Di sicuro non avrà più lo splendore di una volta e una sistematina non gli farebbe male, eppure il “Franco Ossola” conserva sempre il suo fascino, la sua storia, la sua atmosfera. All’ombra del Sacro Monte, anche nel silenzio della sera, le gradinate, il campo e gli spogliatoi riescono a raccontare qualcosa di un grande passato a tinte biancorosse, emozioni e sensazioni che ci si augura possano tornare a rivivere anche in futuro.
Futuro. È proprio questo il fulcro nevralgico del progetto Accademia Varese, dato che la società fondata da Sean Sogliano continua a crescere di anno in anno con un unico scopo: formare giovani calciatori da lanciare nel mondo del professionismo (come successo al classe ’04 Francesco Filippelli, passato a titolo definitivo alla Triestina). Step by step l’Accademia Varese si è fatta conoscere e apprezzare, rinnovandosi e innovandosi costantemente, forte di chi il professionismo l’ha vissuto davvero proprio tra le mura del “Franco Ossola”.
Il nuovo passo dei biancorossi verso il futuro si muove esattamente in questo senso e il responsabile dell’area tecnica Angelo Bruno ci accoglie negli spogliatoi dell’Ossola per presentarci l’istruttore di tecnica individuale dei portieri: Ermes Berton. “Prima di lasciarvi a lui – sorride Bruno – voglio solo dire che abbiamo fortemente voluto questa figura. Abbiamo sempre puntato molto sulla tecnica individuale e applicarla ai portieri rappresenta un plus importante per noi e per tutta la provincia: qui accogliamo chiunque a braccia aperte, anche ragazzi esterni alla nostra realtà. Avere Ermes, oltre ad essere motivo di grande orgoglio, testimonia la nostra volontà di crescere lavorando con un approccio professionistico che ci arriva dall’alto, da Sean, da Bruno (Limido, ndr) e da tutti coloro che sanno cosa vuol dire vivere nel professionismo. Gente come Ermes”.
Chiaramente il nome Berton non è certo sconosciuto dalle parti di Varese, e il grande preparatore dei portieri fa parte di quello storico passato che si può ancora percepire tra le mura dello stadio. Lo stesso Berton passa in rassegna lo spogliatoio con sguardo sognante che può avere solo un “ragazzone” classe ’54, ed è proprio lui a raccontarci l’emozione nell’essere qui: “Sono tornato bambino in un attimo: ho visto le facce di tutti coloro che hanno fatto la Serie B, respirato i dolori delle sconfitte e le gioie per le vittorie. È una sensazione fantastica: sono cresciuto qui e morirò calcisticamente qui”.
In cosa consiste la tecnica individuale del portiere?
“Nel creare un portiere. Dopo 54 anni di carriera ho voluto abbandonare il calcio dei grandi per dedicarmi ad un ambiente meno impegnativo, ma più costruttivo. Si lavora sull’esperienza e sull’aspetto puramente tecnico. Nel primo caso occorre sapere cosa serve per lavorare con i piccoli, ed essendo genitore e nonno diciamo che me la cavo; poi si passa alla metodologia costruttiva, suddivisa in tante capacità da cui si parte per formare il giovane sia come persona sia come portiere. Alla base di tutto, infatti, c’è la conoscenza: serve sapere cosa esige un ragazzo, identificare i suoi bisogni e fornire di conseguenza i migliori percorsi didattici d’apprendimento. Non a caso lavoriamo su una fascia d’età compresa fra gli otto e i sedici anni, il periodo chiave dell’evoluzione psicofisica di una persona”.
Come si lavora in tal senso?
“Il primo passo consiste nella coordinazione. Quando io ero piccolo la coordinazione si faceva sui campi, nei boschi, in oratorio o, banalmente, giocando per strada; oggi si è persa questa cultura e, mi duole dirlo, le scuole non sempre hanno palestre adeguate allo sviluppo fisico. Dopo aver fatto conoscere il suo corpo al ragazzo, e come questo viene controllato dalla mente, iniziamo a lavorare sulla ricezione e trasmissione palla con i piedi e su come gestire i piedi. Il terzo step consiste nell’occupazione dello spazio e nel posizionamento tra i pali; poi seguono la tecnica di presa, del tuffo, la reattività e quant’altro ne deriva. Risultati? È un discorso soggettivo: ho perso il conto dei portieri che ho allenato, di sicuro più di 500, e nessuno risponde allo stesso modo. Di certo è evidente come la figura del portiere sia cambiata, motivo per cui è necessario far apprendere al più presto la tecnica individuale”.
La figura del portiere è cambiata perché il calcio è cambiato, dico bene?
