Quinta ed ultima puntata della nostra serie di auguri ad Andrea Meneghin per i suoi 50 anni, che compie oggi, il 20 febbraio.

CARLO RECALCATI, allenatore di Andrea in Pallacanestro Varese, Fortitudo Bologna e Nazionale

“Andrea Meneghin? A mio modesto parere il più completo giocatore italiano di tutti i tempi”.

Carlo Recalcati a sua volta, a mio modestissimo parere, il più forte allenatore italiano di tutti i tempi (chi meglio di lui tra risultati conseguiti coi club, Nazionale e gestione degli uomini??) butta sul tavolo con una certa “nonchalance”, un giudizio che arrivando da un mittente altamente qualificato, merita attenzione e le dovute riflessioni.

“Perchè il più completo? Beh, ditemelo voi dove potete trovare nel panorama italiano un altro giocatore come Andrea. Fatemi il nome di un altro così completo tecnicamente, dotato atleticamente e forte fisicamente. Fatemi il nome di un altro così versatile tatticamente, in possesso dello stesso, elevatissimo, “QI” cestistico e della stessa, immensa, comprensione del gioco. Poi, in aggiunta a tutto ciò, citatemi un altro giocatore così totale sui due lati del campo che in tutta la sua carriera abbia sempre messo in primo piano le esigenze della squadra. Il Menego infatti non solo si è sempre sacrificato per i compagni, ma con il suo gioco ricco di altruismo è stato capace di aumentarne il valore esaltando le caratteristiche individuali di ognuno. Io, prima avendo giocato contro, e in seguito avendo allenato tutti i migliori giocatori italiani, penso di essere in una posizione di privilegio per esprimere un simile parere”.

Tu hai visto e allenato Andrea prima a Varese, poi in Fortitudo, quindi in due fasi opposte della sua vicenda cestistica: cosa puoi raccontare a questo proposito?
“E’ vero – conferma l’ex-coach dei Roosters scudettati -, due fasi contrastanti, ma con un comune “fil rouge”: la caparbietà dimostrata dal Menego nel volersi mettere a disposizione della squadra. Del suo ruolo nella conquista dello scudetto della Stella si sa già tutto e si è scritto tutto. Quello che invece la gente non sa e non conosce è relativo alle prime avvisaglie dei guai fisici che in seguito lo avrebbero portato a chiudere in largo anticipo la sua bellissima carriera. Questi campanelli d’allarme iniziano a suonare subito dopo le Olimpiadi di Sidney 2000, nella stagione in cui, come noto, Andrea lascia la Pallacanestro Varese per approdare in Fortitudo. Andrea arriva a Bologna già stanco e provato fisicamente dalla lunga estate di allenamenti pre-Sidney, ma per rispetto di un ambiente nuovo ed esigente come quello della “Effe” e per tener fede alle grandi aspettative che gravano sulle sue spalle il Menego, stringe i denti, si allena sempre “a tutta”  nonostante il dolore e la menomazione. La verità è che avrebbe avuto bisogno di fermarsi, di riposare, di dare al suo corpo la possibilità di recuperare e rimettersi in equilibrio. Invece il Menego non fa questa scelta e senza mai lamentarsi per l’ennesima volta dà prova di grandissima generosità giocando sul dolore. Tuttavia alla fine questo malessere, evidentemente trascurato, gli presenterà un conto salatissimo e la mia convinzione è che proprio in quel periodo siano cominciati i veri problemi fisici che lo hanno costretto a smettere”.

“Aneddoti? Ne racconto uno “flash” che rimanda al 1997 – 1998, quello della mia prima stagione con Pallacanestro Varese. All’arrivo conosco bene, ma solo come avversari, tutti i ragazzi di Varese, ma allo stesso tempo non ho la minima idea delle dinamiche esistenti nello spogliatoio e, per esempio, non so che tra Meneghin e Pozzecco esiste una grandissima amicizia. Così, durante una delle prime amichevoli di pre-stagione vedo Andrea & Giamarco che in campo litigano come matti abbandonandosi, tra l’altro, a scontri non solo verbali. Tutto preoccupato, per evitare ulteriori guai tolgo entrambi dalla partita e non li faccio più giocare. Tuttavia, alla fine della stessa, Menego & Poz mi si avvicinano e con le facce più innocenti di questo mondo mi dicono: “Carlo, tranquillo, noi urliamo, facciamo casino, ci mandiamo a quel paese e qualche volta ci tiriamo anche degli spintoni, ma ci vogliamo un gran bene e questi comportamenti rappresentano solo il nostro modo, “leggermente particolare”, di confrontarci. Quindi, coach, prima di tutto non preoccuparti, poi facci l’abitudine perchè succederà ancora”.    

