La montagna chiede un biglietto d’ingresso che è la fatica ma poi ti ripaga con lo spettacolo, l’emozione e l’intensità che provi quando sei lassù“. Non esiste forse frase migliore di quella di Paolo Cognetti per descrivere il senso del camminare in montagna, un’esperienza in grado di unire il lato fisico a quello spirituale come forse nessun’altra.

Questo è quello che ha provato Laura Fiorese, una ragazza della nostra provincia che ha deciso di compiere una delle imprese più importanti che ogni amante del trekking possa tentare, ovvero raggiungere il Campo Base del monte Everest, la montagna per eccellenza. Un’avventura che le ha permesso di vivere emozioni uniche che ha provato a raccontarci in questa chiacchierata in grado di portarci virtualmente con lei, tra le vette più alte del mondo ad un passo dal cielo.

Da dove nasce l’idea di tentare questa esperienza?
“Il Campo Base dell’Everest è un luogo iconico per chi ama la montagna, un posto che ho sempre sognato di vedere. L’idea di camminare tra le cime più alte del pianeta ti fa sentire davvero piccolissimo, sovrastato da una bellezza incredibile. Il contrasto tra la montagna bianca e il cielo azzurro è qualcosa di spettacolare. Lì si è scritta la storia dell’alpinismo, ed è un posto ricco di aneddoti ed esperienze.”

Qual è stato il punto più alto che avete toccato?
“Il Kala Patthar, una cima a circa 5600 metri, da cui c’è una vista incredibile sull’Everest, mentre il Campo Base si trova a 5364 metri. Abbiamo fatto questa salita all’alba, partendo alle 4:30 del mattino, ed è stata la parte di tutto il viaggio che mi ha emozionata di più.”

Com’è strutturata la salita per arrivare al Campo Base?
“Si parte da Lukla, un punto raggiungibile in aereo a circa 2800 metri. Si arriva al punto più alto in 8 giorni: la salita è suddivisa in tappe da 600/700 metri di dislivello al giorno, con soste di acclimatamento. La sfida maggiore non è tanto la difficoltà tecnica quanto la costanza e soprattutto la quota, perché sali di circa 3000 metri. L’acclimatamento è fondamentale: si fanno soste di due notti con brevi camminate in salita e poi la discesa per abituare il corpo. La discesa finale, invece, si fa velocemente in 3 giorni, perché non ci sono più problemi di ossigenazione: in totale 11 giorni.”

Quale tipo di allenamento ha fatto per arrivare pronta a questa avventura?
“Ho iniziato l’allenamento vero e proprio a gennaio 2024, andando spesso al Campo dei Fiori. Partivo dal Poggio di Luvinate, arrivavo al Forte di Orino e tornavo: una camminata di circa 20 km che facevo con il mio cane. Camminavo un’oretta al giorno e facevo un po’ di corsa 1 o 2 volte alla settimana; quando possibile, facevo uscite in montagna. Quest’estate ho fatto poi il Capanna Margherita per provare un’altitudine più importante, soprattutto per abituarmi a dormire in quota, che è una cosa particolare perché il corpo fa più fatica ad adattarsi alla minor presenza di ossigeno. In parallelo ho fatto un lavoro di rinforzo e mobilità.”

Qual è stato il momento più duro di tutto il viaggio?
“A livello fisico non ho avuto grandi problemi: le gambe andavano senza difficoltà. Il momento più duro è stata la notte a 5000 metri, perché a quell’altitudine l’ossigeno comincia a essere poco. Mi sono svegliata con qualche sintomo di mal di montagna: un forte mal di testa che parte da dietro la testa e arriva fino alla fronte. Ho gestito tutto con un farmaco, ma è stato il momento più difficile.”

Mentre lei era impegnata in questa impresa si è anche verificato un drammatico incidente in quella zona, con una valanga che ha travolto diversi turisti, causandone anche dei morti…
“Purtroppo sì, anche se, essendo successo in un’altra valle rispetto a quella in cui mi trovavo io con il mio gruppo, è una cosa che abbiamo scoperto solo una volta iniziata la discesa. Come potrete ben capire a 5000 metri non prende internet sul cellulare, ci sono solo alcuni rifugi che hanno un wi-fi satellitare che però va lentissimo e che utilizzavamo solo per avvisare le nostre famiglie sulle nostre condizioni di salute. Una volta iniziata la discesa, man mano che scendevamo di quota, il traffico dati aumentava di potenza e con esso anche i messaggi che ricevevo, dove tanti amici mi chiedevano come stessi, preoccupati che potessi essere rimasta coinvolta”.

Immagino che questa, oltre che un’esperienza fisica, sia stata anche spirituale…
“Senza dubbio. Salire con una guida ti costringe ad andare con calma, a rispettare i tempi del tuo corpo, e questo ti fa capire che dovremmo rallentare più spesso anche nella vita quotidiana; cammini in mezzo a una natura che ti fa sentire piccolo e importante allo stesso tempo, e ne percepisci la bellezza e la forza. Non solo però, perché anche da un punto di vista culturale è stato un viaggio bellissimo: in Nepal sono per metà buddhisti e per metà induisti, hanno una filosofia di vita molto bella, che si riflette in ogni persona che incontri. Hanno un approccio verso gli altri fatto di rispetto e accoglienza, cosa che da noi a volte manca”.

Viene naturale chiederle quale sarà la prossima “scalata” che ha in mente di fare?
“Restando nel fattibile, mi piacerebbe tornare sul Monte Rosa e fare qualche altro 4000 metri, come il Castore. Sognando in grande, mi piacerebbe fare l’Annapurna, che è un trekking molto bello, oppure il Campo Base del K2, una montagna molto importante per noi italiani.”

Alessandro Burin

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