Finire la propria carriera, in qualsiasi sport, significa anche chiudere un capitolo della propria vita, più o meno lungo, più o meno intenso, sicuramente indimenticabile.
E’ quello che ha fatto Gemma Galli, campionessa di nuoto sincronizzato che, dopo 17 anni di carriera, che l’hanno vista anche gareggiare sul palcoscenico più importante a cui uno sportivo possa mai ambire, le Olimpiadi, dice addio al suo grande amore.
Il perchè lo abbia fatto glielo abbiamo chiesto direttamente a lei, con un’intervista a cuore aperto che Gemma ci ha concesso ma soprattutto si è concessa, per salutare quel grande amore che per lei è stato, è e restera molto di più: ovvero il nuoto sincronizzato.
Perchè questa scelta?
“E’ da un po’ di mesi che ho preso questa decisione, che ho deciso di rendere ufficiale però solo in questi giorni. Al di là di tutto ho sentito di essere arrivata al capolinea. Non riuscivo più ad essere l’atleta che volevo. Non ho mai condiviso certi metodi e modi di allenare, allo stesso tempo ho scritto una tesi che mi ha permesso di capire che non sono matta io in relazione a questo. Ci sono atteggiamenti normalizzati, a qualsiasi livello e disciplina, che portano a fare star male le atlete. Questo c’è stato alla base del mio addio”.
Negli ultimi tempi ha vissuto in prima persona questo?
“Erano situazioni normalizzate che mi mandavano fuori di testa e mi portavano ad avere un malessere talmente grande che però mi ha portato a mettere davanti la persona all’atleta”.
Se pensa alla lei che a 9 anni inizia a fare nuoto sincronizzato, cosa le viene in mente?
“Sicuramente l’emozione indescrivibile che ho provato le prime volte che ho iniziato a praticare questa disciplina sportiva. Nel momento in cui ho provato il sincro me ne sono subito innamorata e non avrei mai saltato un allenamento per nulla al mondo. Questo mi fa ragionare sul fatto che basta davvero trovare ciò che ci rende felici per trovare la nostra strada. Io sono diventata quella che sono grazie al nuoto sincronizzato”.
La soddisfazione più grande della sua carriera?
“Sai, quando fai sport, soprattutto poi ad altissimi livelli, normalizzi quello che fai e nel momento in cui ti fermi e riguardi quello che hai fatto ti rendi conto di cosa hai fatto e rimani strabiliato, almeno per me è così, sta accadendo questo, soprattutto quando alleno. Al di là dei risultati in sè, ciò che mi rimane è questo, la consapevolezza di quello che ho fatto ogni singolo giorno, in ogni singolo allenamento, in ogni singola gara per 17 anni. I trofei, le delusioni e le gioie vanno e vengono, ma la consapevolezza che sto acquisendo adesso di quello che è stato il percorso è qualcosa di unico ed è la più bella eredità che mi porto dietro da tutta la mia carriera. Ci sono tanti ricordi che porto nel cuore ma se ti focalizzi solo sull’emozione del momento è difficile andare avanti una volta che smetti, perchè sai che non rivivrai mai più quelle emozioni e non sarai mai più capace di fare quello che hai fatto in quel momento. Tutti viviamo sotto i riflettori, chi più chi meno e se non metabolizzi il tutto nella maniera giusta, diventa complicato rifarsi una vita e capire che è stata una parentesi importante della tua vita ma tale rimane e la cosa più importante è la crescita, la formazione, che riesci ad avere come persona alla fine di tutto questo percorso. La vita di uno sportivo è fatta spesso di attimi: puoi vincere, puoi perdere, ma quello che sei diventato umanamente facendo sacrifici per arrivare a quell’attimo è ciò che poi davvero ti rimane come regalo più grande dalla tua carriera”.
In relazione a tutto questo, le chiedo se l’esperienza, anche a livello personale, più importante e che va al di là di una vittoria o un sconfitta che ha fatto, siano state le Olimpiadi?
“Si certo. Sicuramente posso smettere in serenità, anche se hai sempre la sensazione di aver lasciato qualcosa d’intentato. Non l’ho mai pensato ma il cervello dopo tanti anni di professionismo ti porta a pensare sempre all’obiettivo successivo senza mai fermarsi. Senza dubbio all’Olimpiade ho realizzato il mio più grande sogno, ho provato un senso di libertà da catene che mi ero creata da sola perchè era diventata un’ossessione ad un certo punto cercare di raggiungere quell’obiettivo. Quando ce l’ho fatta, è stata una grandissima soddisfazione per la Gemma atleta e per la Gemma persona”.