SANDRO GALLEANI, massofisioterapista di Andrea in Pallacanestro Varese e Nazionale

“Claudio, Gabriele e… Andrea. Tutto il mondo del basket  sa che io ho tre figli: due, Claudio e Gabriele, legittimi e riconosciuti all’anagrafe e uno, il Menego, adottato, ma solo in via solo ufficiosa. Con questo pensiero – commenta con una battuta e un sorriso Sandro, icona assoluta della pallacanestro italiana -, vorrei solo far capire che, avendolo visto nascere e crescere, considero Andrea alla stregua del terzo ragazzo di casa Galleani e per lui nutriamo un grandissimo, immenso affetto. Sicuramente ricambiato. Andrea infatti, ragazzo d’oro, sensibile, generoso, altruista e sempre attento ai bisogni di chi gli sta vicino, è sempre stato uno di noi. L’ho accudito fin da piccolo e, per dire, nei suoi primi anni di vita ogni volta che mi vedeva iniziava a piangere poichè associava il mio volto a quello dell’uomo cattivo che gli faceva le periodiche iniezioni di antibiotico per tenere sotto controllo una lunga e dolorosa otite. Poi in realtà Andrea, complici i periodi di assenza di suo papà, sempre impegnato con il club e la Nazionale, è stato molto spesso a casa nostra e per questo motivo lo consideriamo mia moglie Egidia, io e i miei figli lo consideriamo uno di famiglia”.  

Invece, parlando del Menego come giocatore, quando hai avuto la percezione che fosse uno con un bel futuro davanti?
“Risposta scontata: quando, a 15 anni, me lo ritrovo in prima squadra già pronto a dire la sua contro giocatori di alto livello, uomini esperti e fisicamente dotati. C’è anche da aggiungere che tutto accade troppo in fretta e, in quel momento, tutti capiscono che Andrea ha una marcia in più e un passo diverso rispetto a tutti i suoi coetanei”.

Cosa ti colpisce di più del Menego?
“Prima di tutto, più di tutto, l’enorme, infinita, inesauribile energia che lo animava – risponde di primo acchito Sandrino -. Andrea allora non stava mai fermo e anche dopo gli allenamenti più duri e sfiancanti lui aveva ancora la forza di saltellare come un grillo in spogliatoio. Mentre i suoi compagni vomitavano per la fatica lui aveva in mente solo una cosa: trovare la vittima dei suoi scherzi quotidiani. Il tutto con un bagaglio di energia che in cinquant’anni di pallacanestro non ho mai visto in nessun altro. Poi, tra gli atteggiamenti da citare aggiungo la sua grandissima capacità di stare mentalmente dentro la partita senza lasciar passare alcuna emozione. Nel corso degli anni in tanti hanno tentato di provocarlo con comportamenti non proprio correttissimi o, per usare un eufemismo, con frasi poco educate. Eppure Andrea, gelido e concentrato, non ha mai reagito. Nemmeno quando, vedi la finalissima degli Europei a Parigi, a pochi secondi dalla fine un giocatore spagnolo, mi pare Reyes, gli fece un fallaccio di frustrazione da codice penale”.

