L’importanza di chiamarsi Libro, o più semplicemnte, di essere Libro. Matteo Librizzi è tornato al centro del villaggio biancorosso, lo ha fatto con le ultime tre partite contro Virtus Bologna, Carpegna Prosciutto Pesaro e soprattutto, con la prestazione, più che positiva, fornita contro la Pallacanestro Trieste.

Tre gare che hanno riportato il giovane azzurro pienamente nel contesto tattico, tecnico di gioco e di valutazioni della Pallacanestro Varese targata Matt Brase, dopo un inizio di stagione non facile.

L’infortunio al ginocchio sinistro ne avevano rallentato la corsa verso la migliore forma, facendogli perdere quei minuti che lo scorso anno nell’era Roijakkers, gli avevano messo addosso le luci della ribalta nazionale per quanto di buono era riuscito a mettere in campo.

Sulla volontà di puntare su Librizzi la società è sempre stata chiara: Libro non si muove, è un asset vincente nonchè diretta espressione di quel progetto di sviluppo dalle giovanili alla Prima Squadra che il corso Scola si prefigge di raggiungere e fortificare sempre più, costruendosi i campioni in casa e non dovendo andare a cercare per forza sempre e solo sul mercato.

Parole ed intenzioni a cui erano seguiti i fatti: Librizzi quest’estate è stato infatti il primo vero acquisto della nuova Pallacanestro Varese che, nonostante le forti sirene proveniente soprattutto dall’A2, con Ferrara su tutte, aveva deciso di prolungargli il contratto in maniera pluriennale.

Un investimento importante sul quale i primi mesi di stagione, passati in sordina da Libro, avevano fatto iniziare ad aleggiare delle nubi d’incertezza ma che piano piano si sta rivelando sempre più giusto e corretto. Brase fin da quest’estate ha puntato su di lui, lavorandoci tanto insieme durante la pre season e dandogli poi quella fiducia che oggi gli permette di essere una risorsa indispensabile, seppur con caratteristiche diverse, sia tattiche, che fisiche che tecniche, per sostituire Reyes.

L’impatto avuto contro i giuliani, i 15 minuti di grandissima qualità, intensità e ritmo che ha saputo dare, sfruttando al massimo le due occasioni al tiro avute; la capacità di entrare dalla panchina e farsi trovare subito pronto, la sfrontatezza con cui ha affrontato i rapidi ed intensi esterni giuliani, lo ha riportato su quei livelli che tutti si aspettavano. A testimonianza di ciò i complimenti in sala stampa di coach Brase e le rotazioni allungate che hanno portato più minuti a lui, rispetto che ad un ottimo De Nicolao.

La vera domanda che rimane oggi è: un giocatore che fa della difesa il suo punto di forza saprà integrarsi al meglio in un contesto di gioco che punta tutte le sue fortune sull’attacco? La risposta ce la darà solo il tempo, ma è chiaro che avere un giocatore così atipico rispetto allo spartito generale può essere la famosa carta trappola di cui oggi la Openjobmetis ha bisogno.

Alessandro Burin

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