La bellezza di questo mestiere si nasconde in quei piccoli grandi gesti inaspettati, capaci di sorprenderti. Come il commento isolato del diretto interessato all’articolo che lo riguarda, quest’ultimo scritto senza minimamente immaginare che il personaggio in questione potesse mai leggerlo o venirne a conoscenza. Con Edenilson Bergonsi è successo proprio questo, nonostante gli oltre 10.000 chilometri che separano in linea d’aria Varese da Carlos Barbosa, la sua città.

“Su Google – spiega Bergonsi – ho impostato una notifica che mi avverte ogni qual volta viene citato il mio nome su Internet. Ho visto l’articolo pubblicato su VareseSport e mi sono chiesto: ma come hanno fatto a ricordarsi di me, se a Varese non ho mai giocato?”. Non potevano che sorgere la curiosità e la voglia di intervistare Edenilson dopo quel commento in cui accenna alla sua esperienza varesina dicendo: “Grazie per avermelo ricordato, purtroppo non ho avuto alcuna possibilità di giocare con Sannino”.

Quindi hai apprezzato l’articolo?
“Certo, mi ha fatto piacere che abbiate pensato a me. Ho condiviso il link sul mio profilo Facebook e ha suscitato un certo interesse. Non immaginavo che qualcuno da Varese potesse dedicarmi un servizio, dal momento che non ho mai avuto l’opportunità di scendere in campo”.

Prima di parlare della tua esperienza varesina, occupiamoci dell’attualità: in questo momento ti trovi in Brasile, giusto? Tra l’altro provieni da una zona molto ricca di italiani…
“Sì, è così. Vivo a Carlos Barbosa, la mia città natale. Qui, come in tutto lo stato del Rio Grande do Sul, la maggior parte delle persone è di discendenza italiana: entrambi i miei bisnonni, ad esempio, lo erano e questo mi permette di avere il passaporto comunitario. In virtù delle mie origini, uno dei miei obiettivi era ovviamente quello di giocare nel vostro paese”.

Sei rimasto quindi legato alla tua città, dove la tua carriera ebbe inizio.
“Esattamente, qui iniziai a giocare a calcetto quando ero bambino. In Brasile è normale cominciare con il futsal, e qui a Carlos Barbosa è un passaggio naturale visto che la squadra locale è una delle più titolate in Brasile e in Sud America. Crescendo passai al futebol, iniziando nelle giovanili del Gremio. A 16 anni ero già considerato un calciatore professionista e così iniziai a fare esperienza in diverse squadre locali, tra le quali il Mogi Mirim, in cui militò anche il mitico Rivaldo. Nel 2009 arrivò la chiamata della Juventude, un club di una certa importanza in Brasile: basti pensare che in quel periodo giocavo assieme ad Alex Telles, ex Inter, Porto e Manchester United. In quel periodo riuscii a ritagliarmi spazi importanti, facendomi notare”.

Il tuo nome iniziò a circolare anche in Europa, fino a quando il Varese decise di puntare su di te. Come nacque la trattativa?
“Il mio procuratore aveva ricevuto due offerte concrete dall’Italia: quella dei biancorossi e quella del Crotone. Lui spinse per il trasferimento a Varese, poiché probabilmente sarebbe stato più facile giocarsi le proprie carte in una squadra neopromossa, ma le cose non andarono come speravamo”.

Cosa non funzionò? Sannino non ti vedeva proprio…
“Considera che era la mia prima esperienza all’estero, non parlavo una parola d’italiano. Mi presentai al raduno, primo allenamento della stagione: il mister arrivò e non mi salutò neanche. Insomma, non fu un inizio promettente. Mi ci volle del tempo per ambientarmi, ma col passare dei giorni credevo che mi venisse concessa una chance, anche perché mi allenavo spesso con la Prima Squadra. In fin dei conti furono loro a cercarmi, avevano puntato su di me. Accettai di giocare con la Primavera pur di accumulare minutaggio, ma Sannino preferiva affidarsi a giocatori già formati, gente d’esperienza. Era un personaggio particolare (sorride, ndr). Ad ogni modo, con l’arrivo del mese di gennaio chiesi la cessione, quella situazione non poteva andare oltre”.