Andrea, narra la leggenda, è famoso per le sue “celentanate” sotto il balcone di casa tua
“Già, le mitiche serenate notturne  a casa mia guidate da Andrea e dal gruppo dei suoi scavezzacollo. Tutto inizia nella stagione 1993 – 1994, quella che giochiamo in serie A2. Dopo la prima giornata di campionato, vittoria in casa contro Udine, decido di festeggiare con i ragazzi invitandoli a casa mia per una cena post-allenamento. La stessa cosa succede la settimana successiva dopo la vittoria conquistata a Desio. Tra i ragazzi, con Andrea scaramantico e rituale come pochi altri, passa il comandamento: “Le cene infrasettimanali a casa di Sandrino portano bene: vietato smettere!” Questa cosa va avanti per ben 9 settimane, fino alla prima sconfitta, mi sembra fosse stata a Siena. Tuttavia, ogni tanto, anche negli anni successivi, il Menego e la sua compagnia di pazzi scatenati, prima di chiudere le loro serate passavano a casa mia nel cuore della notte e Andrea ci tirava giù dal letto intonando la famosa canzone di Adriano Celentano: “A mezzanotte sai che io ti cercherò, eccetera, eccetera…” Quello era il segnale, anzi, la parola d’ordine che bisognava alzarsi e mettersi ai fornelli per preparare il classico spaghettino notturno per quel branco di lupi affamati che, aggiungo, non se ne sarebbero mai andati via senza…”.

Tu, insieme al dottor Carletti e al professor Cecco Lenotti, hai visto e curato Meneghin jr. nell’anno del suo ritiro: che ricordo ne hai?
“Un ricordo tristissimo. Prima di tutto perchè Andrea sentiva davvero molto dolore e a causa di questo non riusciva nemmeno a dormire la notte. Poi, in seconda battuta, perchè era davvero spiacevole dover pensare che un giocatore e un super atleta del suo livello, seppur ancora giovane e fresco fosse arrivato al capolinea. Insomma, non poterlo aiutare è stato bruttissimo per lui, ma anche frustrante per noi dello  staff sanitario”.

E oggi?
“Oggi è straordinariamente bello vedere in Andrea un uomo sereno, soddisfatto, in equilibrio con se stesso e tutte le situazioni positive che lo circondano. Il Menego ha una  bellissima famiglia, è innamorato “cotto”  di Cecilia e delle sue figlie, è un professionista apprezzato nel suo lavoro e, aspetto più importante di tutti, è sempre quel ragazzo a cui tutti vogliono un gran bene. Meglio di così – conclude Galleani sr. – penso sia difficile”.

CLAUDIO  GALLEANI, massofisioterapista di Andrea in Pallacanestro Varese e Nazionale

“Cosa posso dire di Andrea che nessuno abbia già detto? Forse che posso capire ciò che ha dovuto vivere nell’affrontare un lavoro in cui suo padre era considerato il migliore. Mi sono trovato anch’io nella sua situazione e so quanto può essere frustante all’inizio il dover affrontare, non solo gli avversari, ma anche lo scetticismo dell’ambiente. Nonostante siamo quasi coetanei (purtroppo sono più vecchio di lui) ci siamo sfiorati nella nostra crescita, in quanto io sono dovuto andare via da Varese per poter fare quello che lui ha avuto la forza di fare restando e diventando profeta in patria. Ma ho seguito la sua crescita ed i suoi successi come quelli di un fratello minore a cui non puoi che voler bene. Ho sempre amato il suo vivere la pallacanestro con gioia ed amore, vivendo sia il bello che il brutto di quel mondo senza mai atteggiarsi a superstar e mantenendo i piedi ben piantati a terra. Ricordo che una volta in Nazionale un certo Carlton Myers mi disse che odiava ed amava affrontare Andrea allo stesso tempo perché per cercare di batterlo doveva sempre impegnarsi al 110% e quello scemo (non è esattamente il vocabolo che ha utilizzato) è “sempre con il sorriso sulle labbra e non sembra mai far fatica per fermarmi”. Penso che Andrea stia mostrando la sua conoscenza del gioco e le sue qualità umane nella sua nuova carriera televisiva e mi fa piacere che molte persone che non lo conoscevano lo stiano apprezzando così tanto. Quello che mi spiace che abbia dovuto smettere così presto per i problemi fisici e, spesso, a ripensarci mi viene un parallelo con Roberto Baggio… Due giocatori sublimi, che facevano innamorare del loro sport, ma fermati dal loro corpo e non dal tempo o dagli avversari. Ricordo con enorme dispiacere gli ultimi periodi in cui Andrea ha giocato a pallacanestro ed i momenti di dolore in cui cercavo di dargli sollievo in spogliatoio. Ora quel ragazzo ha raggiunto i 50 anni e non posso che augurargli tutto il bene possibile, perché è anche grazie a lui che rispetto e amo il gioco più bello del mondo: la pallacanestro”.

