Doverosa premessa storica: per gran parte degli anni ’60 e ’70, per noi tifosi di Pallacanestro Varese era un dovere morale e civico detestare l’Olimpia Milano. Milano, infatti, era la società che ci contendeva gli scudetti, che ci costringeva agli spareggi per assegnare il tricolore, che in qualche occasione ci li soffiava sotto il naso con modalità non esattamente regolari – vedi il famosissimo “caso Tony Gennari nel 1966 -, che aveva in panchina un satanasso come coach Cesare Rubini, che in campo aveva uno strepitoso, e da noi invidiato Art “Rosso” Kenney e, di fatto, le provava tutte per spezzare l’egemonia varesina.
Quindi, per l’Olimpia Milano, nessun interesse. Piuttosto, se proprio devo, faccio il tifo per l’altra Milano: la Pallacanestro Milano 1958.

Che poi, simpatizzare per l’altra squadra meneghina era facile, giusto, più bello. Quando Pallacanestro Varese giocava lontano da Masnago era quasi un rito domenicale correre al PalaLido e applaudire le varie All’Onestà, MobilQuattro, Xerox e Amaro 18 Isolabella. Tutto veniva abbastanza naturale anche perchè in PallMilano, nel corso degli anni, si era trasferita una folta colonia di varesini. Da Toto Bulgheroni a coach Garbosi, da Piero Gergati a suo fratello Beppe, per finire con la coppia formata da Claudio Guidali e Marco Veronesi, giusto per citarne solo alcuni.

Così, al PalaLido, insieme al classico coro “Lotta Jura (Chuck, famoso e straordinario pivot USA che giocava a Milano) senza paura”, si sentiva spesso il ritornello: “Claudio, oh, oh, Claudio Guidali”.

Eccovi dunque, dopo questa lunga prolusione, la storia cestistica e umana di Claudio, uno dei giocatori più efficaci, versatili e addirittura letale che abbiano mai calcato i parquet italiani. Claudio è il prototipo di quello che oggi viene impropriamente definito “pivot bonsai“, intendendo identificare con questo termine un giocatore di dimensioni fisiche limitate – Claudio è 200 cm -, che però possiede tutti i movimenti naturali dei centri “vecchi scuola”. Quindi: buonissimi fondamentali col piede perno; giocate sopraffine fronte e schiena a canestro; grande precisione nel tiro dalla media; propensione al rimbalzo; atletismo da esterno; intensità, aggressività e durezza difensiva e ancora tante altre qualità.

Tutte note positive grazie alle quali Guidali si è costruito un’ottima carriera in serie A e, in seguito, una lunghissima avventura anche nelle categorie sotto il livello professionistico.

E pensa che tutta la mia “storia” con la pallacanestromi racconta in apertura di intervista Guidali nasce assolutamente per caso verso i 14-15 anni, un’età che di solito non si concilia con l’inizio di un’attività sportiva non esattamente facile come il basket. A spingermi verso la pallacanestro è mio fratello Roberto che, tifosissimo Ignis Varese, intuisce nelle mie doti fisiche un abbozzo di giocatore. Infatti a 14 anni ero già lungo lungo e secco secco, senza uno straccio di muscolo attaccato al corpo, ma con un dinamismo più che decente e piedi abbastanza rapidi in rapporto all’altezza. Mio fratello, purtroppo scomparso giovanissimo, mi trascina letteralmente in palestra proprio col gruppo dell’Ignis classe 1950, quello di Dino Meneghin tanto per intenderci, ma quei ragazzi sono tutti molto bravi e troppo preparati rispetto a me. Poi, devo aggiungere, l’impatto con quell’ambiente non è per nulla invitante perchè, visto che ovviamente non so fare nulla, il coach mi fa correre come un cavallo. In quel primo allenamento, si fa per dire, penso di essermi sciroppato almeno 150 giri di campo. Per cosa? Non l’ho mai capito“.

