Dr. Zaffa e Mr. D’Errico. Due facce opposte di una medaglia che non è neppure la stessa. Marco Zaffaroni e Andrea D’Errico. Aspetti in comune? L’attuale militanza nel Monza e quella passata nella Pro Patria. Punto. Tanto carismatico, rassicurante e cartesiano il tecnico biancorosso, quanto sulfureo, estroso ed irregolare Sua Intermittenza. I benchmark ideali di un calcio vissuto in antitesi. Lo Yin e lo Yang dell’attitudine pallonara. E uno dei temi caldi della classicissima di domenica (ore 15, stadio “Speroni”).

Per Zaffaroni l’esperienza bustocca è stata il casello verso la fase più matura della sua carriera. Quattro stagioni (2000/2004) con il ruolo riconosciuto di guida tecnica della nascente era Vender, un epilogo dettato (anche) dalle frizioni con Paolo Tramezzani (cui cedette leadership e fascia di capitano) e un bilancio di oltre 130 presenze e una dozzina di gol. Tra questi, due (entrambi di testa ed entrambi decisivi) rimangono scolpiti ad imperitura memoria nel pantheon delle emozioni tigrotte del terzo millennio.
2 dicembre 2001: nella fittissima nebbia del “Mari”, la Pro Patria espugna Legnano con una sua capocciata a 6 dalla fine. Alcuni la videro. Molti la intravidero. Tutti se la ricordano.
9 giugno 2002: questa volta la visibilità è perfetta e l’incornata che regala 1-0 sulla Sangiovannese e vittoria in finale playoff è tanto chiara quanto esiziale. Il ritorno in C1 dopo 19 anni porta il tag indelebile dello Zaffa.

Per D’Errico il passaggio in biancoblu (2014/2015) ha il valore di una semplice parentesi. Intensa, nevrile, contraddittoria. Ma pur sempre una parentesi. Gol all’esordio dopo un minuto scarso, doppietta a Como alla seconda gara, poi luci ed ombre senza soluzione di continuità (per la verità, più le seconde delle prime). Ed un rosso diretto dalla panchina nello spareggio playout con il Lumezzane. Perché una certa fama va coltivata con cura. Come sanno bene i suoi allenatori di allora. “Per me questo è fuori rosa” (Lulù Oliveira), “Abbiamo bisogno di gente utile” (Aldo Monza), “Ragazzi, dobbiamo salvarci. Chi non lo capisce conosce il suo destino. Fuori dalle…” (Marcello Montanari). Ma anche quello attuale: “Mi avevano detto che era una testa di…” (Marco Zaffaroni).
Abbaglio collettivo o verità nuda e cruda? Mettiamola ai voti. Il rischio però è quello di un plebiscito per l’opzione B. D’altra parte, il pacchetto completo di D’Errico è sempre stato questo. Prendere o lasciare. Piede buono giù dal letto la mattina e provate voi a marcarlo. In caso contrario, inferiorità numerica in 11 contro 11. Anche se col tempo, certe spigolature sono state limate. Ma con lui, croce e delizia andranno sempre a braccetto.

Dr. Zaffa e Mr. D’Errico. Marco Zaffaroni e Andrea D’Errico. Lo “Speroni” accoglierà con affetto e nostalgia lo Zaffa. Con curiosità e un pizzico di comprensibile strizza Sua Intermittenza. Il saldo (forse) farà anche il risultato.

Giovanni Castiglioni