Un cambio di direzione, il ginocchio che resta fermo, un crack che lascia subito presagire il peggio. E così è: l’avventura di Alice Meloni tra i pali del Città di Varese femminile in Promozione è terminata il 7 novembre del 2021 nel match contro il Vighignolo. Crociato e menisco andati, uno dei peggiori infortuni a livello calcistico, a maggior ragione se la carta d’identità recita 2005 (con tutta la carriera ancora davanti) e se non c’è un portiere di riserva.

Eppure, forse è proprio da lì che è nata la magia di un gruppo di ragazze che, insieme a mister Bottarelli, hanno saputo unirsi ancor di più, crescere insieme e riscattare un pessimo inizio di stagione arrivando ai playoff. Poi il salto in Eccellenza e proprio lì, nella categoria superiore, è arrivata la rivincita sportiva di Alice Meloni: a tredici mesi di distanza da quel terribile infortunio ecco il tanto atteso ritorno in campo, coinciso con la vittoria in rimonta per 3-2 sul campo del Brugherio (risultato peraltro decisiva con un paio di interventi sul 2-1 per le avversarie). A parlaci di quell’esordio era stata Alessia Bogni, titolare out per un problemino, che riferendosi all’amica disse: “La sua prestazione, unita al suo sorriso, è stata la vittoria più grande”.

Questa volta è Meloni in prima persona a raccontarci la fantastica sensazione di aver riassaporato il campo dopo un autentico calvario durato oltre un anno. “Ricordo ancora quel cambio di direzione – commenta con un filo di amarezza la classe ’05 –, mi sono subito accorta di aver combinato un danno. Ho sentito un dolore assurdo e, nel momento in cui ho provato a rimettermi in piedi, il ginocchio destro non reggeva. Da lì è iniziato un incubo”.

Banale chiedertelo, ma come hai vissuto quel periodo?
“È stato uno dei periodi più difficili della mia vita. Avendo sempre giocato a calcio, il fatto di non poter praticare lo sport che amavo, e in generale di non poter quasi camminare, mi faceva più male del dolore fisico. La mia fortuna è stata avere alle spalle una squadra del genere perché tutte le mie compagne mi sono state costantemente vicine: da Michela (Lunardi, ndr), che ci era già passata e sapeva come mi sentivo, a Miriam e Marghe (Laino e Fava, ndr) senza dimenticare il cap (Francesca Vaccaro, ndr) che essendo la mamma del gruppo non mi ha lasciata sola un secondo”.

A livello puramente sportivo, invece, come hai vissuto la scorsa stagione?
“Per un giocatore vivere anche solo una partita da fuori è sempre complicato. Per me, consapevole anche di essere l’unica portiere di ruolo, è stato ancor peggio: ogni gol preso sentivo una fitta al cuore, era colpa mia perché mi ero infortunata e non ero lì in campo a sudare con le altre. Certo, non ho perso mai una partita (“Nemmeno un allenamento” interviene con un sorriso Claudio Vincenzi) e mi sono sempre fatta sentire tifando come un ultras insieme a Letizia Benotti, anche lei out per infortunio, ma è stato davvero difficile”.

Davi consigli a chi ti ha sostituito?
“Gaia Scarpino e Beatrice Oldani non erano di ruolo e hanno fatto il massimo; il loro impegno è stato davvero encomiabile e non avevano bisogno di sentirsi dire cosa fare e cosa non fare. Certo, a volte ho dato qualche consiglio, ma essendo anche più piccola non mi sentivo nella posizione di fare la professoressa; credo sia stato più importante dimostrar loro la mia vicinanza”.

E il ritorno in campo com’è andato?
“Avevo tantissima ansia, inutile negarlo, ma appena entrata in campo è passata immediatamente. Mi sono detta di entrare facendo ciò che sapevo fare meglio: pensavo che avrei combinato un disastro e invece è andato tutto a meraviglia. Nei cambi di direzione avevo un filo di tensione perché clinicamente ero guarita al 100% ma nella mia testa non ancora: probabilmente sarà stata l’adrenalina, ma non ho mai avuto nemmeno un dolorino. Ho sentito la fatica il giorno dopo (ride, ndr). Concorrenza con Alessia? Sono fortunata ad avere una compagna di squadra come lei perché, oltre ad essere una bellissima persona,  è davvero fenomenale e ho solo da imparare”.

