Era l’estate del 2016 e mentre Hillary Clinton era la prima candidata donna della storia degli Stati Uniti d’America, gli attentati dell’isis a Nizza ed Istanbul scuotevano il mondo ed Antonio Conte con una Nazionale non fortissima arrivava ad un onorevole quarto di finale agli Europei, poi perso solo ai rigori contro un’ambiziosa Germania, Sandro Turotti sbarcava a Busto dove la Pro Patria era ai nastri di partenza della Serie D dopo una stagione da record in negativo con un ultimo posto mai abbandonato dalla prima all’ultima giornata.

In quello che nel calcio è veramente un attimo, la Pro Patria è rinata prima con un progetto biennale per vincere la Serie D, inanellando poi in C salvezze e playoff a ripetizione. Ma andiamo con ordine.

Direttore, qual è il primo ricordo che ha della sua Pro Patria?
“Più che un primo ricordo probabilmente è una prima svolta: nella prima stagione perdemmo 3-0 a Ponte San Pietro e quindi parlai a lungo con mister Bonazzi che giocava con la difesa a quattro, si optò per cambiare ed iniziare a giocare a tre che poi è diventata la nostra abitudine finora. Eravamo in difficolta con gli esterni per giocare con lo schieramento precedente ed il passaggio al 3-5-2 fu anche molto d’aiuto a Zaro che diventò il perno centrale. Fu un’annata che ho sempre definito molto importante. Capisco il tifoso che magari non l’aveva vissuta benissimo, perché era stata una stagione altalenante con alcuni inciampi ma fu parecchio d’aiuto per il campionato successivo che vincemmo”

Il suo primo ricordo nel mondo del calcio invece qual è?
“Sarà per me, il prossimo, il trentesimo anno nel professionismo, ho iniziato però in una squadra di Prima Categoria in cui facevo il direttore sportivo ma anche l’allenatore in seconda. Di lì a poco tuttavia iniziai con la Biellese a fare il direttore sportivo ed a lavorare nel calcio professionistico”.

Che bilancio fa di questa stagione?
“Occorre essere lucidi: sono stati fatti 50 punti che è un bottino positivo con cui nella maggior parte dei casi si va ai playoff, non quest’anno. Ovviamente ho riflettuto a lungo sul periodo buio che abbiamo avuto, certamente non posso essere soddisfatto di come si è conclusa l’annata, chiaro che se avessimo fatto un percorso inverso avrebbe avuto tutto un suono differente ma non è questo il punto: faccio un bilancio di un’andata di cui essere sicuramente soddisfatti e di un ritorno in cui qualcosa non è andato”.

Volevamo arrivarci: che spiegazione si è dato del momento buio post Trento? Proprio su queste colonne abbiamo letto di come lei avesse avvertito qualcosa già nel momento di picco massimo, perché prestazioni come Vicenza e Trento sono state sontuose..
“Sono sul campo tutti i giorni e seguo la squadra nell’allenamento, quel che penso è che per le possibilità che avevamo dovevamo sempre dare ed andare al 200%, fare la corsa in più in allenamento, senza mai e poi mai sentirci troppo bravi o troppo belli altrimenti si rischiava di incappare in un momento no come è stato. Cosi è stato anche all’andata oltre che al ritorno: due prove importanti contro il Vicenza e poi un momento negativo, in autunno molto più breve, a fine inverno molto più lungo. L’ingrediente penso sia quanto detto: dare sempre più del massimo, questo avremmo dovuto fare per restare più in alto”.

Mister Vargas era al primo anno di Serie C ed ai microfoni è sempre stato chiaro e deciso: ha chiesto più gente allo stadio, ha mostrato sempre una grande ambizione, ha annunciato la separazione dalla Pro alla fine della penultima partita ed ha chiuso con una dichiarazione ambiziosa ed importante dopo l’ultima giornata.
“Tengo a chiarire anzitutto che ho parlato con il mister riguardo a quanto ha detto dopo l’ultima partita e mi ha spiegato che non voleva essere frainteso: non voleva assolutamente caricare di responsabilità soprattutto i più giovani che sarebbero rimasti, era solo un complimento il suo. Per quanto mi riguarda, non è mai stato nelle mie corde invitare la gente allo stadio, non l’ho mai fatto, il mister si sentiva in quel momento di farlo ed è un invito come un altro. Alla penultima giornata ho accolto le sue dichiarazioni senza il minimo problema, ha ritenuto opportuno annunciare in quel momento che le strade con la Pro si sarebbero divise”.

