Parlare di pallacanestro in compagni di coach paolo Galli è come seguire il percorso di un fiume. Ma di quelli importanti. Di quei fiumi che durante il suo scorrere ti fanno provare l’ebbrezza di “navigare” in tutti i modi possibili. Le parole, i ricordi, gli aneddoti, le riflessioni di Paolo Galli assomigliano alle anse di un fiume. Sono a volte vitalissime, a tratti impetuose, in altre occasioni placide, serene, o ancora pungenti, amare, ironiche.

Unico aspetto che rimane costante lungo il tragitto è che le considerazioni di coach Galli sono sempre intelligenti. Così, scorrono via oltre sessant’anni di basket e solo alcune fotografie, ovviamente in bianco e nero, ovviamente maltrattate dal tempo, sono lì a ricordarti che Paolino Galli, senza mezzi termini, senza fraintendimenti di sorta, merita di essere definito il “papà” della pallacanestro a Busto Arsizio. Tra le sue mani sono passate almeno quattro generazioni di giocatori e giocatrici e se tanti dei suoi pupilli sono rimasti in qualche modo “attaccati” alla pallacanestro un pizzico di riconoscenza la devono ad un allenatore-uomo capace di trasmettere entusiasmo, passione, volontà, interesse.

Lo stessa passione, lo stesso interesse che nei primi anni dopo il secondo conflitto bellico spingono Galli, classe d’acciaio 1937, in maniera decisa verso la pallacanestro.

“Il primo approccio con la palla al cesto, allora – precisa Galli -, si chiamava così, avviene intorno al 1946 seguendo le avventure di mia sorella Ivana che già praticava uno sport molto diffuso a livello femminile nella nostra zona. Però, per alcuni anni, la mia passione si limita a niente di più che un interesse da tifoso anche perché a Busto manca la materia prima, ovvero non ci sono squadre giovanili. Così, in maniera estemporanea si gioca a pallacanestro solo nei rarissimi campi esistenti negli oratori muovendosi da autodidatta imitando i gesti tecnici visti fare da alcuni giocatori più anziani ed esperti che si danno da fare nelle varie squadre che sorgono tra Busto, Gallarate, Legnano e dintorni. Il tutto fino a quando, avevo già 16 anni, Peppino Vidali, primo vero pioniere del basket a Busto Arsizio, riesce ad organizzare l’attività giovanile. Sono anni eroici, persino difficili da raccontare perché a causa dell’esiguo numeri di praticanti le squadre nascono dal nulla e muoiono nel giro di una-due stagioni. Così noi ragazzi giochiamo in tre quattro campionati alla volta disputando i tornei Cadetti, Juniores, Promozione e spesso, quando mancano gli adulti anche in serie C. Insomma, per circa 4 anni, dal 1954 al 1958, giro come una trottola, gioco e mi diverto tantissimo, ma come si può immaginare, essendo tutto fatto ad un livello tra l’ultradilettantistico e l’empirico, si portano a casa pochissimi risultati. Non a caso, quando torno dal servizio militare scopro che nel frattempo le mia squadra sono scomparse, oppure non fanno più attività senior o, ancora, si sono fuse con altre realtà”.

Quindi, senza più squadre cosa fai?
“Continuo a giocare in squadre che disputano il campionato di Promozione ma, per così dire, sono raccogliticce e conservano il loro “marchio” ruspante e poco organizzato. Tuttavia, dal momento che a Busto grazie al lavoro dell’infaticabile Vidali il settore femminile è davvero florido, inizio a dare una mano allo staff tecnico perché, comunque, la pallacanestro mi piace e, fuori di metafora, rappresenta la mia unica passione di vita. Dopo i primi approcci, nel 1962 mi iscrivo ad un corso per diventare allenatori organizzato a Milano e tenuto da un maestro di pallacanestro come Arnaldo Taurisano. Al termine del corso inizio ufficialmente la mia carriera tecnica allenando un paio di formazioni femminili dell’Oratorio Sacro Cuore nel campionato di Promozione. Peppino Vidali, grande anima del basket  femminile varesino, valutando positivamente il mio lavoro in palestra mi chiede di fargli da assistente per la squadra in serie B e, quando nel 1964 decide di abbandonare l’incarico, mi affida la conduzione della prima squadra e di alcune squadre del settore giovanile. Impegni tecnici che, tra qualche tira e molla, terrò per circa una decina d’anni ricavando grandissime soddisfazioni allenando anche le ragazzine. In particolare il gruppo che in rappresentanza della provincia di Varese nel 1972 parteciperà alle Finali Nazionali dei Giochi della Gioventù. Un evento che, allora, era davvero importantissimo sia a livello di “vetrina”, sia per ciò che riguarda la formazione di giocatrici e giocatori. Tantissimi campioni in svariate discipline si sono infatti messi in luce proprio ai Giochi della Gioventù”.