Dopo quell’impatto cosa succede?
L’Ignis mi convoca comunque per un torneo di fine stagione all’Oratorio di San Vittore nel quale faccio praticamente da spettatore. In quel contesto mi nota però uno che la sa lunga: coach Gianni Asti che, non so come, convince i dirigenti di Pallacanestro Varese a lasciarmi libero di seguirlo in Robur et Fides. Per tutta l’estate coach Giannino mi martella con  allenamenti quotidiani intensissimi e mi insegna tutto quello che, almeno inizialmente, mi serve per stare in campo.
In seguito, con sporadiche, molto rare apparizioni nel campionato juniores, nella stagione 1966-1967 coach Asti mi inserisce nella rosa della prima squadra in serie B al fianco di giocatori di alto livello come Vaccaro, Dodo Colombo, Rodà, Baroni, Santoni, Roberto Gergati. Grazie a questi “senatori” nel giro di un paio di stagioni completo la mia formazione cestistica e umana e nel 1970-1971, in concomitanza con il servizio militare, ho l’opportunità di giocare in serie B nelle Forze Armate. Quella trascorsa in grigio-verde è un’annata decisiva perchè gioco tantissimo, da protagonista e, aspetto  determinante, senza l’assillo di sbagliare. Così al ritorno in Robur Varese sono un giocatore molto più maturo tecnicamente e pronto mentalmente. In una squadra decisamente attrezzata, in buona parte formata da giovani del vivaio, faccio la mia figura e do il mio contributo per tagliare un traguardo incredibile: la storica promozione in serie A della R&F ottenuta battendo Siena dopo un drammatico, ma bellissimo, esaltante, spareggio-promozione“.

Nel giro di pochi anni passi da quei 150 giri di campo alla serie A: un’emozione che riesco solo ad immaginare
Emozione? Per dir la verità non l’ho nemmeno vista passare dal momento che il mio primo anno in serie A è marchiato a fuoco dalla sfortuna e dal dolore. Infatti durante il pre-campionato, in una gara di Coppa Italia contro la MobilQuattro Milano, mi infortuno gravemente: rottura del legamento collaterale del ginocchio e “ciao ciao” a tutta l’annata anche perchè quando alla fine di febbraio dell’anno successivo rientro nel gruppo la squadra è ormai retrocessa da diversi mesi. Così ripartiamo per un’altra stagione di serie B e con una squadra ancora molto buona conquistiamo un altro spareggio per salire in serie A, questa volta contro Mestre che, guidata dal fenomeno Villalta, ci batte. Ma la delusione per la sconfitta svanisce in fretta perchè la serie A mi arriva da un’altra direzione grazie a un’offerta dalla Pallacanestro Milano club che, nel frattempo, è diventato una sorta di “dependance” varesina. Nella sede di PallMilano hanno già trovato casa Beppe Gergati, Mimmo Giroldi e Totino Rodà così io e Marco Veronesi, ultimi acquisti della coppia Maumary-Milanaccio, ci sentiamo ancora in Piazza Monte Grappa“.

Com’è l’impatto con la serie A a Milano? Cosa ricordi in particolare?
Devo essere sincero?

Beh, fai tu, penso sarebbe meglio…
L’impatto, senza voler offendere nessuno, è quello di due “paesanotti” che approdano nella grande città. Noi, io e Marco intendo, siamo davvero ragazzi di provincia con altre abitudini e differenti ritmi di vita. A Milano tutto ci appare un po’ strano e sicuramente più complicato sia nella vita quotidiana, sia nella pallacanestro. Bastano però poche settimane per entrare appieno in entrambe le dimensioni. Prima ovviamente quelle del basket professionistico con allenamenti anche al mattino, riunioni tecniche, palestra pesi, impegni di varia natura per il club. Poi, la dimensione di Milano-City che, allora, offriva uno stile di vita clamorosamente diverso da quello in uso nel varesotto. Alla fine però tutto risulta bello, stimolante e gratificante“.

Invece il tuo impatto tecnico, me lo ricordo bene, fa saltare sulla sedia numerosi addetti ai lavori
Chiamalo effetto sorpresa perchè probabilmente nessuno si aspettava un lungonegli anni ’70 noi giocatori di due metri rientravamo per forza in quella categoria -, rapido, con un buon tiro dalla media e altre qualità da giocatore di perimetro. Poi, aggiungo, giocare al fianco di un califfo come Jura è facilissimo, basta approfittare degli spazi enormi che Chuck, con la sua sola presenza, è in grado di aprire. Spazi che per un paio di campionati mi consentono di essere uno dei migliori marcatori italiano“.

Quattro campionati nell’altra Milano: sensazioni?
Sensazioni bellissime, prima di tutto. Poi, sempre presente, l’orgoglio classista di giocare da “peones” contro i “ricchi” della nostra pallacanestro. Così ogni volta che battiamo l’Olimpia, e in quegli anni succede spesso, facciamo festa per una settimana. In definitiva posso solo dire che sono stato molto bene. Dentro e fuori. Dentro ho conosciuto ragazzi fantastici come Jura, Serafini, Farina, De Rossi, Rancati, il professor Dido Guerrieri, il dottor Blini, il mitico masseur Natalino “Nata” Redaelli e tanti altri personaggi ancora. Fuori, invece, ho avuto la fortuna di vivere una vita da privilegiato e l’opportunità di girare l’Italia e mezzo mondo e vedere posti che in condizioni normali non avrei mai visto. A conti fatti ho un solo vero rimpianto: è durata troppo poco, solo quattro anni. Col senno di poi avrei messo volentieri almeno una decina davanti a quel 4“.