“Esatto, ogni anno si migliora. Quando avevo 14 anni io non esisteva tutto questo: nessun preparatore dei portieri mi ha mai detto come mettere il corpo, come uscire o come impostare. Si tirava in porta e basta. Oggi invece ci si innova costantemente, ed esistono anche attrezzature specifiche che aiutano un portiere a migliorare. Questo cambiamento è dettato anche dall’evoluzione delle regole: una volta il portiere poteva prendere il pallone con le mani su un retropassaggio, mentre oggi non si può più fare, il che implica la capacità dell’estremo difensore di saper gestire il possesso con i piedi. Una volta si era prigionieri della porta, oggi il portiere si è trasformato in un vero e proprio libero”.
Apriamo una parentesi sul sempreverde dibattito della costruzione dal basso. Cosa comporta nella forma mentis di un portiere?
“La costruzione del gioco è una delle prime capacità che insegno. Una volta il portiere doveva solo buttar via il pallone, mentre oggi è il primo regista, colui che fa partire l’azione. In questo è fondamentale la coordinazione mente-piede, un aspetto ben più importante del semplice sapersi tuffare. Se guardiamo le statistiche un portiere compie in media tre o quattro parate a partita, mentre si ritrova a dover calciare almeno una ventina di volte. Ciò significa che l’estremo difensore è parte integrante del gioco di squadra, il numero uno a tutti gli effetti. Da ex portiere questo aspetto non può che farmi piacere perché a volte ci si sente soli, isolati dal resto della squadra; negli ultimi anni, invece, ci si è resi conto dell’importanza di questo ruolo e anche i giornali ne parlano molto di più”.
Nel ruolo del portiere un ruolo primario è giocato dalla personalità. In questo senso, è corretto dire che il compito di un allenatore/formatore stia diventando sempre più simile a quello di uno psicologo?
“La psicologia è fondamentale, a maggior ragione se fai il portiere. Come ho detto prima il nostro è un ruolo particolare, che ti porta magari ad isolarti dal resto della squadra: nelle nuove generazioni avverto troppo spesso la mancanza di personalità. Ai miei tempi si aveva il piacere, la voglia e il coraggio di giocare in porta; oggi sono in pochi ad avere l’entusiasmo e le capacità caratteriali per farlo. Manca la personalità. C’è chi ce l’ha innata, chi ce l’ha ma non la esprime e chi proprio pecca di temperamento e di forza di volontà; in quest’ultimo caso è chiaro che diventa difficile ottenere risultati importanti”.
All’Accademia Varese che risultati si stanno raccogliendo con questo approccio?
“Premetto che già solo il fatto di stare qui all’Ossola mi fa star bene e, in generale, all’Accademia Varese c’è un grande ambiente in cui si può lavorare nel migliore dei modi. Come dicevo ad Angelo non posso dire di aver visto miglioramenti clamorosi, ma me l’aspettavo perché ovviamente ci vuole tempo e pazienza. Di sicuro, però, ho percepito un cambio di atteggiamento: i ragazzi sono ricettivi, sanno ascoltare e hanno volontà di crescere. Qualche passettino in avanti c’è stato e il margine per fare grandi cose c’è”.
Abbiamo già detto che il calcio si evolve rapidamente. In questo senso, quanto è importante saper prevenire e prevedere quale sarà la prossima evoluzione?
“Il calcio cambia continuamente e definire con certezza dove si arriverà è pressoché impossibile; di sicuro, però, si andrà verso un calcio sempre più veloce. Quando giocavo io la palla era molto più lenta e l’abilità di un portiere deve essere quella di capire la storia del pallone che viene calciato: siccome la velocità di quel pallone aumenta di anno in anno, i portieri dovranno essere sempre più rapidi e decisi. Io parlo molto con i ragazzi: a volte capita che qualcuno non capisca una situazione e io collego quella specifica circostanza al passato per il presente, ma dimenticando il futuro: la palla che io sto calciando ora, fra tre anni sarà molto più veloce così come già adesso è più veloce rispetto a tre anni fa. Morale della favola: bisogna stare attenti ed essere pronti a maturare in fretta”.
In questo senso, e qui concludiamo, la “Scuola Berton” è fondamentale?
“Diciamo di sì (sorride, ndr). Ci tengo a sottolineare che, per quanto le sessioni di allenamento si svolgano ovviamente in gruppo, questa scuola è assolutamente individuale: lavoriamo attentamente sul singolo, correggendo ogni dettaglio e ogni movimento, dando a tutti le stesse opportunità di crescere. Qui prefissiamo le mete didattiche a livello cognitivo, motorio, affettivo e propriamente tecnico che gli atleti possono raggiungere: il percorso di apprendimento si sviluppa proprio in relazione agli obiettivi prescelti, riconoscendo i supporti di tipo funzionale presenti in ogni persona che permettono di migliorare il rapporto con il proprio corpo, lo spazio e il tempo. Funzionalità ed equilibrio di questi elementi sono sia un prerequisito sia un obiettivo indispensabile per formare la personalità dell’atleta. Ogni lunedì dalle 18.00 alle 19.30/20.00 tutti i portieri della provincia sanno che possono trovarmi qui e garantisco che lavorerò sodo per migliorarli”.
Matteo Carraro