BOSCIA  TANJEVIC, allenatore di Andrea in Nazionale

“Andrea Meneghin? Il più forte giocatore italiano di sempre. Un centimetro dopo suo padre, però…”.

Il grande Boscia, che ha conosciuto benissimo entrambi, offre il suo prezioso punto di vista su Andrea: “Meneghin jr. – continua Boscia -, è stato il leader invisibile e indispensabile che tutte le squadre del mondo devono avere. Andrea aveva una caratteristica che lo accomunava a Dino: nei momenti importanti della partita sapeva caricarsi sulle spalle le paure, i timori, le incertezze di tutta la squadra e, col sorriso sulle labbra, sapeva trasmettere un messaggio fondamentale per il gruppo: “Non preoccupatevi, ci penso io!” A titolo di esempio ricordo i due canestri essenziali segnati da lui contro la Bosnia in un frangente delicatissimo, ma più ancora il suo incredibile lavoro in difesa, fase del gioco in cui sapeva sempre produrre le giocate giuste per vincere”.

Con coach Tanjevic l’Italia del basket “scopre” Andrea Meneghin playmaker
“E’ vero: mi riconosco il merito di averlo spinto verso quel ruolo che agli Europei di Francia nel 1999 lo ha consacrato come il più grande del continente. Ma, devo dire la verità, è stata una scoperta abbastanza semplice perchè Andrea aveva tutte le qualità per riuscirci: eccellenti doti tecniche, favolose qualità fisiche e atletiche ma, soprattutto, il Menego era un giocatore totalmente dedicato alla squadra: generoso e altruista come nessun altro. A lui nel ruolo di regista interessavano poche cose: che il “film” uscisse nel migliore dei modi, che fosse un capolavoro di squadra, che alla fine sul tabellone fosse avanti l’Italia. Aggiungo che se alle Olimpiadi di Sidney 2000 gli avessi dato più retta forse oggi l’Italia della pallacanestro avrebbe sulla bandiera una medaglia olimpica in più”.

In che senso?
“Mi riferisco ad un episodio cruciale e decisivo della sfida contro l’Australia. A meno di tre minuti dalla fine siamo avanti di 4 punti con Michele Mian che, in quel momento, stava giocando molto bene. Eppure, mio errore, chiedo al Menego di sedersi sul cubo dei cambi perchè, idea sbagliata, voglio giocarmi gli ultimi possessi avendo in campo il quintetto. Andrea però, cestisticamente intelligentissimo, mi dice: “Boscia, ma sei sicuro? Lascia sul campo Michele, non mi sembra il caso di cambiare equilibri che funzionano” Io invece lo mando in campo ugualmente e non contento cambio gli accoppiamenti difensivi. L’Australia così, per effetto delle mie scelte, trova il ritmo giusto e alla fine ci supera andando a vincere 65 a 62. Ancora oggi mi batto dolorosamente il petto e mi pento di non aver dato ascolto al Menego.

Detto questo, non posso che ringraziarlo per le stupende emozioni che Andrea ha regalato al sottoscritto e a tutta la pallacanestro italiana. Nei suoi confronti nutro grande stima, ammirazione e affetto e porto dentro il dispiacere per una carriera che si è interrotta troppo presto. Sono convinto che, in presenza di situazioni fisiche differenti, Andrea dominato il basket europeo per altri sei-sette anni. Auguri Andrea, figlio mio, ti voglio bene, a presto, tuo Boscia”.   