Ambizione è un termine non solo accostabile a Jorge Vargas, ma un po’ a tutti..
“Tutti siamo ambiziosi, chi non lo è? Oltre che di quest’anno parlo in generale, è normale essere ambiziosi ma occorre anche essere equilibrati. Voglio essere chiaro su questo punto perché ci tengo molto: serve ambizione ma anche equilibrio, qui a Busto c’è una presidenza seria che ogni anno mette soldi provenienti dal proprio patrimonio nella Pro Patria per garantire stabilità e stagioni in cui, con i nostri mezzi e le nostre possibilità, cerchiamo di fare il meglio possibile. Capisco l’ambizione ma la Serie B bisogna volerla tutti e come tutti intendo anche la città intesa come aiuti alla società per esempio. Poi sicuramente le imprese sportive ci sono e ci saranno sempre, faccio il mio esempio: all’Albinoleffe abbiamo sfiorato la Serie A perdendo la finale playoff nonostante avessimo possibilità molto più ridotte rispetto alle tante big a cui arrivammo davanti, ma bisogna anche essere consapevoli di ciò di cui si dispone: è la semplice realtà dei fatti senza retropensieri o fesserie. Ambizione in questa Pro Patria significa voler fare bene, voler vedere qualche giovane del nostro vivaio debuttare, vedere altri giovani giocare con noi ed esplodere, scoprire un nuovo allenatore. Se non fossi ambizioso saluterei tutti ed andrei a casa”.

Parliamo di futuro: cos’ha in mente per sé e per la squadra?
Per quanto mi riguarda lascerò Busto per un mese a causa di un  motivo personale. In questo tempo avrò modo di riflettere a lungo su ciò che è stato quest’anno perché credetemi, ho parecchia rabbia da smaltire per il momento oltremodo buio che abbiamo attraversato e su ciò che sarà il prossimo. Io ho un contratto con la Pro Patria fino al 2025, con la presidente c’è rispetto e soprattutto stima, abbiamo parlato perché voglio sempre essere sicuro che ciò che faccio sia apprezzato e gradito, altrimenti non sarei qui e se qualcosa non fosse gradito farei un passo indietro. Ci saranno dei cambi, come ogni estate, per quanto riguarda la squadra, analizzeremo bene come rinforzare la rosa, scegliendo con quali giocatori proseguire e con quali, invece, darsi una stretta di mano prima di separarsi”.

Questa stagione è stata parecchio sfortunata a livello d’infortuni..
“In tanti anni quattro legamenti crociati rotti non li avevo mai visti, peraltro tutti dovuti al caso ed arrivati in modo differente, quindi non si può dare colpa a nulla se non alla sfortuna che peraltro si è accanita anche come tempistiche: per esempio, Parker si è fatto male il giorno esatto in cui terminava il mercato per cui non si poteva sostituirlo se non con uno svincolato. A proposito di mercato, poi, ne ho sentite parecchie e ci mancherebbe, con le critiche ho un buon rapporto, sono tutte assolutamente ben accette purchè siano trasparenti, basta che non siano sciocchezze ed affermazioni o racconti non veri. Dicevo del mercato, ho sentito dire che non ne abbiamo fatto a gennaio, premesso che basti guardare quanto poco sia servito il mercato invernale a chi l’ha fatto: praticamente nessuno, ancor più quelli che più hanno cambiato a gennaio, ha tratto vantaggio dai nuovi acquisti, anzi, chi si è mosso di più sul mercato non lo ha fatto poi in classifica. Noi non penso avessimo bisogno di rinforzi questo inverno, anzi, incredibile a dirsi ma proprio con la squadra quasi al completo siamo andati in difficoltà con l’arrivo del momento nero di cui abbiamo parlato. I giocatori sono persone, non pacchi postali da mettere via e riproporre a ciclo continuo. La rosa era ampia, la sfortuna si è fatta sentire ma fatemi anche dire che c’è un altro modo di fare mercato: quello di dire no alle offerte che arrivano, perché nel girone di andata in molti si sono messi in mostra ed a gennaio qualcuno si è fatto sentire. Era facile dire sì, incassare soldi e lavorare con i giocatori che rimanevano, ma abbiamo scelto di non farlo. Anche questa è ambizione”.  

