punte di spettatori vicino a quota diecimila. Poi, si sa, un po’ per la penuria di impianti sportivi, un po’ per il timore di rovinare il campo del Legnano Calcio siamo costretti ad emigrare trovando in Bienate, piccola cittadina alle porte di Legnano, il nostro “campo centrale”. In effetti, di quegli anni, ricordo soprattutto l’invasione di tifosi, nostri e ospiti, che occupano tutti gli spazi, tutte le vie di accesso allo stadio di Bienate che, ai nostri occhi, forse un po’ sognanti, probabilmente solo ingenui, assomiglia al Kingdome di Seattle. Bienate, ricordo bene, diventa il nostro “fortino inespugnabile”, fondamentale per costruire tante altre stagioni vincenti: nel 1985 perdiamo in semifinale contro Pesaro Angels; nel 1986 ai quarti contro  Bolzano Jets, ma nel 1987 arriva il secondo scudetto targato Frogs Legnano e poche settimane dopo il trionfo con la Nazionale che si laurea Campione d’Europa battendo in finale la Germania 24-22. Un giorno pazzesco. Una gioia indimenticabile”.

Ma poi arriva anche il 1989, l’anno dell’apoteosi, giusto?
“Esatto – risponde Luca -. In quell’anno facciamo il “duplete”, ovvero scudetto battendo 39-33 i Seamen Milano e Coppa dei Campioni battendo 27-23 i Crusaiders Amsterdam. Con la conquista di questi due trofei tocchiamo il tetto del mondo, ma pian piano, anche per un ovvio ricambio generazionale, la squadra cambia fisionomia. In quegli anni inizia il mio girovagare da professionista insieme ai miei amici della linea difensiva. Sono numerosi i club che ci offrono buoni contratti, così ci spostiamo in blocco ai Pharaones di Garbagnatesi, club in cui vinciamo lo scudetto del 1992 battendo in finale di playoff i Lions Bergamo 35 a 25. Poi mi trasferisco ai Monaco di Baviera Cowboys con cui conquisto lo scudetto di Germania nel 1993 e disputo un altro paio di finalissime scudetto. Il tutto, fino al 1996, il mio classico anno da cancellare”.

Perchè?
“Nel 1996, mentre gioco per i Lions Bergamo, mi “beccano” ad un controllo antidoping. Risultato: positivo per l’uso di anabolizzanti, nello specifico il nandrolone, e conseguente squalifica per 2 anni”.

Come reagisci?
“La batosta che subisco è di quelle pesanti, ma fin dal primo momento riconosco che la punizione è giusta perché la regola – vietato l’uso di qualsiasi sostanza illecita -, c’è e va rispettata”.

Nel ’96 hai già 31 anni e alle spalle hai una carriera professionistica di altissimo livello: difficile pensare che tu fossi ingenuo da non sapere.
“Confermo: nessuna ingenuità da parte e nessun tentativo di cercare scuse puerili. In quel periodo, anzi, in verità parecchio tempo prima facevo uso di anabolizzanti perché grazie a questi farmaci potevo accorciare il tempo di recupero degli infortuni, degli acciacchi e delle mille botte ricevute in partita e in allenamento. Un uso certamente sbagliato, lo ammetto, ma indirizzato solo verso questo obiettivo perché, parliamoci chiaro, se sei un bidone, resti tale anche se mandi giù un’intera farmacia. Quindi, da parte mia nessun tentativo di alterare le prestazioni ma, ribadisco, solo l’intenzione di stare meglio fisicamente, non sentire troppo dolore e proseguire con gli allenamenti senza fermarmi”.

Col doping, come finisce?
“Non potendo giocare in Italia appunto perché squalificato, mi trasferisco in USA, ad Atlanta, in un team di sviluppo NFL affiliato ai Falcons. Dopo 6 settimane di allenamenti e selezioni durissime, la NFL Europe mi spedisce con un contratto garantito in Spagna, ai Dragons Barcellona. Con il team iberico conquisto il titolo di campioni d’Europa battendo Dusseldorf 38-24 nella finalissima, ma soprattutto vivo il momento migliore della mia carriera perché sto benissimo fisicamente, mentalmente sono molto sereno e, se parliamo di football USA giocato, mi porto dentro la consapevolezza e tutte le sicurezze tecniche e tattiche di chi ormai conosce alla perfezione il “mestiere”. Insomma, a 32 anni sono, e mi sento, un giocatore al top. Gioco per un anno in Germania, con i Crocodiles Colonia, e alla fine della squalifica torno in Italia, di nuovo a Bergamo per vincere sei scudetti quasi consecutivi, tre Coppe Campioni d’Europa. Il tutto fino al 2006, anno in cui, a 39 anni chiudo la mia fantastica avventura col football USA giocato in maniera continuativa. Faccio questa precisazione perché, in realtà, “stoppo” totalmente per 3 stagioni e poi per altre 3 gioco a Bergamo, Reggio Emilia e Rhinos Milano”. Quindi, per essere precisi, la vera data di addio, scritta con grandissimo dispiacere e rammarico perché giocare è la cosa più bella che uno possa fare nella vita, è segnata con caratteri di fuoco nel 2015, a 50 anni tondi tondi con una stagione in Brasile con i Leme Lizards”.