ROBERTO PIVA, allenatore nel settore giovanile e in serie A

“Ho avuto la fortuna di poter allenare Andrea Meneghin e – dice coach Piva -, gli sono grato perchè davanti a giocatori dotati di un simile e sconfinato talento puoi solo fermati e imparare. A questa premessa aggiungo che Andrea, come tutti i veri grandi campioni, era dotato, lo è tuttora, di qualità umane di formidabile caratura: disponibilità totale verso la squadra, intelligenza, simpatia, semplicità d’animo, estrema educazione e chi più ne ha, più ne metta. Invece sotto il profilo tecnico il Menego, ovviamente a sua insaputa, ha il merito di avermi regalato due grandissime emozioni. Per il primo momento emozionante mi riferisco alla conquista del titolo di Miglior Giocatore Europeo nel 1999, come protagonista assoluto nella competizione di Parigi giocando nel ruolo di playmaker, una posizione che, prima come suo allenatore nelle giovanili, e in seguito come vice e capo allenatore in serie A, ho sempre pensato fosse perfetta per Andrea. Non a caso nell’anno in cui prendo il posto di coach Virginio Bernardi, la mia prima mossa è quella di spostare Reggie Theus nel ruolo di guardia e affidare al Menego, allora diciassettene, le chiavi della squadra. Così, qualche anno più tardi, vedere grandi coach come Carlo Recalcati e Boscia Tanjevic utilizzare Meneghin jr. come regista delle operazioni per lo scudetto della Stella e ai Campionati Europei è stato bello e gratificante anche sotto il profilo personale. La seconda emozione, ancora più travolgente, sempre agli Europei di Parigi, è stato assistere al bellissimo abbraccio tra papà Dino e suo figlio Andrea al termine della finalissima vinta contro la Spagna. In quel significativo gesto d’affetto ho rivisto come in un rapidissimo flash i mille momenti in cui un Menego ragazzino mi era stato affidato da Toto Bulgheroni e Marino Zanatta con un solo obiettivo: proteggerlo dalla pressione mediatica legata ad un cognome certamente pesante da portare. Per aiutarlo a crescere tecnicamente e umanamente. Alla fine, considerati i risultati, direi che posso ritenermi abbastanza soddisfatto per l’ottimo lavoro fatto insieme. Per questi motivi lo ringrazio e gli faccio tantissimi auguri per questo importante compleanno e, dopo i regali ricevuti dal Menego spero, prima o poi, di poter ricambiare”.

MICHELE ZANATTA, amico d’infanzia e compagno di squadra

“Andrea ha un anno più di me e avendo padri che per tantissimi anni hanno diviso un destino comune siamo cresciuti insieme, sotto lo stesso “tetto” della pallacanestro e, molto spesso, anche lo stesso tetto fisico perchè Andrea, che per me è come un fratello maggiore, veniva a giocare a pallacanestro nel cortile di casa nostra, oppure a mangiare e dormire da noi. Da bambini e da ragazzini ci siamo divertiti tantissimo con il basket, andando al cinema e con infinite sfide ai videogiochi. E, più grandicelli, le lunghe passeggiate con Nike, il fantastico alano nero che il Menego adorava.  Però, devo aggiungere, il nostro rapporto giocoso e divertente dura ancora adesso anche se, per comprensibili ragioni legate ai reciproci  impegni famigliari e lavorativi, ci vediamo un po’ meno, ma ci sentiamo frequentemente con telefonate, messaggini e battute via WApp o commenti via Instagram. Come giocatore considero Il Menego un predestinato perchè grazie al talento e alle qualità fisiche e atletiche Andrea ha sempre dimostrato di aver una marcia in più rispetto a tutti. Figurati poi rispetto a noi, compagni nelle categorie giovanili, semplici “normodotati”. Infatti Andrea fin dalla categoria Allievi ha sempre giocato con ragazzi di 2 o 3 anni più grandi tenendo il campo senza problemi. Queste doti, unite al suo splendido carattere, gli hanno spalancato prestissimo, ma con pieno merito, le porte della serie A. Anche tra i professionisti il Menego ha saputo aspettare il suo momento allenandosi con grande impegno, umiltà e dedizione fino a diventarne col passare degli anni un  leader assoluto. Essendo stati compagni di squadra in serie A nella stagione 1997 – 1998 non posso che esaltare quella che considero la sua maggior qualità: la capacità di capire in anticipo cosa avesse bisogno la squadra. Quindi, raccontata in altri termini, la sua attitudine nel volersi mettere al servizio del “bene comune”. Avevamo bisogno di letture illuminate? Lui giocava alla grande da playmaker. Servivano punti? Andrea nel giro di pochi minuti poteva facilmente metterne 20 a referto. Occorreva qualcuno che cancellasse l’avversario più pericolo? Nessun problema: c’era sempre lui. Insomma: il Menego poteva vincere le partite da solo anche senza segnare un punto, ma solo producendo tutte le giocte utili per la squadra. Personalmente di giocatori così talentuosi e determinanti a 360 gradi come Andrea non ne ho mai più visti e, per definirlo al meglio, non posso che utilizzare la famosa frase pronunciata da Flavio Tranquillo durante gli Europei di Parigi: “Signore e signori ecco Andrea Meneghin: il marziano venuto da Varese!”.