Nelle scorse settimane è stata pubblicata la tesi portata da Javorcic a Coverciano, nei ringraziamenti c’è una frase che ritengo di una trasparenza, di un rispetto e di una stima unici: “Ringrazio la Pro Patria semplicemente per avermi dato la possibilità di allenarla”. Un gran rapporto anche con Busto città: caratteri simili nonostante le origini lontane..
“L’ho ritenuta una frase meravigliosa di quella che è una persona molto intelligente oltre che un tecnico preparatissimo. Javorcic e la Pro Patria si sono dati tantissimo, a vicenda e questo è un gran bel riconoscimento. Anche nella mia Biella il carattere è simile, si somiglia con Busto anche per la potenza tessile che ha avuto in passato. Parliamo di un bel rapporto di stima non detta e ripetuta ma dimostrata. Abbiamo parlato di numeri, allo stadio non saremo tantissimi ma a Busto la Pro Patria è seguitissima, la gente mi ferma per strada, anche chi non viene più allo stadio per vari motivi tra cui la finale persa nel 2009. La Pro Patria è seguita a Busto e conosciuta al di fuori”.

Negli anni da Busto sono passati tanti giocatori forti sia nel presente che nel futuro, tre nomi che sono sulla bocca di tutti: Gatti, Caprile e Pierozzi. Conosceva già Gatti prima di quel 1 Agosto 2019? Mi faccia dire che qualcosa non va nel calcio, se è passato così tanto tempo prima che si iniziasse a parlare di Gatti e Caprile..
“No, sono onesto, conoscevo però molto bene Mastroianni e Parker che in quel Verbania-Pro Patria giocarono contro Gatti, mi impressionò e chiesi subito al direttore del Verbania informazioni, lo seguimmo per un anno e poi venne da noi. Per i tre nomi fatti i discorsi sono diversi: Pierozzi era un prestito importante perché la Fiorentina l’ho sempre vista convinta di avere un bel prospetto in mano, tanto che ha fatto bene qui ed altrettanto sta facendo a Reggio Calabria. Di Caprile in troppi si erano dimenticati e con la stagione grandiosa fatta lo scorso anno si è messo in mostra con tante squadre. Lui poi ha scelto di andare a Bari, dove sta facendo grandi cose, ma le richieste per lui erano parecchie. Da Gatti invece voglio definirmi deluso, perché sono solo due le società che mi hanno contattato seriamente per averlo, una appunto il Frosinone, con altri, e parlo anche di Serie A, se n’è solo parlato poi per un motivo o per un altro non se n’è fatto nulla e solo con il tempo ho ricevuto telefonate di tanti che si erano pentiti di non avermi dato ascolto. Questo è un qualcosa di importante per far capire forse come bisognerebbe lavorare diversamente come scouting”.

Le faccio due nomi: uno è Federico Marchetti, sua scoperta, l’altro è Marco Paoloni, che proprio lei ha denunciato dopo il brutto episodio a Cremona, entrambi portieri..
“Di Paoloni preferisco non parlare, perché è stato un episodio che mi ha lasciato un’amarezza incredibile quello del calcioscommesse a Cremona. Vi racconto soltanto che quella Cremonese era ambiziosa, Paoloni era forte ed il Brescia venne a chiedercelo a fine mercato estivo 2010, per fare il secondo in Serie A. Noi non volevamo cedere il nostro portiere titolare a fine mercato e così dicemmo di no. Chissà che non sarebbe andata diversamente per tutti. Solo questo, il resto è una pagina troppo amara che mi ha deluso e vorrei cancellare. Marchetti è un colpo di cui vado orgoglioso, senza dubbio, era giovanissimo, giocava in primavera a Torino ed io ero a Vercelli. Lo prendemmo e fece una buona annata prima di tornare in granata prima del fallimento del Toro. Io così andai all’Albinoleffe e c’era parecchia stima con il direttore della Biellese e gli proposi la comproprietà. A Biella cambiò la società, quindi anche accordi e strategie di mercato ed ero pensieroso perché ritenevo Marchetti un ottimo prospetto e temevo di dover andare alle famose buste e perderlo. Tuttavia alla Biellese non si dichiararono interessati ed allora come Albinoleffe nella busta scrissi una cifra simbolica: 500€. Ci accaparrammo il futuro portiere di Cagliari, Lazio e Nazionale a quella somma. Voglio raccontare un aneddoto su di lui, che fa capire che chi arriva in alto lo fa con sacrifici, testa e voglia di arrivare: quando lavorammo insieme a Vercelli la società che subentrò alla vecchia presidenza era veramente disastrata, non avevamo assolutamente nulla, neanche un campo decente di allenamento. Ci allenavamo su un campo durissimo che avrebbe distrutto ogni portiere, lui allora si presentava con un piccone, picconava tutta la zona in cui doveva buttarsi così che venisse su terra più morbida e fresca su cui allenarsi senza distruggersi”.

