Una storia partita da lontano, un ragazzo che ha dovuto affrontare mille difficoltà prima di riuscire a realizzare il sogno di diventare grande, nel calcio come nella vita. Adottato all’età di 10 anni da una famiglia di Siracusa, Massimo Zappino è riuscito ad arrivare dove voleva con tanta voglia di fare e, soprattutto, grazie al quel carattere forte, e un po’ fuori dagli schemi, che lo ha contraddistinto in ogni tappa della sua carriera.
Ragazzo leale, sempre corretto, idolo della città di Frosinone, di cui è anche cittadino onorario, ha stretto con i tifosi canarini un rapporto quasi fraterno, forse troppo, tanto che, ad un certo punto, lo stesso presidente Stirpe lo ha “costretto” a cambiare aria. Insomma, un giocatore giovane che doveva ritrovare la strada giusta da percorrere e se Frosinone è stata quella piazza che lo ha lanciato, e consacrato, nel mondo dei grandi, è proprio a Varese che Massimo è riuscito a tornare nel calcio che conta, guadagnandosi un posto da titolare nella stagione 2010/2011. Un matrimonio durato solo un anno, ma non per questo privo di emozioni, grazie anche ad un pubblico ed una città che, a sua detta, lo hanno fatto sentire davvero a casa.
Iniziamo parlando di quelli che sono stati i tuoi primi passi nel mondo del calcio. La tua storia è piuttosto particolare dato che, dal Brasile, sei arrivato in Italia dopo l’adozione da parte di una famiglia di Siracusa. Da quel momento, però, hai iniziato subito a giocare nella squadra della tua città. Come è andata?
“Avevo 10 anni quando sono arrivato in Italia e, come tutti i bambini, ho iniziato a giocare a calcio per puro divertimento. All’inizio mi piaceva stare in attacco, ma per il mio carattere, una volta provato il ruolo di portiere, non sono più riuscito ad abbandonarlo. Mi piaceva “sporcarmi di fango”, sono sempre stato una persona piuttosto spericolata. Così è nata la mia storia con la Rari Nantes Siracusa, squadra con cui ho fatto tutta la trafila delle giovanili, dagli Allievi alla Juniores”.
Nel 2000, però, è arrivata la chiamata del Catania. Nonostante ai tempi giocassero in C1, quella rossoblù era comunque una squadra di una certa importanza. È stato in quel momento che hai iniziato a capire di poter realizzare davvero il tuo sogno?
“A loro mancava un portiere per la Berretti, io forse ero addirittura un po’ troppo grande per quel ruolo ma, con un pizzico di fortuna, sono riuscito ad arrivare a Catania, dove ho alternato partite con i ragazzi a convocazioni con la prima squadra. Loro, in porta, avevano Gennaro Iezzo, che però in quel periodo si era fatto male, così sono riuscito anche a sedermi qualche volta in panchina, come nel caso del derby contro il Palermo. Ricordo ancora l’emozione di entrare in uno stadio come “La Favorita”: c’era un’atmosfera incredibile e, per me che ero abituato a ben altri ambienti, era davvero un sogno che stava diventando realtà. Non ti nascondo che, pur non giocando, ho provato davvero molta ansia”.
A Catania incontri Ivo Iaconi che, cinque anni dopo, ritroverai anche a Frosinone. Con lui, la squadra ciociara raggiungerà la prima storica promozione in Serie B, di cui sei stato anche tu protagonista. Possiamo dire che, già da allora, si era instaurato un rapporto particolare con il mister?
“Ti racconto un aneddoto. Un giorno, dopo l’allenamento, ero in macchina con mister Iaconi e il direttore Angelozzi, tra l’altro anche lui approdato da poco al Frosinone. Stavamo parlando del fatto che, con l’infortunio di Iezzo, sarei potuto scendere in campo anche io, ma loro continuavano a farmi sempre la stessa domanda: “Se dovesse capitare che Zancopè (il secondo portiere, ndr) non riuscisse a giocare, te la sentiresti di prendere il suo posto?” Ovvio che io non vedevo l’ora, ero pronto, e non facevo altro che dare la mia assoluta disponibilità, ma come risposta ho ricevuto un ironico: “Sì, lo sappiamo che sei pronto, ma siamo noi ad essere spaventati da questa possibilità”. Questo per far capire che rapporto ci fosse con il mister, è una persona che stimo davvero tanto e, per me, rimarrà sempre un grandissimo allenatore. Con lui avevo un rapporto che andava anche al di fuori del mondo del calcio”.
Così, dopo le esperienze a Nocera e Acireale, nel 2004 arrivi in Ciociaria, in quella che ha rappresentato, e rappresenta ancora adesso, la tua seconda casa. Come è nata la trattativa che ti ha portato a giocare a Frosinone?
“Era l’estate successiva alla promozione del Frosinone in C1 e il direttore di allora, Enrico Graziani, anche lui persona eccezionale, doveva andare a Messina per trattare con un altro calciatore. Io non avevo nemmeno un procuratore, ero ancora agli inizi, e così aveva chiamato direttamente me per poterci incontrare all’aeroporto di Catania. Mi disse, sin da subito, che l’anno successivo sarei stato con loro, e in un attimo abbiamo chiuso la trattativa. Tra l’altro, la stagione prima, avevo fatto l’esordio con la Nocerina proprio nella gara contro il Frosinone. Dovevo sostituire l’infortunato Cilumbriello ma, in quella partita, ho parato addirittura un rigore. Non so se hanno iniziato a seguirmi da quel momento, ma ricordo di aver fatto davvero bene”.
In quegli anni, i primi da presidente per Maurizio Stirpe, l’ambiente aveva ritrovato un certo entusiasmo, grazie anche agli ottimi traguardi raggiunti. Quali erano le tue aspettative?
“Fino a prima della chiamata del Frosinone, non dico che avessi vissuto tutto “normalmente”, ma di sicuro provavo sensazioni completamente diverse. Raggiungere Frosinone, invece, mi aveva proiettato verso un qualcosa di completamente diverso. C’erano tutte le possibilità di far bene, la squadra era forte, ma all’inizio ho fatto anche fatica a realizzare il tutto. Loro avevano De Juliis in porta, ero sicuro che avrei fatto fatica a prendermi i miei spazi, e invece sono stato subito schierato in campo, complice anche la squalifica del mio compagno di reparto. Poi, se alla luce di tutto quello che è stato con il Frosinone, dovessi tornare in dietro con la mente a quei momenti, non posso che essere fiero e orgoglioso di quello che ho fatto con quella maglia. Per me è stato, davvero, come giocare la finale della coppa del mondo, perché per quella squadra ho dato davvero tutto e penso di essere stimato proprio per questo”.
Nel 2006, a Frosinone, viene scritta la storia. Archiviata l’eliminazione ai playoff dell’anno precedente, l’11 giugno arriva la vittoria di misura contro il Grosseto di Massimiliano Allegri e, di conseguenza, la prima promozione in Serie B. Che ricordi hai di quella partita?
“Avevamo rischiato tanto in semifinale contro la Sangiovannese, ma alla fine siamo passati con un doppio 0-0 in virtù del miglior piazzamento in campionato. Della finale, invece, non posso dire nulla se non che, a mio avviso, è stata la partita più bella della mia carriera. Ricordo che eravamo tesissimi, la notte prima della gara abbiamo dormito davvero poco, prendendo sonno, forse, intorno alle 4 del mattino. Eravamo in ritiro a Fiuggi, abbiamo iniziato a scherzare tra di noi per sdrammatizzare, ma il giorno dopo l’adrenalina era davvero pazzesca. C’era gente che ci aspettava già al casello dell’autostrada, lo stadio era strapieno, la città colorata a festa. Considera che non siamo nemmeno scesi subito in campo perché dovevo calmarmi, ero davvero troppo agitato. E poi, ti racconto un altro aneddoto. Al 10’ del secondo tempo ho chiesto il cambio, ufficialmente per un problema muscolare, ma la realtà era che, per quanto fossi in ansia, avevo paura di fare qualche errore e di compromettere il risultato. Uscito dal campo, mi sono chiuso nel magazzino dello stadio ad ascoltare musica e non ho voluto più vedere nulla. Ho recuperato gli ultimi minuti della gara solo qualche giorno più tardi”.
Nella stagione 2006-2007 arriva, finalmente, l’esordio in cadetteria. Venivi da stagioni ad altissimi livelli in terza serie, ma la Serie B è completamente un altro mondo. Quale è stato il tuo impatto con il nuovo campionato?
“Ricordo che all’inizio non ero nemmeno la prima scelta, perché il mister diceva che fossi ancora troppo preso dai festeggiamenti. Ero convinto di essere io il primo portiere, dato che l’anno precedente avevo vinto il campionato, però, dopo poche giornate, mi sono ripreso effettivamente il posto da titolare. Comunque, se c’è una partita che non dimenticherò mai è la trasferta che abbiamo fatto a Vicenza ad inizio campionato. Non eravamo riusciti a vincere nemmeno una gara fino a quel momento, l’inizio di stagione non era stato dei migliori ma, in quell’occasione, ho fatto davvero una buona prestazione. Al termine della partita, il presidente Stirpe, rivolgendosi ad Iaconi, disse testualmente: “Ringrazia Zappino se rimani, perché la tua valigia era già pronta””.
A fine stagione, però, lasci Frosinone. Dato il rapporto che si era creato, sia con la società che con l’ambiente, perché non sei rimasto?
“A me piace parlare sinceramente, sono sempre molto schietto e non ho problemi a dire che un paio di volte sono uscito un po’ fuori dai binari, forse anche per il fatto che ero ancora molto giovane. Facevo tardi la sera, in compagnia degli stessi tifosi, tanto era forte il rapporto che si era creato con loro, ma forse mi sono lasciato un po’ troppo andare. Il presidente stesso, ad un certo punto, mi ha suggerito di trasferirmi in prestito per qualche anno, in modo da staccarmi un po’ da tutto l’ambiente e maturare sotto alcuni punti di vista. Così, mi sono trasferito al Chievo”.
A Verona, in ogni caso, non sei mai riuscito a scendere in campo. Cosa è successo in quel caso?
“In origine non dovevo nemmeno trasferirmi al Chievo, ma al Brescia. Il presidente Stirpe aveva già fatto tutto con i lombardi, ormai era cosa fatta. Loro, però, avevano Viviano in porta e il direttore del Brescia, Gianluca Nani, mi disse che probabilmente non avrei mai giocato. Lui era sul mercato, lo voleva l’Inter, e solo in caso di estrema necessità sarei riuscito a subentrare. Capisci bene che era una situazione che non poteva andarmi a genio, così ho preferito andare a Verona. Li c’era Squizzi come titolare ma, non essendo più giovanissimo, magari non avrebbe giocato tutte le partite. Alla fine, però, il risultato è stato esattamente lo stesso, e non sono mai riuscito a giocare nemmeno un minuto”.
Così sei costretto a ripartire dalla Pro Sesto, tornando nuovamente in C1. Immagino che, per un portiere che aveva vinto il campionato qualche anno prima e che aveva fatto sempre piuttosto bene, non è stato semplice rimettersi in gioco.
“In realtà no, non mi sono mai fatto grossi problemi su questo. Sinceramente, credo che se riesci a dimostrare sul campo quanto vali realmente, un domani riuscirai sempre a tornare dove meriti. Evidentemente era giusto che mi rimettessi in gioco, ma alla fine credo di aver meritato le squadre in cui sono stato e magari potevo ambire anche a qualcosa in più, senza nulla togliere a Como, Lecco e Pro Sesto, con cui sono stato comunque benissimo. È solo grazie a loro se, pian piano, sono riuscito a tornare a certi livelli”.
Hai parlato, giustamente, di squadre importanti in cui hai militato. Tra queste, mi permetto di inserire il Foggia, con cui hai giocato nella stagione 2008/2009. Anche in quel caso, però, non riesci mai scendere in campo, se non in una partita di coppa in cui vieni anche espulso. Diciamo che, presentarsi in uno stadio caldo come lo Zaccheria con un rosso diretto, non deve essere il massimo.
“Verissimo, giocavamo il derby contro il Barletta e quell’espulsione, se ci fosse stato il VAR, non sarebbe stata nemmeno convalidata. Ero fuori area, ho preso la palla con il petto, ma l’arbitro pensava che l’avessi toccata con un braccio e, così, mi ha mandato negli spogliatoi. Se sono andato via, però, non è tanto per quanto successo in quella partita, ma solo perché non c’era una buona intesa con mister Novelli. Era un allenatore che, in qualche modo, temeva i ragazzi dal carattere forte e già durante la preparazione c’era stato qualche screzio tra noi. La realtà è che, quando ti accorgi che una situazione non è risolvibile, difficilmente si può andare avanti. Una volta messo fuori rosa, comunque, sono tornato sei mesi in Sicilia prima di trasferirmi nuovamente al nord, prima a Lecco e poi a Como”.
Hai citato, giustamente, il Como. Ancor prima, però, sei passato per Taranto, squadra con cui è successo qualcosa di particolare. Il 9 luglio del 2009, infatti, firmi ufficialmente il contratto con i pugliesi ma, appena qualche giorno dopo, arriva immediatamente la rescissione consensuale. Puoi spiegarci il perché di questa decisione? Cosa ti ha spinto a cambiare idea nel giro di poche settimane?
“In realtà a Taranto non ci ho nemmeno mai messo piede, ha fatto tutto il mio procuratore. Il problema è stato che avevano preso il nuovo allenatore dopo la mia firma e la scelta era ricaduta su Piero Braglia, con cui avevo avuto più di qualche screzio a seguito di una partita contro la Sangiovannese. Anche lui, dopo quell’episodio, non si è comportato benissimo nei miei confronti e così, una volta saputo che sarebbe stato lui il mister, ho telefonato al mio agente per comunicargli la volontà di non andare al Taranto. Dopo quella scelta, ho ricevuto telefonate piuttosto “calde” anche da parte dello stesso presidente dei pugliesi ma non mi stupisco di nulla. In fondo, nel calcio, può succedere anche questo”.
Per quando riguarda il Como, invece, pur giocando titolare nel girone di ritorno, non sei stato confermato per la stagione successiva. Degennaro, l’ex DG dei lariani, a specifica domanda su un tuo possibile ritorno, rispose di aver virato su altri obiettivi perché voleva in squadra solo “gente davvero convinta del progetto”. C’era effettivamente qualcosa che non aveva funzionato con gli azzurri?
“Sinceramente non ero io a dover decidere su quella vicenda. Io ricordo solo che, in campionato, avevamo compiuto un autentico miracolo per raggiungere la salvezza. Avevo giocato piuttosto bene, ma ero sempre legato al Frosinone e dovevano mettersi d’accordo le due società. Per quanto mi riguarda, non c’erano problemi particolari, ma non ho mai ricevuto nessuna proposta e, di conseguenza, ho fatto altre scelte”.
E infatti subito dopo l’esperienza a Como ti trasferisci a Varese. È stato il direttore Sogliano a cercarti?
“Ricordo che sono arrivato a Varese il 2 di settembre, a mercato ormai chiuso. È stato lui a cercarmi, ma evidentemente anche il mio procuratore stava spingendo per riuscire a trovare la soluzione migliore per me. Non so come sono andate effettivamente le cose, ma quello che posso dire è che nel giro di poco sono arrivato in città e ho firmato il contratto. Tra l’altro, quell’anno loro avevano anche Moreau in porta con cui scherziamo molto sul fatto che, già ai tempi della Pro Sesto, gli avevo soffiato il posto da titolare, situazione che si è ripetuta anche a Varese. Non posso descriverti la sua espressione appena mi ha visto arrivare (ride, ndr)”.
Però, aneddoti a parte, quell’anno hai collezionato ben 35 presenze con i biancorossi. Evidentemente, anche mister Sannino ha voluto darti fiducia. Che rapporto avevi con lui?
“Sannino è un altro allenatore eccezionale, penso che la carriera che ha intrapreso dopo l’esperienza a Varese parli da sola. Il mister, in ogni caso, è un’altra persona dal carattere forte come il mio e simpaticamente dico che siamo “pazzi” allo stesso modo. Sinceramente, penso apprezzasse molto questo lato di me. Con quella squadra, poi, abbiamo fatto davvero un bel percorso, interrompendo solo ai playoff contro il Padova un cammino che ci avrebbe portati davvero in alto”.
A proposito di Padova. A livello personale, hai qualche rammarico per come è andata a finire quella gara?
“Sicuramente c’è un po’ di rammarico, la squadra era in un’ottima condizione e siamo stati davvero ad un passo dall’andare a giocare la finale contro la Reggina. Peccato per il 3-3 di El Shaarawy, ma noi ce l’abbiamo davvero messa tutta. Dopo quella stagione, però, nonostante fossi stato nominato come “miglior portiere” della serie B, sono rimasto senza squadra. È qualcosa che non riesco davvero a spiegarmi”.
Ma non avevi firmato il rinnovo con il Varese? Perché avevi affermato di aver raggiunto l’accordo per un’altra stagione in Lombardia. È andata effettivamente così?
“Assolutamente no, non c’è mai stato nessun rinnovo e nemmeno nessun accordo. Dopo Varese, non ho ricevuto nessuna chiamata, tanto che a settembre mi sono trasferito al Vaslui, in Romania”.
E allora, possibile che, al termine della stagione, non hai mai avuto un confronto con la dirigenza? Come ti spieghi questo silenzio da parte loro?
“Non so dire di preciso che tipo di valutazioni hanno fatto, io posso solo dire che da parte loro non ho mai ricevuto nessuna proposta, anche perché erano andati via sia Sannino che Sogliano, le due persone che più mi avevano voluto a Varese. Da un lato, però, sono stato anche fortunato perché quella è stata l’occasione giusta per tornare definitivamente a Frosinone”.
In ogni caso, che ricordo hai di quell’ambiente? Hai più volte dichiarato di ritenere Varese una delle piazze con cui hai legato di più, appena dopo Frosinone.
“Verissimo. A Varese, proprio come a Frosinone, mi sono sentito un po’ come in famiglia. Eravamo spesso assieme, sia con i giocatori che con i tifosi, e quando trovi società del genere, che ti lasciano lavorare senza troppe pressioni, i risultati arrivano quasi sempre”.
Prima di parlare delle ultime fasi della tua carriera, però, voglio soffermarmi ancora sulla tua esperienza a Varese. So che, dopo la nostra intervista ad Alessandro Frara di qualche settimana fa, lo hai chiamato per ringraziarlo delle belle parole che ha speso nei tuoi confronti. Cosa vi siete detti di preciso?
“L’ho semplicemente ringraziato, è davvero una persona eccezionale e, sin dai tempi del Varese, ho sempre avuto un rapporto bellissimo con lui. È un ragazzo molto serio, un grande lavoratore e, soprattutto, un grande professionista. Non riesco a trovare un aggettivo negativo nei suoi confronti, si merita pienamente il suo nuovo incarico da direttore”.
Puoi spiegarci come è nata la trattativa che ti ha portato a giocare in Ciociaria per la seconda volta?
“Ricordo che ero tornato a Siracusa dopo aver avuto un po’ di problemi con il trasferimento al Vaslui, dato che la FIFA non aveva dato il via libera per il mio approdo in Romania per questioni legate alla “Green Card” che non sono riuscito a risolvere. Io, una volta tornato a casa, ho continuato a seguire il Frosinone, e leggevo dai giornali che i loro due portieri, Nordi e Rossini, non stavano facendo delle ottime prestazioni. Così, mi sono permesso di chiamare il presidente Stirpe, che a sua volta mi disse di parlare con il direttore Meluso, dato che si stava occupando lui della costruzione della rosa. Il direttore, però, non mi aveva dato grandi speranze per un ritorno immediato, dato che, a sua detta, avevano già altri profili da valutare. A gennaio, però, ho ricevuto una chiamata direttamente dal mister, Eugenio Corini, che mi disse di presentarmi in città già dal giorno successivo, nonostante fisicamente non fossi in ottima forma”.
Nei tuoi ultimi anni in Ciociaria hai vissuto altre 3 promozioni, rispettivamente contro Lecce, Crotone e Palermo. Quale tra queste ti è rimasta più impressa e, soprattutto, cosa ti porti dentro da quelle esperienze?
“Credo che quella contro il Crotone sia la partita più bella in assoluto. Nulla da togliere alla gara contro il Lecce, soprattutto per il percorso che abbiamo fatto quell’anno e per come è arrivata quella vittoria, dato che siamo passati in vantaggio solo negli ultimi minuti dei supplementari. Quello che ho provato quando abbiamo affrontato i calabresi, però, credo di non averlo mai vissuto prima. È stato tutto perfetto, a partire dal fatto che quasi nessuno dei ragazzi in rosa avesse mai giocato in Serie A, ed averla raggiunta rappresentava davvero un sogno per tutti noi. E poi, il rigore parato sotto la curva, la festa fino all’alba e la città in delirio hanno reso tutto decisamente più magico”.
In chiusura. Terminata l’esperienza con il Frosinone, prima di appendere definitivamente gli scarpini al chiodo, hai firmato con il Siracusa, con cui hai in seguito rescisso per un problema legato ad una vecchia pubalgia. Come è andata e, soprattutto, che piani hai per il futuro?
“Ormai sono tornato stabilmente a Siracusa, dato che gli ultimi anni non sono stati facili per me, soprattutto a livello personale. Dopo essermi separato da mia moglie, con la quale stavo insieme da 12 anni, mi è caduto letteralmente il mondo addosso e non volevo stare troppo lontano dai miei figli. Così ho chiesto al presidente Stirpe di poter tornare a casa e non finirò mai di ringraziarlo per aver capito la situazione, dato che ero ancora sotto contratto loro come preparatore dei portieri delle giovanili. Per quanto riguarda il futuro, per ora mi limito a dare una mano al Siracusa. Lo ammetto, il calcio mi manca, ma l’importante è stare accanto alla mia famiglia”.
Gabriele Rocchi