E così ti trasferisti in Belgio, riuscendo finalmente ad emergere.
“Avevo bisogno di giocare, volevo dimostrare che potevo dire la mia in Europa. Il passaggio al Brussels fu fondamentale: giocai solo undici partite, ma riuscii a segnare due reti importanti e a fine stagione salvammo la squadra dalla retrocessione. In estate mi cercarono sia lo Standard Liegi che l’Anderlecht, due club prestigiosi, il meglio che c’è in Belgio. L’esperienza in Vallonia con lo Standard fu sfortunata perché arrivai proprio nel momento del cambio di proprietà societaria, inoltre emersero problematiche sia di natura economica che contrattuale e io alla fine rimasi fuori squadra”.

Come andò a finire?
“A fine stagione passai al Cerno More Varna in Bulgaria, trascorrendo forse l’esperienza più bella della mia carriera. Giocai tanto, piacevo ai tifosi ed ero considerato uno dei migliori calciatori del campionato. Ero riuscito a trovare quella stabilità che fino a quel momento mi era sempre mancata. Quelle due fortunate stagioni mi valsero la chiamata del CSKA Sofia, ma ancora una volta la sfortuna fece la sua parte: la società fallì nel 2016, pertanto non ricevetti alcun compenso e come me molti altri ragazzi rimasero scottati. Solamente due anni fa venni risarcito grazie all’intervento della Fifa”.

Nelle stagioni successive hai avuto modo di girare l’Europa: dicci di più delle tue esperienze.
“In Kosovo giocai nel Drita, un club titolato che oggi è ormai presenza fissa nei turni preliminari delle coppe europee, quell’anno vincemmo la Supercoppa. Conservo bei ricordi, almeno tanto quanto la stagione che trascorsi in Lituania nel 2020 tra le fila del Panevezys. Sulle sponde del Baltico fui titolare e vincemmo la coppa nazionale, guadagnandoci un posto nelle qualificazioni dell’Europa League. Avventura altrettanto affascinante fu quella appena conclusa a Gibilterra nel Bruno’s Magpies, nella quale perdemmo la finale di coppa dopo aver dominato la partita. Eravamo 1-0 fino al minuto 88’, ma subimmo troppo il forcing degli avversari e nel giro di pochi minuti ribaltarono il risultato. Ad ogni modo, mi trovai davvero bene: temperatura sempre gradevole e tifo caldo nonostante la città abbia pochi abitanti, è un movimento in continua crescita”.

In mezzo a queste avventure però ci fu anche modo di tornare in Italia per un breve periodo.
“Vero, ma preferisco non parlarne. Tra Luparense e Atletico Fiuggi giocai solamente una manciata di partite a causa di alcune noie fisiche, ma non furono l’unica ragione: andai via in fretta anche a causa di alcune scelte societarie”.

Ora Edenilson Bergonsi cosa fa? E che programmi ha per il futuro?
“Attualmente, come dicevo prima, mi trovo a casa mia in Brasile. Al termine della stagione sono tornato qui per stare vicino ai miei cari e nel frattempo è nato Gael, mio figlio: una gioia indescrivibile. In estate il Bruno’s Magpies mi ha chiesto di tornare per giocare le qualificazioni di Conference League e affrontare assieme la nuova stagione, ma ho rifiutato: ora che ho una famiglia voglio spostarmi solo se ne vale davvero la pena. Attualmente sto giocando in una società locale per stare in forma, ma sto valutando il da farsi. La mia famiglia gestisce una ditta di pulizie industriali, perciò potrei concentrarmi su quell’attività, ma sono anche attirato dall’idea di diventare procuratore. Ho già fatto da intermediario per il passaggio di un giovane ragazzo brasiliano nel campionato bulgaro, perciò l’interesse c’è”.

Ti piacerebbe tornare in Italia anche solo per un viaggio? Magari facendo una tappa proprio a Varese…
“A dire la verità io e mia moglie ci stiamo già pensando, anche perché ci siamo sposati proprio nella vostra città. Sarebbe bello poter tornare come turisti e rivivere certe emozioni con occhi nuovi. Sono sicuro che troveremo l’occasione giusta per tornare”.

Dario Primerano

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