Nell’accogliente sede dell’Us Bosto a Capolago di Varese, ieri sera, nuova iniziativa dell’Aiac di Varese. Tema della serata: lo sport e il doping. Ospite, Alessandro Donati, maestro di sport, specialista di metodiche di allenamento e autore del libro “Lo sport del Doping”, pubblicato nel 2012.
Alessandro Donati è entrato fin dalle prime battute nel vivo del problema doping, denunciando come la spettacolarizzazione dello sport, in mano a speculatori di interessi economici, ne ha svilito la dimensione educativa a favore di un modello competitivo che prevede una precoce specializzazione, contraria alla natura del bambino, di per sé esplorativa. Donati ha proseguito mettendo in evidenza come la diffusione del doping non riguardi solo lo sport a livello professionistico, ma anche il livello amatoriale, fenomeno, quest’ultimo, che rappresenta, in modo evidente e sintomatico, l’ampia degenerazione dei valori di riferimento nella pratica sportiva, nella quale non può trovare spazio il diritto del bambino di giocare, divertirsi e migliorarsi.
L’esperto istruttore ha fatto riflettere i presenti sulla colpevole resa degli amanti dello sport di fronte alla prepotenza degli speculatori dello sport-business, che prende la forma dell’autocensura attraverso la quale gli adulti, rivendicando in modo infantile un diritto a illudersi, chiudono gli occhi di fronte a prestazioni sportive poco credibili.
L’intervento di Donati è poi entrato nell’attualità del suo impegno, che è quello di allenatore dell’atleta altoatesino Alex Schwazer, specializzato nella marcia, campione olimpico della 50 km a Pechino 2008, risultato positivo ad un controllo anti-doping alla vigilia dei Giochi olimpici di Londra 2012 e, per questo, sospeso dal Tribunale Nazionale Antidoping fino al 29 aprile 2016.
Nel descrivere e motivare le ragioni di questa sua scelta, il relatore ha denunciato in modo diretto le responsabilità dirette e le connivenze delle istituzioni sportive nel creare un sistema che, per profitto economico, sostiene la ricerca della vittoria attraverso la diffusione del doping. L’atleta, nella tesi di Donati, pur responsabile delle sue azioni, è spesso il capro espiatorio, dietro il quale, con la colpevole connivenza dei media, si fa scudo un sistema che sostiene le forme di utilizzo e diffusione del doping nella pratica sportiva a livello professionistico.
Nel caso specifico di Alex Schwazer, Donati ha poi elencato i fatti che, un mese prima delle Olimpiadi londinesi, evidenzierebbero la volontà delle istituzioni sportive di creare il deserto intorno all’atleta, lasciandolo in totale solitudine e in balia di un modello di allenamento basato unicamente sull’assunzione di doping.
Donati, prima di rispondere alle numerose domande dei presenti, tra i quali un buon numero di giovani, nella parte finale del suo coraggioso intervento ha individuato nell’immobilismo degli organi preposti ai controlli sugli atleti e a un sistema di regole a maglie larghe i mezzi attraverso i quali il sistema istituzionalizzato dello sport, nella sua duplice forma di controllore e controllato, ha di coprire e garantire la diffusione del doping tra gli sportivi professionisti.
Donati ha, infine, esortato gli adulti a fare un atto di generosità nei confronti dei più giovani, abbandonando una concezione dello sport che, nei suoi primi anni di pratica, si basi sulla specializzazione e competizione esasperata e a concentrare i propri sforzi nell’essere concreti interpreti di una cultura sportiva nella quale la ricerca del miglioramento e della vittoria avvengano unicamente con le proprie forze.
Marco Gasparotto