Dubbi, tanti, certezze, poche. Il senso di amarezza che lascia la sconfitta per 74-85 della Pallacanestro Varese contro una non irresistibile Trento è ricco di domande e di certezze che si uniscono in una valutazione che non può essere positiva ma che sicuramente è migliore rispetto a quelle delle ultime uscite, benché il risultato sia rimasto lo stesso.

Le certezze, poche, di questa squadra, si chiamano Matteo Librizzi e Olivier Nkamhoua, l’atipico asse play-pivot sul quale una Openjobmetis che appare più un cantiere aperto che un’opera riuscita al 26 di ottobre, si è poggiata ieri per provare a portare a casa due punti che sarebbero stati essenziali in ottica di un calendario che ora le mette di fronte venezia, Virtus Bologna e Tortona, in un trittico di partite che rischia di portare i biancorossi al derby del 16 novembre con Cantù con una sola vittoria in classifica.

Due certezze differenti: la prima, quella del capitano, è di base identitaria, oltre che tecnica e tattica, per un giocatore in grado con il suo atteggiamento di trascinare compagni e tifosi, dando tutto e anche di più dal primo all’ultimo minuto in campo, abbinando a questo una qualità tecnica divenuta ormai invidiabile e soprattutto continua per tutta la partita e per più partite, quasi un unicum in questa squadra. L’altra certezza, Nkamhoua, è fisica e atletica, per quel giocatore che usato fuori ruolo per necessità ma anche per scelta, è l’unico in grado di dare una dimensione di spessore ai biancorossi sotto canestro ma da solo non può fare più di tanto.

Poi ci sono i dubbi, che però assomigliano molto a certezze, negative, di un mercato che ancora una volta ha lasciato più ombre che luci: Moody che ha chiuso la sua avventura in maglia biancorossa con l’ennesima prestazione inconcludente della sua prima e probabilmente ultima, avventura in Italia in carriera; c’è Freeman, che è ancora molto ma molto lontano dall’essere un giocatore performante al livello di un campionato molto competitivo, soprattutto a livello atletico, come quello italiano; c’è poi Renfro, che ha bisogno ancora di diverso tempo prima di tornare ad essere quel lungo che in Grecia aveva rubato l’occhio proprio a coach Kastritis, a patto che, dopo un’annata come quella appena passata ed un inizio come quello di questa, riesca davvero a tornare un giocatore determinante.

A questi dubbi, che però ormai paiono certezze acquisite, benché negative, si aggiungono quelli su alcune scelte operate dalla panchina, legittimissime e anche spiegate dal coach in conferenza stampa ma che restano comunque opinabili, cui la bontà è stata smentita dall’implacabilità del campo: dalla scelta di non cavalcare Librizzi più di 11 minuti nel primo tempo per lasciarne 9 ad un Moody con le valigie in mano; a quella di alternare Nkamhoua a Renfro invece che provarli insieme cercando così di arginare l’emorragia di rimbalzi che anche ieri ha colpito la Openjobmetis, al cambio a 2 minuti dalla fine proprio dell’ala finlandese per il lungo americano, che è costato il parziale di 0-5 che ha chiuso la partita.

Perché il basket è anche uno sport di situazioni, di momenti, di dettagli, che decidono le partite e segnano le stagioni: ed allora questi dubbi, che tanti usciti dall’Itelyum Arena si sono portati dietro, si spera possano essere risolti dall’arrivo di Iroegbu e da un passaggio al 6+6 che pare sempre più indispensabile, per una squadra che cresce ma a cui manca, oggettivamente, un qualcosa che in questo momento nemmeno la certezza più grande su cui si è basata tutta questa nuova stagione, ovvero coach Kastritis, sembra riuscire a portare.

Alessandro Burin

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