Lo studio alla base di tutto.

Un motto che è poi la direttrice guida della vita di Federico Renzetti, terzo allenatore della Pallacanestro Varese, ragazzo che mette la curiosità, la voglia d’imparare e la grandissima passione per la pallacanestro al centro di tutto.

Una passione nata dalla mamma, giocatrice di basket, e portata avanti per tutta la vita fino ad oggi, a Varese, un’esperienza unica nella quale, dopo un anno di apprendistato, ha la possibilità di imprimere il suo segno in maniera indelebile.

Come nasce la sua passione per la pallacanestro?
“Nasce da mia mamma che era una giocatrice di basket in Argentina. Io guardavo sempre le sue partite ed a 6 anni ho voluto iniziare a giocare anche io. Sono andato avanti fino a 24 anni e da 18 ho iniziato ad allenare e studiare per diventare poi professore di educazione fisica. Anno dopo anno ho cercato di formarmi sempre di più, arrivando ad ottenere attestati importanti in relazione al lavoro sportivo di alto livello ed ho conseguito un master in video analisi e big data. Ho dedicato tutto il mio percorso di studi allo sport ed alla pallacanestro. Un percorso che non è ancora finito perché a me piace studiare e imparare ogni giorno”.

Che tipo di giocatore era e se era bravo?
“Ero una guardia, amavo difendere e mettere corsa ed intensità sul parquet. Se ero bravo o meno lo deve dire Herman Mandole che è stato il mio allenatore l’ultimo anno della mia carriera da giocatore”.

Mi racconti di più di questa sua esperienza con coach Mandole…
“Parliamo ormai di 12 anni fa. Giocavo in una piccola squadra di Buenos Aires e Herman iniziava a formarsi ed affermarsi come uno degli allenatori più in ascesa del basket argentino. E’ stata un’esperienza bellissima che mi ha permesso di conoscerlo sia come allenatore che come persona ed è stato per me un incontro poi fondamentale perché mi ha permesso oggi di essere qui”.

Il suo percorso di allenatore è sempre stato molto legato ai giovani. Un rapporto diretto che ha ritrovato qui a Varese…
“Assolutamente sì. Io ho 35 anni, non mi reputo né più giovane ma nemmeno già vecchio. Questo mi permette di riuscire a relazionarmi molto bene con i ragazzi, riuscendo ad essere vicino a loro ma anche ad imporre quella che è la mia posizione ed il mio ruolo. Uno dei mie lavori principali qui a Varese è essere un tramite tra la Prima Squadra e la Serie B ed è bellissimo: abbiamo giovani giocatori davvero bravi, con talento e che hanno voglia di lavorare”.

Chi è il suo allenatore di riferimento?
“Nessuno. Penso che nessuno sia perfetto, penso che la scelta più intelligente sia guardare cosa fanno bene le persone e cercare d’imparare da loro, ben consapevole che tutti sbagliamo in qualcosa. Non ho un allenatore di riferimento ma ho tanti allenatori da cui prendo esempio e studio. Sono una persona curiosa, che ama imparare e studiare. Penso che imitare un’altra persona e non far vedere chi si è veramente sia sbagliato, perché se no i giocano non ti danno credito. Loro capiscono quando cerchi di imitare qualcuno invece di mostrarti come sei davvero e questo ti fa perdere punti ai loro occhi. Io cerco di essere me stesso ma è chiaro che io non ho inventato nulla, tutto quello che faccio l’ho imparato da qualcun altro”.

Quando due anni fa Scola l’ha chiamata per inserirla nel progetto Pallacanestro Varese cos’ha pensato?
“Sono stato emozionatissimo. Luis per noi argentini è un mito, uno dei giocatori di basket più forti della storia ed è chiaro che quando ho ricevuto la sua chiamata per me è stato motivo di grande orgoglio perché mi ha fatto capire che qualcosa di buono effettivamente lo sto facendo nel mio lavoro. Per me questa è una grande sfida perché, ancora una volta, ho la possibilità di crescere ed imparare tantissimo”.

Che cosa l’ha impressionata del mondo Pallacanestro Varese?
“Varese è una società che ha grandissima storia. La conoscevo per Ruben Magnago, per Farabello e per Scola, ovviamente, però quando poi sono arrivato ho capito davvero cosa voglia dire essere parte di una società con questa storia. C’è un altissimo livello di professionalità a tutti i livelli e questo ti porta ogni giorno a lavorare con grande attitudine nel rispetto di chi, prima di te, ha occupato il tuo posto e soprattutto nel rispetto dei tifosi e di tutto il mondo biancorosso”.

Nella sua formazione ha fatto un master in video analisi, è questo uno dei suoi lavori principali nello staff tecnico?
“Chiaramente sì ma non l’unico. Siamo uno staff nutrito che fa tante cose, non solo io lavoro alla video analisi ma è normale che le mie competenze in materia vengano poi messe al servizio della squadra”.

Andiamo sull’attualità della squadra, a che punto siete del percorso tecnico che avete in mente?
“Un allenatore non è mai soddisfatto, vuole sempre di più e cerca sempre di migliorarsi. Così deve fare la squadra ed è quello che stiamo facendo. Stiamo lavorando tanto, abbiamo tanta fame e tanta voglia di fare bene. Le sensazioni sono ottime ma poi bisogna andare in campo e vincere le partite perché tutto il resto non conta, veniamo valutati sui risultati che facciamo. Posso dire che la squadra lavora bene, è ben predisposta ad imparare e sta lavorando per crescere ma al momento non siamo felici perché non abbiamo fatto ancora nulla. Siamo in pieno processo di crescita e dobbiamo continuare così, con la mentalità del voler sempre fare meglio”.

A livello di unione del gruppo fuori dal campo, a che punto è la chimica di squadra?
“E’ ad un punto normale di una squadra che ha cambiato tanti giocatori. Ci stiamo conoscendo, ho buonissime sensazioni ma come dicevo prima poi dobbiamo dimostrare questo in campo. Con tranquillità cresciamo sotto ogni punto di vista, abbiamo tutti ragazzi ottimi come giocatori e come staff e questa è sicuramente una cosa importante per formare poi un bel gruppo”.

Alessandro Burin

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