“Come persona Andrea è anche meglio. Non importano ambienti, situazioni o contesti, Andrea ha la capacità davvero unica di saper creare una bella atmosfera intorno a lui, quasi fosse circondato da una “aura magica” positiva. Un leader capace di esprimere con grande naturalezza, e senza alcuna forzatura, la sua forza trascinante Negli anni del Liceo non ho mai visto nessuno geloso di lui, della sua fama, del suo essere personaggio in costante ascesa in città e, a nemmeno 18 anni, era già famoso e proiettato verso un futuro sportivo pazzesco. Gode di un rispetto totale che si spiega in poche parole: educazione, umiltà, semplicità e riservatezza. Andrea, nemmeno per un secondo, ha mai fatto pesare il suo “status”. Anzi, era quello sempre disponibile e cordiale con tutti. Il classico “uno di noi, uno come noi””.        

DANIEL  RACCO, allenatore di Andrea con i Rams Daverio

“Del grande Menego potrei raccontarti mille aneddoti che vanno dalle interminabili sfide alla Playstation, a quelle del fantacalcio settimanale, alle partitelle 3vs3 al bucum (il campetto dietro casa mia). Tuttavia, accantonato il capitolo sfide, scelgo questo aneddoto. Nell’ultima giornata di stagione regolare il calendario ci affida la trasferta in programma a Erba, ma tutta la squadra è impegnata è al matrimonio di Ghielmo. Menego però non si tira indietro e ci garantisce la  sua disponibilità alla convocazione e viene a giocare una partita di nessun interesse per la classifica e che, di fatto, non interessa  a nessuno. Tutti noi apprezziamo la grande disponibilità del Menego, la sua umanità e, soprattutto, la sua sempre sorridente umiltà. Quell’annata trascorsa in compagnia di Andrea, un vero numero 1, resterà nei cuori di ognuno di noi. Ah, dimenticavo, quella partita, a causa delle condizioni fisiche “traballanti” di tutti, ovviamente l’abbiamo persa”. 

COSTANTINO  MAURO, amico e compagno di squadra di Andrea nei mitici tornei estivi all’aperto al Campus

“Per Andrea come giocatore parla, peraltro in termini chiarissimi, un fatto: il titolo di Miglior Giocatore Europeo. Dopo questo riconoscimento non credo ci sia bisogno di aggiungere altro se non una considerazione: noi appassionati di pallacanestro sapevamo che prima o poi sarebbe successo perchè uno come il Menego, ovvero uno destinato a cambiare le regole del gioco, nasce ogni quarto di secolo. Infatti…Come uomo non posso che esclamare: “Chapeau!” perchè Andrea è una delle persone più buone che io conosca. Dietro alla maschera da duro che indossa come una corazza, si nasconde un uomo davvero buono e sensibile. Io potrei raccontare mille e uno episodi nei quali ho avuto modo di conoscere fin nel profondo la sua bontà d’animo e delicatezza”.