Però, nel frattempo, per non farti mancare nulla torni agli sport di combattimento.
“Per ragioni legate al football continuo a frequentare palestre e sollevare migliaia di chili al giorno perché, credimi, per reggere i tremendi, devastanti urti del nostro sport devi proprio avere un fisico bestiale. In una delle consuete sessioni giornaliere un amico che allena sport di combattimento mi mette la pulce nell’orecchio dicendomi: “Oh, Luca, adesso che hai smesso col football potresti dedicarti al K-1 e sono sicurissimo che otterresti subito risultati importanti perché partiresti con due solide basi: quella del pugilato e di un fisico allenato da tanti di football USA”.

E tu, come reagisci a questa “insana” proposta?
“Di botto gli rispondo: “Ma sei pazzo? A 39 anni, vuoi che salga ancora sul ring a fare casino?”. Poi, invece, mentre guardo la televisione vedo Bob Sapp, grandissimo linebacker nella NFL che, sul ring, tira botte, cazzotti, calci e così via. In quel momento scatta di nuovo la scintilla del “fighter” e sotto la guida di grandi allenatori come Alberto Gallazzi, Eligio Calandrino, Danilo Cattaneo e Luca Favro, mi alleno come un pazzo lavorando a 360° e perfezionando anche tecniche di combattimento a me sconosciute: vedi Krav Maga e Lotar. Dopo mesi di allenamenti infernali salgo sul ring a Imola e battendo Marco Sini mi qualifico, unico italiano in gara, per la tappa al Forum di Milano dell’Oktagon, evento spettacolare che raccoglie i migliori 20 combattenti del mondo”.

Al Forum cosa succede?
“Prima di tutto dovrei raccontarti l’incredibile emozione di combattere davanti a 12.000 spettatori e quella, altrettanto importante, di sentirsi parte di una sorta di “corpo d’elite”, cioè l’essere presente con i migliori professionisti. Infine,  devo molto a questo “spicchio” di carriera perché il trovarsi sul ring mi ha regalato tante certezze individuali che prima, facendo uno sport di squadra, non avevo. Dal punto di vista dei risultati invece dopo un paio di titoli italiani e qualche vittoria nei tornei all’estero sono costretto a smettere quando, nel 2006, ricevo un calcio che mi spezza tibia e perone. Una doppia frattura che a 41 anni mi consiglia vivamente di appendere i guantoni al chiodo”.

Torniamo al football: dopo la stagione “brasileira” come procede la tua vita?
“Un paio d’anni prima avevo già cominciato la mia carriera da coach ai Seamen Milano con un incarico da capo allenatore  livello giovanile e da assistente-allenatore della linea difensiva a livello senior. Un percorso che ha già prodotto eccellenti risultati – 5 titoli giovanili, 6 scudetti senior -, e mi ha offerto grandissime soddisfazioni perché faccio parte di un gruppo di lavoro molto affiatato composto da ex-compagni di squadra e, più importante, amici veri che condividono al mille per cento la passione per questo sport e il messaggio educativo da trasmettere ai ragazzi più giovani. Un messaggio che, nel mio caso specifico, è ulteriormente rinforzato dalle esperienze che ho vissuto. Anche quella del doping dalla quale, ça va san dire, ho imparato davvero moltissimo. Un “sapere” molto semplice, ma crudo, diretto che, oggi, cerco di passare ai ragazzi che alleno. Un sapere riassumibile in un concetto: il doping è sempre sbagliato. L’uso di sostanze illecite non è mai giustificabile perché espone a sicuri danni fisici e, non di meno, oltre ad essere una pratica eticamente e sportivamente scorretta, non ha delle reali e positive ricadute su una prestazione di squadra”.

Chiuderei con una domanda: come sta oggi il football americano dopo il “boom”, o meglio “mezzo boom” degli anni d’oro che hai appena descritto?
“Sta maluccio, come del resto quasi tutti gli sport in Italia nazione che, come noto, è “calciocentrica”. Il mio ormai è uno diventato uno sport di nicchia che, a livello di vertice, è praticato in poche città: Parma, Firenze, Milano, Roma, Modena, Bologna, Ancona. Oltre a tutto ciò è una disciplina che necessita di tanti giocatori e, per le attrezzature, richiede costi molto elevati. Elementi che mal di conciliano con la mancanza di soldi, di sponsor e di amici vogliosi di sostenerti. Però, noi del football USA siamo duri, grintosi, tenaci, abituati ad avanzare centimetro per centimetro e assolutamente sicuri di una cosa: da noi, non molla nessuno!”.

Carriera e palmares di Luca Bellora

Da giocatore:
10 CAMPIONATI ITALIANI prima DIVISIONE
4 COPPE CAMPIONI per CLUB prima DIVISIONE
1 CAMPIONATO EUROPEO per NAZIONI
1 CAMPIONATO TEDESCO prima DIVISIONE
1 CAMPIONATO NFL EUROPE
1 TITOLO CHAMPIONS LEAGUE 1 DIVISIONE 
2 TITOLI FOUR HELMETS TROPHY                         

Da allenatore:
5 CAMPIONATI ITALIANI prima DIVISIONE come assistant coach  Difensive  Line            
5 CAMPIONATI ITALIANI under 19 come assistent coach DL

Massimo Turconi

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