Perchè è finito così rapidamente quell’amore?
L’avvento del secondo straniero in campionato, in Xerox arriva Bob Lauriski che gioca nel mio stesso ruolo ed è più forte di me, mi toglie molto minuti di gioco, responsabilità e motivazioni. Così, dopo un campionato da cambio, cerco di cambiare donna e valuto le offerte che ho sul tavolo. La più interessante è quella della Scavolini perchè coach Tonino Zorzi mi vuole con lui a Pesaro. Tuttavia, la contropartita economica non è esattamente adeguata, soprattutto non vale un cambio radicale della mia vita. Per lasciare Varese, la famiglia e le mie attività servirebbe un contratto più sostanzioso che Pesaro però non mi offre. Per questo motivo, e ragionando anche in ottica di lavoro futuro, lascio Milano, il basket professionistico e accetto la proposta dell’Omega Bilance, società emergente e ambiziosa di Busto Arsizio. L’Omega in quel periodo è protagonista importante in serie B tant’è vero che negli anni trascorsi a Busto arriviamo vicinissimi al salto in serie A2, senza però riuscire a completare l’opera. Negli anni successivi quando Busto ridimensiona le sue prospettive, torno in Robur e con coach Dodo Colombo in panchina vinciamo il campionato di serie C, ma in serie B pur avendo una squadra molto attrezzata non scatta mai il feeling tra noi giocatori e coach Dodo Rusconi. Troppi sono i malumori e, alla fine, combiniamo davvero poco. Per me quello è l’ultimo campionato di alto livello perchè avendo già iniziato un’attività lavorativa extra-basket di tempo per allenarmi e pensare alla pallacanestro ne resta davvero pochissimo“.

Quindi, che fai?
Quindi, come sempre capita, si scende di livello e il basket si trasforma in tante cose: uno sport sempre divertente; un bel modo di tenersi in forma, frequentare belle persone e vivere grandi emozioni. Così, poco dopo i trent’anni varco la soglia delle serie minori che tra Venegono in C1; Malnate e Gazzada tra serie D e Promozione saranno il mio “regno” per una decina di campionati. Tutto infatti si interrompe nell’ottobre del 1990 quando un’altra rottura del legamento crociato mi consiglia di andare in un negozio di ferramenta, comprare un chiodo robusto e attaccarvi le scarpe“.

La pallacanestro però, anche se non più giocata, continua
Prosegue, prosegue, ci mancherebbe altro. Per circa una decina d’anni lavoro come general manager, direttore sportivo e anche presidente in alcuni club del varesotto in particolare a Venegono, club con cui insieme ad un ottimo coach come Andrea Sterzi mettiamo insieme buonissime annate. Tuttavia, per come sono fatto e per il mio carattere, che ritengo essere onesto e molto diretto nei rapporti, il ruolo di dirigente non è appropriato al 100%. Troppi i compromessi da accettare e numerosi anche i punti di frizione con le persone che circondano l’ambiente. Così, un po’ per stanchezza, un po’ per evitare cefalee e inutili discussioni nel 2002 tiro una riga su tutto e, dopo 37 anni filati, chiudo definitivamente il mio viaggio, meraviglioso e inaspettato, nel mondo della pallacanestro“. 

Smettere con la palla a spicchi a soli 52 anni: non è un po’ troppo presto? Hai qualche rammarico?
Nessun rammarico, nessun rimpiantorisponde sollecito Claudio -. Con la pallacanestro mi sento in pari: ho avuto tutto l’immaginabile, ho dato tutto quello che avevo dentro. Poi, a margine, non essendo tagliato per ruoli tecnici e non potendo per ragioni di lavoro spendermi al 100% nei ruoli dirigenziali, è stato giusto dire “Stop, capolinea, termine corsa

Hai accennato più volte alla tua seconda vita, quella professionale. Cosa hai fatto nel dopo-basket?
Grazie ad un parente mi avvicino abbastanza prestogiocavo ancora in serie A alla Xerox Milano -, al mondo del commercio in qualità di rappresentante. Nello specifico come rappresentante di abiti da uomo di alta gamma. Per qualche anno affiancando zio Fernando imparo un mestiere che dal 1985 al 2021 diventa il mio vero lavoro: bello, interessante, vario, quasi artistico e, aspetto importante, sempre a contatto con le persone“.

