Affrontiamo il tema dello sviluppo della pallamano giovanile italiana, la sua crescita ed evoluzione negli ultimi anni. Lo facciamo con l’allenatore del Settore Giovanile della Pallamano Cassano Magnago, Davide Kolec, che dopo 7 anni come allenatore della Prima Squadra amaranto, ha iniziato da due anni una nuova avventura nel mondo giovanile e ci dà un suo pensiero sul movimento e sul rapporto con i giovani, sempre più occupati dal mondo digitale che da quello sportivo.

Da quando è diventato un allenatore delle giovanili, come sta vivendo questo ruolo?
“Devo dire che è stata una mia scelta perché da quando ho iniziato ad allenare, ho sempre amato trasmettere ai giovani il mio modo di giocare a pallamano… Allenare i senior è molto bello, ma è tutta un’altra cosa perché sei tu che devi adattarti a loro e a quello che sanno fare, mentre con i giovani devi lavorare su tutto, parti da zero e questo mi esalta perché posso plasmarli secondo la mia visione di pallamano. È un ruolo pieno di responsabilità e difficoltà, ma pieno di soddisfazioni, soprattutto se sai che hai lavorato bene e vedi questi ragazzi crescere e che diventano, prima di tutto, delle persone educate con dei valori giusti e poi anche giocatori”.

Oggi che siamo in un’era diversa rispetto solo a 10 anni fa, dove i cellulari e videogame fanno da primi amici dei bambini, come si trova ad allenare i giovani? Secondo lei, è cambiato qualcosa nell’approccio didattico e relazionale?
“Assolutamente sì, è un’altra generazione… Io sono giovane ma alleno da 13 anni e, nel mio piccolo, ho visto tanti giocatori passare nel nostro vivaio… Mai come oggi mi sono trovato in difficoltà ad allenare i giovani e ora le spiego il perché… Nonostante i cellulari dovrebbero aiutare perché si potrebbero sfruttare per guardare le partite, reel brevi dove guardano dei gesti tecnici così si allenano anche stando a casa (il famoso allenamento ideomotorio), questi cellulari sono diventati una fonte di distrazione totale. I ragazzi di oggi hanno una minima soglia di attenzione e capire come lavorare con loro in maniera efficace è duro… Poi, la mancanza di movimento e di gioco nei parchi si nota: oggi i ragazzi non sanno quasi come si fa a camminare perché stanno in casa e questo solo 10 anni fa non era così presente… Capisco che lo studio è importante e che è fondamentale per la crescita del bambino, ma penso che anche il movimento sia ugualmente importante, ma soprattutto il sapere relazionarsi, interagire con le persone, imparare a rispettare le regole… questi aspetti tante volte non vengono considerati e poi tutti ci chiediamo perché i ragazzi di oggi sono diversi…

Parlando di giovani, cosa ne pensa del panorama italiano? Vede dei giovani promettenti? Come vede l’intero movimento?
“E’una domanda molto complicata… Credo che l’Italia sia una nazione con un potenziale enorme, purtroppo c’è il calcio che occupa l’85% di tutto il movimento sportivo e questo ci penalizza, non solo noi ma tutti gli altri sport… Siamo uno sport povero con zero visibilità e questi fattori non aiutano il movimento perché devi essere bravo ad inventare qualcosa che possa darti lo slancio… Sarò molto sincero e schietto: il progetto Campus è un ottimo progetto ma, dal mio punto di vista, è fallimentare dal primo giorno e spiego il perché… sono ragazzi selezionati, se di “selezione” possiamo parlare, di tutta l’Italia che arrivano in questo centro all’età di 15-16 anni… Quindi parliamo di giocatori già formati con i loro pregi e difetti… sento parlare che sempre si può imparare anche a 30 anni e sono d’accordo, ma le basi sono le basi e quelle le impari quando inizi a giocare… In Italia, i settori giovanili sono un grande tabù; poche società che ci credono veramente ed investono, e purtroppo tante società che fanno le giovanili solo perché sono costrette… questo porta automaticamente a non avere i formatori, non avere allenatori e strutture consone allo sviluppo vero di questi giocatori e quindi ci ritroviamo sempre con del materiale che non è all’altezza… E già che ho citato gli allenatori, vorrei dire anche qui due parole… purtroppo l’allenatore nella pallamano in Italia non è considerato tanto; non c’è reale competenza da parte delle società che scelgono gli allenatori. Oggi basta scrivere qualche post su Facebook, dire la propria opinione spacciandosi per un allenatore ed essere amico di amici, e tutti diventano allenatori di assoluto valore, e non parlo solo di club ma anche di nazionale. La meritocrazia, la competenza e soprattutto i fatti, non le parole, dove sono finiti? Tutti noi parliamo e speriamo sempre che la nazionale faccia dei risultati, ma come può farli se non c’è il materiale vero, giocatori di valore che fanno la differenza reale in campo?”

Vedo che è un argomento che le sta molto a cuore, ma lei cosa proporrebbe?
“Sì, è un argomento di cui quotidianamente discuto con i miei collaboratori e sinceramente ci tengo tanto, ma proprio perché penso che l’Italia meriti di più. Dal mio punto di vista, dobbiamo essere umili e dobbiamo iniziare a “rubare” dalle altre nazioni, o addirittura club, per capire come fanno a reclutare delle giovani leve che sono delle prime scelte (in parole semplici, “rubare” i futuri calciatori che frequentano le scuole elementari), farli allenare da allenatori specializzati e competenti a 360 gradi. Credo che con 3-4 sedi di questo genere potremmo toglierci delle belle soddisfazioni. Ma sicuramente è un tema molto più ampio e complesso, dove per spiegarlo ci vorrebbe molto più tempo…”

In fine, come vede il futuro della pallamano italiana nei prossimi anni?
“Ora ci saranno le elezioni per eleggere la nuova federazione, e questo fatto sicuramente porterà entusiasmo alle persone che verranno elette… Io mi auguro solo che chiunque venga eletto pensi veramente al bene della pallamano italiana senza pensare ai propri interessi, come quasi spesso accade. Solo con persone volenterose e umili possiamo avere quel briciolo di speranza di portare l’Italia dove merita. Sono sogni, lo so, ma mai si sa nella vita… Buona pallamano a tutti!.

Alessandro Burin

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