Il nostro viaggio alla scoperta delle arti marziali torna a far tappa presso la Pro Patria Judo di Busto Arsizio del Maestro Claudio Zanesco, dove il Maestro Paolo Malaguti ci presenta il Koshiki no Kata, le forme antiche del Judo, raccontandoci le origini, i principi tecnici e svolgendo un’interessante riflessione sul possibile risvolto sportivo della disciplina. Il 63enne legnanese, Maestro settimo dan FIJLKAM, docente nazionale di kata e sesto dan per il Kodokan di Tokyo presenta inoltre il suo libro scritto in merito al sistema di lotta nipponico.

Per quali ragioni si specializzò nel kata del Judo?
“Pur essendo stato per una quindicina d’anni un judoka agonista nell’ambito federale, provengo da un’associazione di Judo tradizionale, sono allievo del Maestro Alfredo Vismara (scuola Busen di Cesare Barioli, ndr), uno dei più importanti esperti di Judo in Italia, dal quale ho appreso che il Judo è principalmente un metodo educativo codificato da Jigoro Kano, derivante da un’arte marziale (il Jujutsu, ndr) nel quale il kata si può praticare a tutte le età. Alcune di queste “forme” sono più adatte ai giovani, ed altre invece a persone più mature. Nei primi anni ’80, il Maestro giapponese Takata Katsuyoshi, originario di Toyama, deceduto nel 2000, insegnò e divulgò all’interno della mia associazione il kata del Judo chiamato “Koshiki no Kata” (forme antiche, ndr), e da lui acquisii le basi di questo kata che deriva principalmente da un sistema di allenamento della Scuola di Jujutsu “Kito ryu” una delle principali presenti nel paese del Sol Levante nel XVII secolo. Successivamente ho proseguito e approfondito il mio studio e la mia conoscenza di questo kata, grazie ad alcuni Maestri giapponesi di alto livello giunti in visita in Italia, ma lo stimolo maggiore lo ebbi dal Maestro Daigo Toshiro, decimo dan, originario di Awa, deceduto tre anni fa, il quale si occupava in maniera specifica di “Koshiki no Kata” presso il Kodokan di Tokyo, il punto di rifermento nel Judo a livello mondiale. Questo kata propone una forma di addestramento militare, risalente all’epoca dei Samurai, indispensabile nel momento in cui a loro in guerra toccava combattere e difendersi senza armi”.

Come si svolge il “Koshiki no Kata”? 
“Il “Koshiki no Kata” è noto anche come “Kito ryu no kata” (anticamente Yoroi kumiuchi no kata, ndr) perché il suo studio ha origine dalla Scuola esoterica e filosofica giapponese di Jujutsu, chiamata “Kito ryu”, fondata da Toshinobu Ibaragi a metà del XVII secolo. Si esegue in coppia, tra due Judoka, come in tutti i kata c’è Tori (colui che esegue l’azione finale, ndr) e Uke (colui che la subisce, ndr), è composto da 21 tecniche (14 la parte Omote e 7 la parte Ura) ed è sostanzialmente incentrato sull’apprendimento della posizione e del concetto di Hontai (Corpo, Sostanza o Essenza, ndr). Gli strumenti per lo studio, si basano sulla capacità dei due esecutori di utilizzare il ritmo nella prima parte e la fluidità, o l’assenza di ritmo, nella parte Ura. Hontai venne scelta da Jigoro Kano, come postura fondamentale per la pratica del suo metodo “Judo Kodokan”. In termini pratici le tecniche di proiezione nel “Koshiki no Kata” variano in base all’attacco iniziale di Uke (tranne alcuni casi nei quali è Tori a iniziare l’azione, ndr), a volte vengono utilizzate leve, a volte forme di Sutemi (ovvero le azioni nelle quali Tori sacrifica il proprio equilibrio per proiettare Uke, ndr) ma tutti i movimenti in questo kata devono essere condizionati dall’idea che i due praticanti indossino un’armatura del peso variabile da 15 a 25 kg, senza però, di fatto, indossarla realmente. Il Kodokan di Tokyo richiede la conoscenza del “Koshiki no Kata” per il conseguimento dell’ottavo dan”.

Cosa ne pensa del risvolto sportivo dei kata?
“Per il momento, né il “Koshiki no kata” e neppure  l’“Itsutsu no kata” (derivante dalla seconda scuola di Jujutsu dove studiò Kano, insieme alla Kito ryu, ndr) rientrano nel contesto delle gare di Judo. Credo che il kata nel Judo non sia da relegare alle gare, perché l’esecuzione deve sottostare a regole rigide e inequivocabili, per consentire agli arbitri di valutare correttamente e in modo uniforme; cosa avvenuta per kata meno complessi ora oggetto di competizioni, ma difficilmente applicabile a kata superiori come questi. Penso che in futuro potrebbe comunque verificarsi un loro risvolto sportivo. Ho creato un gruppo di cinture nere, gente che pratica Judo da moltissimi anni, al quale insegno il “Koshiki no Kata”, un esercizio che ha senso iniziare ad imparare solo a partire dal conseguimento del terzo o quarto dan”.

Il “Koshiki no Kata” può giovare per la difesa personale?
“Non penso possa essere tecnicamente molto efficace, perché ha origine in un contesto bellico dell’era dei Samurai, e non ha molto a che vedere con una corretta e idonea reazione, in un’eventuale situazione di aggressione o di pericolo nella nostra epoca. I benefici per un esperto di Judo che voglia dedicarsi allo studio di questo kata sono ben altri. Nel Judo l’apprendimento profondo di un kata si può imparare in cinque anni; e lo studio può essere basilare, intermedio, oppure avanzato, per il “Koshiki no Kata” invece occorrono almeno 10 anni di pratica”.

Nei kata è previsto l’uso di armi?
“Il Kodokan di Tokyo ad oggi ha riconosciuto ufficialmente sette kata. In alcuni di questi è previsto l’uso di armi; nel “Koshiki no Kata” vi sono delle armi in senso figurato, ma non materialmente. Il “Kime no kata”, ad esempio, prevede l’impiego della katana, della spada corta e del pugnale (sostituiti in genere da armi in legno, ndr). Il Kodokan goshin jutsu prevede l’uso del pugnale, della pistola e del bastone; questo kata aveva come scopo dimostrare l’efficacia del metodo Judo Kodokan anche nella difesa personale”

Qual è il messaggio principale del suo libro?
“L’idea di scriverlo ha avuto origine nell’era Covid, mentre praticavo da solo il “Koshiki no Kata” (Tandoku renshu è un metodo di allenamento praticabile, anche senza la presenza di un partner, ndr): il mio lavoro non intende lanciare messaggi, si tratta sostanzialmente di un manuale, che riporta quanto presentato dal Kodokan negli ultimi anni per quanto concerne il “Koshiki no Kata”, e in particolare le indicazioni di Daigo Sensei che è stato uno dei massimi studiosi dell’argomento, ma oltre all’aspetto tecnico, il volume offre un lungo capitolo sulla scuola Kito ryu curato dal Dott. Emanuele Bertolani, uno degli esperti più qualificati e rinomati sull’argomento”.

Obiettivi futuri?
“Tornerò in Giappone il prossimo 11 luglio; proseguirò lo studio del “Koshiki no kata”, andando a trovare degli anziani Maestri di Judo, per continuare ad apprendere quanto possibile dalle loro esperienze su questo kata e sul Judo nella sua globalità, e forse, eventualmente, chiedere l’ammissione all’esame per il settimo dan del Kodokan, avendo alle spalle già dodici anni di permanenza nel grado di sesto dan Kodokan”.

Nabil Morcos

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