Dopo ‘Essere brillante’, il 3 Marzo è stato pubblicato ‘Allenatori brillanti’, secondo libro di Gabriele Colombo. Una guida alla scoperta dei segreti e dei consigli che possano favorire ed aiutare coloro che ricoprono il ruolo di allenatore. Giovedì 17 l’autore sarà presente al circolo “Quarto stato” di Cardano al Campo per un evento di presentazione del suo libro.

Cosa l’ha portata a scrivere di sport, considerando che, il suo primo libro, trattava di tutt’altre tematiche?
“Il nesso tra i due libri è dato dal come io e l’altro autore, Beppe Lamberto, ci siamo conosciuti: io allenavo una squadra di rugby e lui era un mio giocatore. Ho condiviso molti momenti con lui fuori dal campo. Nel primo libro volevo parlare di altro, ma sono stato influenzato dalle esperienze vissute. Nella nostra prima pubblicazione abbiamo trattato di stimoli che, durante il lockdown, sarebbero potuti essere d’aiuto a qualcuno; nel frattempo mi sono accorto che anche nello sport c’è bisogno di qualcosa che sproni a farti dare il meglio”.

Intercorre una differenza radicale tra i concetti dei due scritti che, tuttavia, hanno in comune l’intento di mettere in luce i talenti, può parlare di questo filo conduttore?
“Il filo conduttore è il concetto che abbiamo delle nostre risorse: io sono stato un educatore in contesti poco positivi come centri di recupero e ho sempre improntato il mio lavoro sul far emergere gli aspetti positivi delle persone; spesso, infatti, vengono trascurati perché non si vedono. Il concetto alla base rimane quello di far brillare e dare luce a quello che uno si tiene nascosto. Quando abbiamo scritto ‘Essere brillante’ la luce stava venendo meno per me e Beppe e ci ha fatto ritrovare motivazioni per continuare. In ambito sportivo, invece, mi risulta più semplice perché faccio parte di alcuni staff e questo è il mio pane quotidiano”.


In “Allenatori Brillanti” parla di ‘crescere con gli altri’ cosa intende con questo concetto?
“In quel capitolo si parla soprattutto dell’importanza delle relazioni: la bravura di un allenatore, secondo me, si misura dalla capacità che ha di instaurare rapporti che aiutino a raggiungere un obiettivo. L’interazione tra giocatori e coach, anche solo sul campo e non necessariamente esterne, è fondamentale; tuttavia oggi si lavora molto sul team building. Il concetto fondamentale è quello di non lasciare indietro nessuno: bisogna curare al meglio l’anello debole per migliorare il singolo e di conseguenza tutta la squadra, anche se questo dovesse giocare solo 20’, deve essere in grado di aiutare. Molti coach sminuiscono questo principio, ma più si sale di livello, più la cura dei dettagli risulta decisiva”.

Che tipo di approccio suggerisce, invece, per la risoluzione dei conflitti in spogliatoio?
“Nel libro sicuramente quello di calmare gli animi; tuttavia non bisogna intervenire all’istante. Serve restare nel problema, senza necessariamente risolverlo subito perché, spesso, questo implica mettere in disparte colui che causa un problema per evitare che si ripeta. I conflitti correggono le relazioni e bisogna lasciar interagire i soggetti perché si risolvano al meglio le problematiche. Non è semplice mettere in pratica questo principio ma, insegnare a dirsi le cose in faccia, aiuta a far crescere la squadra. Stare dentro il conflitto approcciandolo nel modo giusto, senza toccare l’identità delle persone con insulti, ma limitandosi a dire ‘questo non funziona’, si migliora la squadra. Quello di dare le competenze ai singoli per risolvere le discussioni è un principio che serve a risolvere i dibattiti sul lungo periodo, evitando il reiterarsi di questi screzi”.

Da cosa nasce la necessità di confrontare ed aprire il proprio pensiero con altri allenatori?
“Per prima cosa dal fatto che io sento il bisogno di sentirmi sicuro: si studia e si lavora per anni ma, io, necessito di un confronto per sapere di aver fatto bene il mio lavoro. Io preferisco di gran lunga lavorare in gruppo piuttosto che da solo; il confronto mi ha fatto capire che stavo facendo qualcosa di utile e, inoltre, ho imparato molte più cose dagli allenatori di quante pensavo di apprenderne”.

Con questo libro si pone l’obiettivo di far brillare chi ricopre il ruolo di allenatore, in che modo pensa che la lettura dello scritto possa aiutare?
“Per rispondere riporto le esperienze di chi l’ha letto: il concetto è che l’allenatore, spesso, fa fatica a capire quali sono le sue ricchezze. Prima di tutto aiuta perché, il lavoro in gruppo, mi aiuta a porre domande diverse da quelle che vengono fatte normalmente e questo stimola una riflessione. Il secondo punto è che, questo libro, è molto semplice e pratico. Racconto anche di me e dei miei errori quindi, magari, questo aiuta a trovare delle soluzioni che possano risultare utili anche agli altri. I confronti con i mister sono stati, indubbiamente, la parte più utile a livello personale di tutto lo scritto”.

Andrea Vincenzi

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