“Aneddoti ne avrei a bizzeffe, ma preferisco citarne un paio che riguardano la magica serata/nottata del 3 luglio 1999, quella della finale del Campionato Europeo vinto contro la Spagna. Da Varese partiamo con una “macchinata” di tifosi del Menego e alla fine della partita mentre Sandro Galleani taglia la retina di un canestro, io posso finalmente estrarre la forbicina che avevo gelosamente custodito nella scarpe (ti lascio immaginare il dolore al piede…), la consegno all’Andrea il quale taglia la retina-ricordo che oggi potete ammirare nella Birreria “La Botte” dell’amico Livio Giacoponello il quale, prima della partenza per la Francia, l’aveva espressamente chiesto al Menego. L’altro aneddoto riguarda la nottata di festeggiamenti trascorsa insieme alla Nazionale in una discoteca posizionata proprio sotto l’Arc de Triomphe nella quale siamo riusciti a entrare solo grazie a lui nell’ingresso riservato ai VIP. Infatti, il Menego si avvicina al buttafuori e con la sua solita faccia da cu…bo gli racconta che noi siamo membri dello staff. Quindi, lui davanti a fare da apripista e noi dietro al Menego come le paperelle”.

MARIO DI SABATO, compagno di squadra nelle giovanili, in serie A e nei Rams Daverio e coinquilino di Andrea per qualche anno

Premessa doverosa: la programmata intervista con Mariolino, uno degli amici più cari di Andrea, prima si dipana in una sorta di dialogo del “nonsense”, una specie di gag degli anni ’70 inventata da quel genio di Enzino Jannacci; poi si risolve in un “flop” giornalistico senza precedenti, ma tra poche righe capirete bene il perchè.

“Andrea Meneghin? Chi è? Mai visto, nè conosciuto – dice in tono circospetto Di Sabato, titolare come tutti sanno del “Triple”, negozio-mecca-cattedrale-sancta sanctotorum di tutti i cestofili varesini -. Sì, ne ho sentito parlare, ma vagamente”.

Ma come vagamente? Siete stati compagni di squadra almeno una decina d’anni tra giovanili e serie A e, ti ricordo, il Menego ti aveva pubblicamente elogiato come il miglior playmaker italo-pugliese di tutta la serie A.
“Sì, è vero, ma guarda che in quella intervista rilasciata alla Gazzetta lui voleva parlare davvero di Vinnye Del Negro. Non di me. Poi, sai, in quel periodo il Menego era abbastanza confuso”.

Niente da raccontare anche nell’anno di Daverio, quello mitologico in cui siete arrivati a giocarvi la finalissima per andare in C1?
“Cosa dovrei raccontare? Dovrei dirti che Andrea si prese tutti i meriti anche se poi, in realtà, non c’era mai? Lui era solo il nostro uomo-immagine, ma il mazzo in palestra ce lo facevamo io e il buon Meneguzzi. Punto. Non Andrea”

In definitiva, non capisco questo tuo atteggiamento omertoso?
“Allora vuoi sapere tutta la verità, nient’altro che la verità?”

Beh, sì, se possibile
“La verità è questa: il Menego mi ha più volte minacciato dicendomi che mi avrebbe picchiato selvaggiamente se avessi parlato ancora una volta di lui alla stampa. Poi, io lo so, magari Andrea scherza. Ma – conclude Mariolino con un larghissimo sorriso da presa in giro -, e se invece facesse sul serio? Ma le hai viste le sue mani? Con quelle, credimi, il Menego durante un viaggio in Africa ha strozzato un bufalo. E io certi rischi non li voglio correre”.

O.k., capita l’antifona, manca solo la chiusura finale che, i lettori me lo consentiranno, vorrei tenere tutta per me partendo da un ricordo.

20 febbraio 2004, venerdì, Andrea Meneghin compie trent’anni. Come sempre faccio un salto a Masnago per le consuete interviste ma nell’occasione, davvero speciale, porto al Menego un regalo: il libro “Il giovane Holden”, un classico di J. D. Salinger. Andrea, un po’ sorpreso, dopo avermi ringraziato, mi chiede solo: “Perchè questo regalo?” Io rispondo: “Perchè tu, Andrea, sei il nostro Holden Cauldield.
Perchè esattamente come lui sei alla ricerca della tua strada, della tua “Route 66″. E io spero, anzi, sono convinto che la troverai”.

Poi, questo mio augurio per Andrea si è avverato al mille per cento. E, oggi, è bello ricordare quel momento e sapere che Andrea è un uomo felice. Tuttavia, per il prossimo libro da regalarti ho bisogno di rifletterci su. Intanto però, ancora auguri, Andrea.  

Massimo Turconi

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