Torniamo a Luino presso l’ASD Arti del Drago, affiliata alla CSEN, in cui il Maestro Ferrari ci guida alla scoperta del mondo delle arti marziali filippine, e anche la galassia della Capoeira, descrivendone le armi, tecniche, movimenti, e illustrandone anche il risvolto sportivo e agonistico.

Quali arti marziali filippine insegnate?
“Le arti marziali filippine in generale si possono suddividere in tre branche, come l’Escrima, termine in lingua tagalog traducibile come scherma, la parte armata, il Panatukan o boxe filippina e il Sikaran, nel quale prevalgono le tecniche di calci. Ad esempio, nelle scuole di arti marziali filippine in Occidente, ho notato che il Sikaran è un po’ tralasciato, perché richiede un allenamento intenso e costante ed anche un alto livello di stretching ed elasticità nell’eseguirle; ve ne sono alcune che privilegiano il Panatukan ed altre, in cui prevale l’Escrima. Durante gli allenamenti dell’Escrima, usiamo il bastone da settanta centimetri, chiamato olisi ed anche il coltello o pugnale chiamato daga. Prevedono anche l’uso del bolo, machete o spada cerimoniale filippina e anche i nunchaku, inseriti successivamente da Dan Inosanto, americano di origini filippine, che pur essendo stato allievo di Bruce Lee, insegnò proprio alla celebre star sino-americana l’impiego dei nunchaku, oltre ad essere stato a sua volta docente di arti marziali filippine e istruttore di Jeet Kune Do. Qui insegnamo anche il famoso Kali, che fa subito pensare al bastone”.

In quale ambito si svilupparono?
“Nel complesso sono antiche, ed erano diffuse tra gli indigeni delle Filippine già prima dell’arrivo dei conquistadores spagnoli e includono anche le classiche armi da taglio, come le lame. Il colonialismo spagnolo apportò delle modifiche a queste arti marziali, in particolare nelle tecniche di attacco, che provengono dalla scherma spagnola. In seguito all’approdo degli americani nelle Filippine, alcuni indigeni erano sfruttati per combattere la dominazione spagnola. Soprattutto nell’impiego delle armi, possiamo notare gli influssi delle arti marziali giapponesi e cinesi. All’epoca, nelle isole, ognuno creava un proprio stile e seguiva un proprio metodo; non esisteva il grado di Maestro. Il Panatukan è finalizzato alla difesa personale e ha lo scopo di frenare subito l’eventuale aggressore. Include delle tecniche di pugno, come quello a martello, gomitate, ginocchiate e le armi. Il Sikaran invece, prevede moltissime tecniche di calci, fontali e laterali, uno dei quali girato, diretto alla nuca e anche dei movimenti acrobatici. Nelle Filippine le persone combattevano in un cerchio, legati a una corda, sferrando solo calci; alcune tecniche del Sikaran erano eseguite anche durante il lavoro nelle risaie”.

Come scoprì quest’arte?
“Iniziai all’ età di vent’anni, dopo aver praticato il kick boxing, nell’epoca in cui erano diffusi i film di Van Damme, ma non mi piaceva il combattimento da ring. Un Maestro filippino di queste arti marziali e di Taekwondo me ne fece appassionare, in quel periodo risultavano ancora poco conosciute, meno diffuse, e alternative rispetto al Karate e al Judo”.

Hanno un risvolto sportivo o agonistico?
“Sì. Il Panatukan, che prevede la possibilità di deviare i colpi dell’avversario allo scopo di contrattaccare, nel combattimento sportivo è chiamato Kali e nelle gare si usa anche il bastone. Ritengo che il Kali sia l’arte marziale al mondo più completa, perché coinvolge tutto il corpo e anche tutto l’universo delle armi. Ci alleniamo con le protezioni, caschetto e griglia. Anche nel Sikaran vi è la possibilità di schivare i calci. Per ora dispongo solo di allievi amatoriali, in passato ho notato che le ragazze si appassionano in particolare al Panatukan, anche per il fatto che include anche dei colpi bassi, con ginocchiate e talloni. La conoscenza e pratica delle arti marziali filippine si misura attraverso i cinque gradi e non sono assegnate le cinture colorate, alla fine, si consegue l’esame di cintura nera, in cui l’atleta deve dimostrare di sapersi difendere dalle tecniche di attacco e dove gli saranno rivolte anche delle domande teoriche, in ambito medico-sportivo”.

Quali sono le origini della Capoeira?
“Nel secolo dello schiavismo, era diffusa sotto forma di danza tradizionale e musicale presso gli schiavi africani di colore, che i coloni portoghesi prelevavano dall’Angola, per poi portarli in Brasile. La Capoeira prevede moltissime tecniche di calci, anche con le mani a terra, mentre quelle di pugno sono poco usate. Nel complesso non prevede l’uso di armi, ma solo il macete. Alla Capoeira è stata poi associata anche la Maculelè, una danza di combattimento afro-brasiliana. La Capoeira ha anche l’aspetto ludico chiamato Roda, in cui si gioca lottando all’interno di un cerchio. I due stili di Capoeira sono quello di brasiliano di Bahia, che comprende delle forme, sequenze o dimostrazioni di tecniche, molto più veloce e quello angolano. Nelle diverse città del Brasile, la Capoeira varia anche in merito alle tecniche”.

Si svolgono le gare di Capoeira?
“Sì. In Brasile si disputano i Tornei di Capoeira, il cui scopo è sbilanciare l’avversario, non colpirlo, cercando di ottenere i punti. La Capoeira prevede anche lo svolgimento di esami e il conseguimento dei gradi. Nella Capoeira brasiliana il grado massimo è la cintura bianca, perché in origine, per gli schiavi di colore, il colore bianco rappresentava il raggiungimento della libertà. Per raggiungere il titolo di Mestre o Maestro di Capoeira, occorrono almeno trent’anni di sua conoscenza, esperienza e pratica e poi ogni Maestro ne elabora un proprio stile”.

Nabil Morcos

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