Nel suo messaggio di addio, pubblicato sui social, scrive: “Ho smesso prima di arrivare ad odiarmi e ad odiarti, per tornare a viverti nell’unico modo in cui voglio vivere lo sport”…
“Sì, come ti dicevo all’inizio certe dinamiche secondo me non portano a nulla di buono. Nel momento in cui arrivi a smettere devi prima passare un momento in cui il tuo corpo e la tua mente ti dicono basta. Un po’ non lo accetti perchè sei abituata a sopportare tutto per raggiungere i tuoi obiettivi, dall’altra parte diventa però troppo forte il desiderio di dire basta. Mi sono sentita molto combattuta tra il mio essere emotiva e la razionalità che mi ha portato lo studiare psicologia e mi rendo conto che tante situazioni possono essere evitate e migliorate. Non lo dico come critica ma è ciò che vorrei fare d’ora in poi”.
Che ruolo ha avuto la Busto Nuoto Sincronizzato nel suo percorso di atleta?
“Sicuramente nel momento in cui sono arrivata a Busto ho iniziato a vivere lo sport come andrebbe vissuto. Busto mi ha dato tanto in termini umani e sportivi. Ho imparato tanto da Stefania Speroni, che reputo una delle allenatrici migliori del mondo nel nostro movimento. Provo grande riconoscenza nei confronti della società e li ringrazio per avermi permesso di vivere il mio percorso con loro con grande serenità”.
Quando si vive lo sport ad alti livelli, come ha fatto lei, solitamente c’è sempre qualche persona che funge da supporto, morale e non solo, per affrontare tutte le sfide che uno sportivo si trova ad affrontare. Lei ne ha una in particolare?
“In realtà io ne ho avute tante negli anni a partire dal mio osteopata che vive vicino a casa mia e da cui andavo costantemente, al fisioterapista della Nazionale, i preparatori, alcuni allenatori, altre persone dell’ambiente che mi sono state vicino. Lo dico per ultimo ma in realtà sono i primi: la mia famiglia, che ha sopportato tutte le mie pazzie e che mi ha supportata sempre in situazioni che un atleta giovane non dovrebbe vivere. Loro mi hanno sempre capito, mi hanno sempre sostenuto senza mai abbandonarmi. Non mi hanno mai messo pressione, ho sempre potuto fare le mie scelte e mi hanno permesso di vivere lo sport nella migliore maniera in cui potessi viverlo”.
Guardando ora al futuro, cosa farà Gemma Galli?
“Mi sono laureata da poco in Psicologia triennale, ora voglio proseguire il percorso fino in Magistrale collegando questo al mondo sportivo, che sicuramente non abbandonerò mai. Vorrei crearmi una posizione di psicologa sportiva, penso che questa figura diventerà sempre più necessaria e fondamentale. Inoltre faccio consulenze come allenatrice in tutta Italia, ed in tal senso andrò in Belgio per allenare il singolista della Nazionale belga, allenato da Susanna De Angelis, la mamma di Giorgio Minisini, che però non riuscirà ad accompagnarlo in questa tappa di Coppa del Mondo, quindi lavorerò io con lui per un mese e poi andremo a Parigi per la gara”.
Chiudiamo con una domanda marzulliana: ora che ha finito, le rimane più l’orgoglio per quello che ha è fatto o la grande paura per quello che dovrà fare?
“Io sono molto emotiva e spesso mi perdo in un bicchiere d’acqua ma non quando devo prendere decisioni importanti nella mia vita, situazioni in cui tiro fuori un coraggio clamoroso. Diciamo che non è facile, capisco che molto spesso nel momento in cui uno smette l’attività viene abbandonato. Capisci davvero chi ti vuole bene, chi ci tiene a come sei come persona e non solo come atleta. Aver avuto in questi giorni vicino a me persone che mi vogliono bene veramente mi sta dando forza e mi sta facendo capire che sono molto più di una semplice atleta. Ci vuole coraggio, capisco che molti vadano in crisi perchè non sai più chi sei. Durante la carriera agli occhi delle persone sei solo quell’atleta che fa quelle gare o quegli allenamenti ma quando smetti non lo sei più. All’inizio non è facile ma lo sapevo, però ho tirato fuori coraggio, ho capito cosa mi piace, ho messo anche in dubbio di rimanere in questo ambiente. Ci ho provato ma niente, so che la mia passione è questa e tale rimarrà: tutto si trasforma, nulla si distrugge, cambierò solo la veste con cui continuerò a vivere il mio amore”.
Alessandro Burin