Famiglia?
Sposato, separato, una figlia, Guia e una nuova compagna. Guia, classe 1986, ha giocato a pallacanestro ed era anche abbastanza dotata tecnicamente e fisicamente, ma dopo le giovanili, giustamente, ha scelto lo studio e dopo la laurea in economia è diventata manager di una importante multinazionale. Guia mi ha reso felicemente nonno ed ora vivo serenamente in una classica famiglia allargata“.

Adesso è il momento cruciale: ricordi di gioco più importanti e aneddoti significativi
Tra i ricordi agonistici che mi porto nel cuore c’è quello relativo ad una straordinaria partita difensiva fatta contro Tom Mc Millen, fortissima ala USA che giocava nella Virtus Bologna. Per tutta la settimana precedente la gara Prof. Dido Guerrieri mi fa una testa così – “Claudio solo tu puoi marcare Mc Millen. Claudio, hai tutte le qualità per limitarlo…” e via di questo passo“.
Insomma, alla fine, Dido mi carica a molla e io produco un partitone: tengo Mc Millen a una dozzina di punti – normalmente scriveva 30 -, faccio bene anche in attacco, battiamo Bologna e i tifosi mi portano in trionfo. Spettacolare>.

Altro?
Aneddoti del periodo milanese ce ne sarebbero a bizzeffe, ma io voglio ricordare le “prodezze” del professor Blini, illustre e famoso medico ma, ahilui, non esattamente una vista di falco e, per questa ragione, chiamato “Mr. Magoo”, come il protagonista “cecato” del famoso fumetto. Ho il primo contatto con Blini durante le visite di rito nel passaggio da Varese a Milano. Come detto ero reduce dall’intervento al ginocchio ma Blini, che a tre centimetri dal naso non vedeva più nulla, passa almeno cinque minuti a visitarmi la gamba sana e tutto contento mi dice: “Bene signor Guidali, mi sembra che il suo ginocchio sia perfettamente guarito..Stavo per cadere dal lettino per lo stupore. A Treviso, prima di una riunione tecnica cerca di uscire con passo affrettato dallo spogliatoio, ma purtroppo infila direttamente un armadio. Credo che le nostre risate echeggino ancora oggi. Ma “Il dutur”, luminare della medicina e uomo coltissimo, dava il meglio di sè nelle trasferte quando poteva offrirci dotte spiegazioni riguardo a monumenti e citazioni storiche. Solo che noi, ovviamente bastardissimi, una alla volta ci defilavamo e lui, che ci vedeva pochissimo, dopo un po’ rimaneva da solo con i passanti che lo guardavano e scrollavano la testa pensando fosse uno svitato. Poi Blini, insieme al fido Nata Redaelli, formava una coppia strepitosa, invidiata da tutto il basket italiano“.

Andiamo, come detto, alle tue “nomination”: chi è il tuo giocatore top?
Non me vogliano i tifosi varesini, ma io scelgo Chuck Jura che, a mio giudizio, è stato lo straniero più forte mai arrivato in Italia. Jura sapeva fare tutto e, di più, era il leader assoluto nonchè il giocatore trascinante di una squadra di medio valore come la nostra, mentre Bob, che naturalmente non si discute, è stato un favoloso campione, ma in mezzo ad altri campionissimi e, si sa, giocare con quelli “bravi bravi” è sempre più facile. Chuck invece era spesso costretto a fare il boia e anche l’impiccato, di frequente giocando anche per  2-3 compagni di squadra che marcavano visita. Insomma: un “mostro” di bravura, ma anche di simpatia, disponibilità, generosità e gentilezza“.

Allenatori?
Scelta facilissima: Gianni Asti che mi ha insegnato tutto dalla A alla Z e Dido Guerrieri, un coach che sapeva abbinare conoscenze da scienzato della pallacanestro ad un’umanità rara e comportamenti sempre rispettosi nei confronti di noi giocatori. Guerrieri, non sono il solo a pensarla così, dalla pallacanestro in termini di risultati non ha ricevuto quello che avrebbe meritato, ma resta un coach con idee all’avanguardia e una grande persona”.

Il tuo quintetto “All-Time”?
Ossola, Brumatti, Bertolotti, Dino Meneghin e Jura

Il quintetto del cuore?
Sali, Frattini, Balanzoni, Veronesi e il sottoscritto. E, aggiungo, ma insieme a questi ragazzi, quanto ci siamo divertiti? E quanto abbiamo vinto a Varese e provincia? Tutto bellissimo, tutto da ricordare, tutto da rivivere. Dov’è che si fa il biglietto per ricominciare tutto dal principio?“.

Massimo Turconi

 

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