Con i suoi 24 punti è stato il miglior marcatore di Varese nella vittoriosa trasferta di Trieste, nella quale ha messo in mostra tutto il suo potenziale tecnico e ha guidato la squadra alla vittoria. Stiamo parlando di Trey Kell. Il numero 3 biancorosso sta ritrovando forma e smalto dopo un inizio di stagione reso davvero complicato da un brutto infortunio alla tibia destra che gli ha fatto saltare tutta la parte più importante di preparazione, condizionandolo nel rendimento al rientro in squadra.

Il suo arrivo a Varese quest’estate è stato tanto improvviso quanto pesante, essendo stato il giocatore più pagato del mercato estivo e soprattutto avendo ricevuto la piena investitura di vero e proprio ago della bilancia del sestetto. Una missione importante per un ragazzo che non ha certo paura di nascondersi, né al di fuori del campo né sul parquet, dove, passato tra il College, il Canada, la Polonia ed ora Varese, sta vivendo una crescita continua, umana e professionale. 

Quando è nata la tua passione per la pallacanestro?
“Fin da piccolo. Mio papà era un grande appassionato di basket, ne ho sempre sentito parlare in casa così come in televisione. Questo sport è tornato in tante occasioni della mia infanzia e quindi questo mi ha portato quasi in maniera naturale ad avvicinarmici”. 

Com’era la tua famiglia? Che tipo di bambino eri?
“Ho avuto un’infanzia molto segnata dalla vita sportiva. Il primo sport che ho fatto è stato baseball, ma negli USA capita spesso che si comincino a praticare diverse discipline, soprattutto visti i tanti campi all’aperto che ci sono. I miei vicini a volte si lamentavano perché rimanevo fino a tardi a giocare fuori, però questo faceva parte non solo di me stesso ma anche della mia famiglia”

Poi è arrivata l’esperienza al College. Questa avventura ti ha cresciuto più come uomo o come giocatore?
“Come persona sicuramente è un grande passo, perché è il primo momento vero in cui sei chiamato a prendere tutte le decisioni da solo. Devi decidere come organizzare la tua giornata, se andare ad allenarti da solo, se studiare, se riposarti, al di là degli impegni fissi. Dal punto di vista della pallacanestro, mi ha aiutato molto a concentrarmi sui dettagli del gioco, mi ha insegnato ad essere molto più playmaker che tiratore, cercando di giocare anche per i compagni piuttosto che solo per me stesso”.

Hai vissuto un’importante esperienza in Canada prima del salto in Europa. Com’è stato l’approccio con il mondo europeo, completamente diverso da quello americano, sia come vita che come modo di giocare a basket?
“Uscire dal College e vivere un’esperienza al di fuori degli USA molti pensano sia un passo facile ma non è così. In America si è molto più focalizzati su una pallacanestro fatta di corsa ed atletismo; da questa parte dell’oceano invece c’è molta più attenzione al gioco tattico, ai dettagli, alla fisicità ed all’utilizzare del proprio quoziente intellettivo. Ho cercato di sfruttare questo, perché non sono dotato magari di grandissime qualità atletiche, ma ho un’alta conoscenza del gioco e quindi mi sono servito di questo per farmi strada”.

C’è un allenatore che ha segnato più di altri il tuo percorso professionale?
“Sicuramente quello dell’High School. Mi ha fatto prendere confidenza con l’idea che io potessi diventare un professionista, diventando un giocatore di pallacanestro a tutti gli effetti. Ci sentiamo ancora molto, soprattutto la sera quando torno a casa dopo l’allenamento e quando ritorno in America non perdo occasione per andare a trovarlo ed allenarmi con lui”.

Se ripensi alla parentesi Summer League di quest’estate cosa ti rimane?
“E’ stata un’esperienza importante perché mi ha aiutato a rafforzare la fiducia in te stesso. Ho incontrato giocatori che sono stati scelti al primo giro e quindi l’anno prossimo giocheranno in NBA ed altri che hanno già un contratto garantito. Si lavora molto, soprattutto nel periodo del training camp e questo aiuta parecchio a crescere”.

Dopo i primi mesi a Varese, c’è un compagno in particolare con cui hai legato di più? Ti stai trovando bene in città?
“Per quanto riguarda la città e l’ambiente mi piacciono molto, penso si adatti tutto perfettamente al mio carattere. Una realtà piccola che però dà possibilità anche di vivere esperienze in città più grandi come Milano, Como e tutta la valle dei laghi. Il compagno con cui ho più legato è Beane. Parliamo molto, ci sentiamo spesso anche al di fuori del campo, giochiamo insieme alla Playstation, soprattutto a Call of Duty e NBA 2K e ci diamo diversi consigli su come cucinare”.

Alessandro Burin

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