Quel giorno mi disse: «Peccato non aver a budget le risorse per lui, al momento sarebbe solo il nostro terzo pivot. Quel ragazzo però merita: prima o poi, avrà un posto in Nazionale». Quel ragazzo si chiama Marco Cusin: un centro dalle braccia lunghe e con atletismo fuori dal comune per m. 2.11 che, dopo aver fatto veder barlumi del suo talento in una Coop Trieste dove suo compagno era il già “ciuffatore” Daniele Cavaliero, invece di prendere la via delle Prealpi bosine in quell’estate 2004 allungò il passo verso quelle di Biella.

Ci capiva di basket Mario Ghiacci, era sua la confidenza, anche se ballò all’ombra del Sacromonte per una sola stagione.

Uomo del periodo Castiglioni, gli piaceva discutere di pallacanestro: fu general manager in una delle troppe stagioni sfortunate di un’epoca che non premiò coi risultati gli sforzi della Casti Group. «Un’annata segnata da un episodio chiave: l’infortunio di Becirovic all’ultima giornata del girone d’andata» mi disse dodici mesi dopo quella prima confidenza, con un pizzico d’amarezza.

L’asso sloveno, tormentato da tanti guai fisici in una carriera incompiuta, era una scommessa che Ghiacci aveva voluto. Una scommessa vinta nella prima parte dell’annata 2004/05. Almeno fino alla trasferta natalizia in quel di Reggio Emilia dove andò ko. «Pensa che, nonostante in settimana avesse avuto qualche problema in allenamento, Becirovic volle a tutti i costi giocare: sapeva quanto ci tenessi a quella partita nella mia città, quella in cui ero cresciuto, Reggio Emilia appunto», sono sempre parole di Ghiacci.

Ci capiva di basket quel general manager, tanto da cogliere il potenziale di un centro nato a Pordenone nel 1985, all’epoca un imberbe diciannovenne, che nel tempo è diventato un lungo importante. Un lungo che non è mai sceso sul parquet di Masnago portando la maglia di Varese. E oggi, vestendo quella di Avellino, Marco Cusin sarà un avversario “tosto” per Anosike e compagni.

Antonio Franzi