A fine autunno di quest’anno un colpo a sorpresa: Jonathan Pitou
“Sì, era rimasto svincolato dal Marsiglia e venni contattato da un agente che me lo propose. Lo visionai e ne rimasi positivamente colpito: è un 2004 con una storia importante, è entrato nella scuola calcio del Marsiglia a 12 anni e con loro ha fatto cose importanti con varie convocazioni in prima squadra. Torniamo a parlare di ambizione e serietà della presidenza: era un investimento  ovviamente non previsto al pari dei giocatori presi per sostituire Rossi e Parker e la società ha dato il suo ok. Jonathan si è calato molto bene in un paese ed un campionato che non conosceva, in una categoria che poco ha a che fare con la sua tecnica sopraffina”.

Finiamo con un botta e risposta: quale allenatore le ha dato di più in questi 30 anni?
“Difficile fare un nome, facile dire Javorcic con cui c’è un grandissimo rapporto. Ho lavorato con tanti allenatori e tutti mi hanno lasciato qualcosa, menziono ad esempio il grande Emiliano Mondonico. Sul momento faceva alcune cose che non condividevo o pensavo di non dover fare mai, invece con il tempo mi rendo conto che mi ritrovo a farle o pensarle anche io. Incredibile”.

Il film che le ha lasciato qualcosa?
“Quando non lavoro e guardo un film lo faccio spesso per staccare la spina e quindi farmi due risate. “Qualcuno volò sul nido del cuculo” ed “Il Miglio verde”, però, mi hanno lasciato molto”.

Il posto più bello che ha visto?
“Solo chi è sempre lontano da casa riesce apprezzarla fino in fondo quando ci ritorna”.

La trasferta più bella prima di approdare a Busto?
“A Brescia l’anno in cui arrivammo in finale per la Serie A con l’Albinoleffe eliminando le rondinelle, o Juventus-Albinoleffe in B: due pareggi contro quella Juve, indelebili”.

Che Serie B fu quella 2006/07?
“Fuori categoria, anche per l’attenzione di media e televisioni: Juventus, Genoa, Napoli più tantissime altre big. Penso la B più forte degli ultimi anni. Quell’anno andammo in trasferta a Marassi, Napoli, Bologna, insomma, stadi che parlano da sé”.

La sconfitta più bruciante?
“Varese-Cremonese, finale playoff 2010. All’ultima giornata ci superò il Varese e per i playoff cambiò tutto. Vincemmo l’andata ed al ritorno le due squadre erano stanche, ero tranquillo, eravamo forti. Poi segnò Buzzegoli ed a tempo scaduto firmò su rigore il raddoppio. Una ferita importante”.

Due partite: Rezzato-Lecco 1-1 2018, Giana-Pro Patria 1-1 2021.
“La prima incredibile, con tutto quel che accadde a margine con noi qui ad aspettare il fischio finale per il sorpasso. Però di quell’anno ricordo con più piacere le nostre vittorie prima del trionfo finale. Giana-Pro è un boccone amaro difficile da mandare giù perché con tutti gli effettivi ai playoff ci saremmo divertiti tantissimo invece Lombardoni si ruppe il tendine una settimana prima, a Gorgonzola l’uscita su Parker e l’orribile intervento su Bertoni ci privarono di tutto, compreso delle forze per fare i playoff. Affrontammo la Juventus, peggior avversaria possibile, ma anche se fossimo passati le energie rimaste erano poche a causa di quei tre incidenti di percorso”.

Perché il Napoli vincerà lo scudetto?
“Perché lavora bene da anni, soprattutto negli ultimi due, perché ha un allenatore molto bravo, perché già l’anno scorso ha fatto un gran campionato e quest’anno raccoglie i frutti nel segno della continuità mostrata anche in questa stagione”.

Chi vince la Champions League?
“La finale è una sfida secca, ma vedo favorita la vincente della semifinale tra Manchester City e Real. I primi inseguono questo obiettivo da tempo, gli spagnoli giocano nel loro regno, la Champions. Spero tanto di vedere tre o quattro italiane nelle varie finali, è qualcosa che deve inorgoglirci ma non cancellare i problemi che ha il nostro calcio e che sono tanti”.

Alessandro Bianchi

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