Alla luce di questo e della tua vicinanza alla squadra lo scorso anno ti chiedo: quanto è importante il tuo ruolo all’interno dello spogliatoio?
“Non ne ho minimamente idea (ride, ndr). Di sicuro ho dato tanta carica durante le partite e le mie compagne hanno detto che mi sentivano eccome. Stare con loro anche agli allenamenti, nonostante il caldo, il freddo o la pioggia, sacrificando magari lo studio, ha dimostrato tutta la mia voglia di essere partecipe alle dinamiche di squadra”.

Riavvolgiamo il nostro: la passione per il calcio da dove nasce?
“L’ho sempre avuta e fin da sei anni ho iniziato a giocare a calcio nel Ceresium Bisustum: sono cresciuta affiancando al calcio tutte le mie altre passioni. A 14 anni sono passata all’Aurora Induno per poi tornare al Cerbis e, infine, trasferirmi con la squadra qui a Varese. Cosa è cambiato? In realtà non molto a livello umano perché il gruppo era quello; senza dubbio sono aumentate le pressioni perché, pur nel nostro piccolo, il pubblico ha alzato le aspettative”.

Hai parlato di altre passioni, quali?
“Musica e cinema, di sicuro non la scuola (ride, ndr). Frequento l’Artistico qui a Varese e ogni tanto provo a studiare, ma le mie passioni sono altre. Suono la chitarra e insieme a Federico Sebastiani e Sofia Rapillo rispettivamente bassista e batterista, abbiamo una nostra band che deve ancora trovare un nome. Guardando avanti, però, mi piacerebbe studiare Cinema all’Università per entrare in quel mondo. Regista preferito? Tim Burton”.

Visto che frequenti l’Artistico… un portiere può essere definito un “artista”?
“Assolutamente sì! Il portiere è un pazzo, mi viene in mente ad esempio Oliver Kahn, e calcisticamente parlando mi sento un po’ folle; poi, se proprio dobbiamo prendere un portiere come esempio credo che Gigi Buffon sia il massimo. A livello generale, comunque, da milanista i miei idoli sono Ibra e Gattuso, due giocatori grintosi che ben identificano la mia visione del calcio”.

C’è un sogno calcistico che vuoi realizzare?
“Parliamo puramente di sogni: giocare per il Milan e per la Nazionale. Sono traguardi lontanissimi, ovvio, ma mi piacerebbero raggiungere il professionismo. So di avere tanto da imparare, devo migliorare in primis il gioco con i piedi e aumentare la mia rapidità, ma i riflessi non mi mancano e ho fiducia nelle mie possibilità. Una promessa da fare? Se entro tre anni andiamo in Serie C farò un concerto con la mia bande per le mie compagne di squadra”.

Un ringraziamento per la tua carriera fin qui a chi andrebbe?
“Ho iniziato a giocare grazie a mia zia Simona: mio cugino Leonardo giocava per il Ceresium e mia zia, sapendo della mia passione, mi ha portata a provare. Mamma Lorena e papà Paolo mi hanno sempre supportata e hanno fatto di tutto per alimentare la mia passione. Il grazie non può che andare alla mia famiglia”.

Chiudiamo con una domanda… ‘artistica’: il tuo film del campionato?
“Speriamo di chiudere sopra la metà della classifica. Domenica scorsa è stata una partita strana, dominata per 88 minuti e persa per due minuti di follia: dobbiamo imparare ad essere più ciniche in fase di finalizzazione e migliorare sempre più a livello corale. Solo così potremo arrivare a scrivere il miglior lieto fine possibile. A livello personale non lo nego: mi piacerebbe giocare qualche altra partita”.

Matteo Carraro

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui