Fare il capitano significa essere una spalla per tutti, un punto di riferimento per i più giovani e un autentico trascinatore sia nei momenti positivi sia in quelli negativi. Devi essere coerente con ciò che dici e ciò che fai in campo; per me essere capitano significa esser sempre presente”. Sono queste le parole con cui si presenta Stefano Granelli e, non a caso, il capitano degli Skorpions è sempre stato presente.

In prima linea fin dall’ingresso in campo, il linebacker classe ’90 ha guidato gli scorpioni grigiorossi nella straordinaria cavalcata di questa stagione che si è fermata solo al morso dei Vipers Modena in semifinale. Una stagione, specchio di una carriera, passata a correre yard dopo yard sul rettangolo verde, all’insegna dell’amore per il football e della passione per questa squadra. “Far parte degli Skorpions è per me una ragione di vita – spiega Granelli – perché da quando ho scoperto questo sport tra il 2007 e il 2018 non ho più potuto farne a meno. Io ho una piccola azienda di impianti termoidraulici e, essendo il titolare, non ho difficoltà a gestire il mio lavoro con il football: qui a Varese, in particolare, c’è un gruppo fantastico e l’adrenalina che si respira in ogni momento ti lascia la voglia di tornare subito a giocare, ad allenarti e a condividere ogni momento con i compagni. Ho avuto la possibilità di fare una stagione ai Seamen, vincendo il campionato nel 2016 e giocando in Europa, ma sono felice ed onorato di far parte degli Skorpions e di esserne il capitano”.

Via il dente via il dolore, iniziamo subito dalla semifinale persa a inizio luglio: cosa è mancato contro i Vipers?
“Per come la vedo io non è mancato nulla perché siamo scesi in campo con la stessa voglia e intensità che abbiamo messo in ogni partita. Sapevamo che i Vipers sono fortissimi ed eravamo consapevoli del fatto che avrebbe vinto la squadra in grado di sbagliare meno. Il risultato finale rispecchia l’equilibrio che c’è stato in campo; purtroppo i nostri errori sono pesati più dei loro. Dispiace, anche perché vedendo il Silver Bowl direi che la vera finale si è giocata a Varese…”.

A tal proposito, ti aspettavi la vittoria dei Vipers nel Silver Bowl?
“Assolutamente sì perché dall’inizio del campionato avevo individuato loro come la squadra da battere. Di certo, però, non mi aspettavo un punteggio del genere: non so se sia stata colpa dei Giaguari che hanno sottovalutato il match o merito dei Vipers, ma alla luce del risultato non posso fare a meno di chiedermi cosa avremmo fatto noi in finale”.

Semifinale a parte, come giudichi il cammino strepitoso degli Skorpions?
“Tolta la delusione post Vipers non posso che essere contento. Grazie a Nick e Julie abbiamo fatto un salto di qualità strepitoso nell’approcciarci agli allenamenti, alle partite e alla vita di tutti i giorni: anche solo il vedersi una volta in più a settimana per fare una corsetta tutti insieme vuol dire davvero tanto. Holt arrivava dal professionismo puro e ha portato a noi la sua metodologia con risultati impressionanti: semifinale a parte abbiamo sempre dominato sugli avversari e quanto fatto quest’anno rappresenta una solida base da cui ripartire per il futuro”.

Ti aspettavi una squadra così competitiva?
“Avevo senz’altro molta fiducia nel gruppo, ma i risultati sono andati ben oltre le mie speranze. Ci siamo resi conto noi stessi della nostra forza al punto che quando entravamo in campo non avevamo minimamente paura dell’avversario perché avevamo la consapevolezza di poter battere chiunque”.

Quest’anno si è visto un mix quasi perfetto tra esperienza e gioventù; cosa manca per il salto?
“Continuare a far pratica. Quest’anno molti ottimi giovani hanno esordito in Prima Squadra e, per quanto siano davvero forti, è inevitabile che debbano crescere e fare esperienza; possiamo definirlo l’anno di prova, dal prossimo dovranno confermarsi e i presupposti per farlo ci sono tutti. Il bello della filosofia Skorpions è che non si arriva mai da nessuna parte: la squadra è sempre in movimento per migliorarsi costantemente”.

Parlando di giovani che giudizio puoi dare su di loro? Dall’altra parte, che aiuto ti danno i giocatori più “stagionati”?
“L’arrivo di gente come Scola e Raffaele ci ha fatto solo bene: parliamo di giocatori fortissimi, carismatici ed esperti che sanno darti sempre i giusti consigli ed è dovere di tutti noi ascoltarli. Per quanto riguarda i giovani sono tutti bravi giocatori e lo sanno bene; è compito mio, e degli altri senatori, tenerli a bada per evitare che si montino la testa dato che nel football non esistono individualità e la squadra è forte solo quando il gruppo è unito. Fortunatamente, anche grazie all’eccellente percorso giovanile costruito dalla società, i nostri giovani hanno la testa a posto e sono sempre vogliosi di allenarsi e migliorare”.

Da capitano cosa hai detto alla squadra dopo la semifinale?
“Non c’è stato un vero e proprio discorso, anche perché tutti noi eravamo ben consapevoli di cosa aveva funzionato e di ciò che avevamo sbagliato. Ho semplicemente detto di essere orgoglioso per ciò che ho visto, dato che ognuno ha lasciato tutto sul campo; c’è senz’altro stato spazio per tante lacrime”.

Parlando ora di te nello specifico, possiamo dire che il ruolo del linebacker è il più importante?
“Senz’altro è tra i più difficili perché devi avere mille occhi: devi leggere la linea, come si schiera l’attacco, i movimenti che fanno i giocatori e stare attento a infiniti piccoli particolari. Non basta di certo buttarsi contro gli avversari, ma bisogna anticiparli e reagire in fretta alle loro mosse; l’attacco sa cosa sta facendo, la difesa deve adeguarsi di conseguenza”.

Fai anche parte dello special team; quanto sono importanti le fasi di transizioni tra attacco e difesa? La sensazione è che i Vipers vi siano stati superiori da questo punto di vista…
“Una squadra vince una partita quando vince due fasi su tre. Lo special team vale un terzo, esattamente quanto l’attacco e la difesa, e contro i Vipers abbiamo nettamente perso il confronto; sicuramente la sconfitta in semifinale ci ha fatto capire di dover migliorare molto in merito a questo aspetto”.

Linebacker, special team… ma ti occupi anche delle conversioni. Quanta pressione senti al momento del calcio?
“È il momento in cui sento più pressione in assoluto: tutti sono lì a guardarti, pronti a fermarti o in attesa di un tuo errore; la conversione è importantissima perché le partite si vincono o si perdono anche per un solo punto. Per questo motivo, quando calcio, mi isolo: esisto solo io, il long snapper, l’holder e i pali”.

Qualche conversione l’hai lasciata a Petrillo: chi calcia meglio fra te e lui?
“Calcia molto meglio lui, te lo garantisco”.

Qual è la tua miglior qualità? E un tuo difetto?
“Io credo di essere un linebacker molto smart: ho una buona intelligenza tattica e sono in grado di leggere bene l’attacco avversario e muovermi di conseguenza. Come difetto diciamo che ho le caviglie fragili…”.

La partita più bella in stagione?
“Quella contro i Vipers senza dubbio. Anche se abbiamo perso è stata “la” partita, un match intenso e adrenalinico come pochi”.

Il momento più bello che ti ha visto protagonista?
“Il fumble che ho causato contro i Lions Bergamo al “Franco Ossola”. Il loro giocatore era diretto verso la endzone e sarebbe stato un touchdown sicuro, ma ho avuto la lucidità di lanciarmi dietro di lui per tirare un pugno al pallone e fargli perdere la presa”.

Qual è il tuo rapporto con coach Holt?
“Ottimo, davvero, perché ci sentiamo molto spesso anche fuori dal campo. Lui ha allenato quelli che io e altri guardavamo come idoli e averlo qui non ci sembra vero: pensi di non essere all’altezza e questo ti porta a lavorare ancora di più perché speri di conquistare il suo rispetto. In realtà non ti fa mai pesare il suo passato; anzi, al contrario, è una persona genuina e di cuore, esattamente come sua moglie, che ti fa sentire a casa anche durante l’allenamento. Poi è ovvio che quando ci si allena lui è un generale: non si ride, non si scherza e si lavora duro, ed è giusto che sia così”.

Ma il mondo Skorpions non è solo Holt, dico bene?
“Certo! A tal proposito colgo l’occasione per ringraziare tutto l’eccezionale staff: dai magazzinieri ai fisioterapisti, da chi fa i tamponi a chi segna il campo, senza dimenticare la dirigenza… in casa Skorpions c’è un contorno fondamentale e ringrazio ognuno di loro. Per fare due nomi ci tengo a sottolineare l’ottimo lavoro che hanno fatto Daniele Donati e Fabio Drigo con la difesa e, in particolare, con i linebacker”.

Aspettative per la prossima stagione?
“Vincere. Quest’anno abbiamo giocato un ottimo football e da qui dobbiamo ripartire per migliorarci ulteriormente; da settembre inizieremo a lavorare per preparare la prossima stagione con l’obiettivo di vincere il campionato”.

Per concludere, perché il football? Mi spiego: da capitano e giocatore carismatico, cosa diresti a un ragazzo per convincerlo a giocare a football?
“Il football è uno sport che ti cambia la vita in meglio. Senza dubbio ti può togliere salute, tempo, energia, ossa e legamenti (ride, ndr) ma dall’altra parte ti dà tanto: ti insegna il rispetto, la leadership e, di fatto, la vita. Il football è la scuola di vita per eccellenza perché ogni cosa che ottieni la guadagni solo per merito del tuo lavoro: non aspettare che ti regalino le cose, lotta per ottenerle. È l’insegnamento più prezioso che una persona possa imparare, e il football te lo fa capire come null’altro al mondo”.

Matteo Carraro

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