La cronologia racconta che a metà degli anni ’70 passi definitivamente al basket maschile
“Proprio così: lascio la pallacanestro femminile quando il “solito” Vidali abbandona anche i ruoli dirigenziali e contemporaneamente a Busto, sotto l’etichetta Cestistica Bustese va ricreandosi, con i canoni di una certa serietà, un movimento giovanile maschile. Dopo un paio di stagioni trascorse nelle giovanili, coach Franchino Passera mi vuole come suo assistente in serie C. In seguito verrò confermato nell’incarico anche da Silvio Bertacchi al quale i dirigenti affidano una squadra di alto profilo in serie B e alla scuola di un grande allenatore come Silvietto compio il classico salto di qualità”.

Sono gli anni della “famosa” Omega Bilance, giusto?
“Esatto: è l’epoca della “grandeur” cestistica bustocca perché in provincia di Varese, dopo l’inarrivabile Ignis-MobilGirgi-Emerson ci siamo noi che giochiamo in serie B e per un paio di campionati partecipiamo anche alla “poule” per la serie A2. Anni epici in cui nell’angusto, ma “bollente” PalaAriosto vediamo transitare grandissimi giocatori che esplodono proprio a Busto. E’ il caso, per esempio della coppia Lesica-Bessi, oppure di ex-protagonisti in serie A – Lucarelli, Guidali, Anchisi per citare solo alcuni nomi -, che con la maglia Omega vivono una seconda, brillantissima, giovinezza cestistica. In quel periodo, faccio da secondo a Bertacchi, Fabiani e altri ma in un paio di occasioni, a seguito di licenziamento o dimissioni in tronco del capo-allenatore, mi capita di assumere la guida della prima squadra togliendomi alcune soddisfazioni. La più grande è certamente quella di aver mantenuto la squadra in B nel corso di un drammatico  spareggio-salvezza vinto contro Pallacanestro Legnano”.

Poi, che succede?
“Succede che nel passaggio societario dalla gestione dell’avvocato Ezio Crespi ad altri dirigenti il “feeling” collaborativo inizia a rivelare qualche magagna e siccome il mio carattere non è esattamente accondiscendente decido di scendere dal treno Cestistica Bustese e soprattutto scendo di categoria passando dal campionato di serie B a quello di Promozione al CAS Sacconago. Qui alleno una squadra che, praticamente, è composta quasi per intero da miei ex-giocatori  nelle giovanili bustocche. Però, proprio da questi ragazzi ricevo una delle più grandi delusioni della mia vita cestistica perché dopo un paio di campionati di alta classifica, i giocatori per salvaguardare se stessi e il loro tranquillo tran-tran mettono in scena una sorta di “ammutinamento del Bounty””.

Spiega, per favore…
“Di fatto, pur essendo i più forti, quindi nettamente favoriti, i ragazzi tirano indietro la gamba e lasciano volutamente via libera a Cassano Magnago che, un po’ a sorpresa, vincerà i playoff e salirà in serie D, mentre io, molto amareggiato, lascio il club e per alcuni anni mi occupo solo di basket giovanile in Ardor Busto e Basket Sangiorgese e altre società della zona. Il tutto finchè coach Bertacchi, ancora lui, mi chiede di seguirlo alla Pallacanestro Legnano in qualità di assistente in serie C. A Legnano resto quattro anni, tutti interessanti, formativi e molto positivi prima aiutando Silvio, poi coach Roberto Piva che ne prende il posto quando Bertacchi transita verso il ruolo di direttore tecnico alla Sangio. Questi, di fatto, rappresentano gli ultimi miei campionati di un certo rilievo perché dopo l’esperienza legnanese riduco di parecchio la mia presenza in palestra dedicandomi a incarichi tecnico-organizzativi a livello giovanile fino a quando, circa una dozzina di anni fa, scendo definitivamente dalla giostra sulla quale, per oltre cinquant’anni, mi sono divertito vivendo emozioni, gioie e passioni davvero uniche. E indimenticabili”.

Oggi, con la saggezza che ti deriva dall’età, che giudizio dai della tua carriera come coach?
“Non vorrei entrare nel merito dei risultati ottenuti che, in fondo – commenta Galli -, rappresentano solo un “accessorio” spesso abbastanza falso poiché sempre collegato alla bontà delle squadre a disposizione, all’organizzazione dei club e, nondimeno, alla quantità di risorse economiche a disposizione. Se dovessi riassumere 60 anni di pallacanestro allenata con un solo termine sceglierei: onestà. Mi piacerebbe quindi evidenziare l’assoluta onestà della mia carriera e del mio intero percorso come allenatore. Alla pallacanestro e ai miei giocatori e giocatrici ho sempre dato tutto in termini di passione, impegno, dedizione, attaccamento, determinazione, coinvolgimento emotivo e fisico. Mi sono speso totalmente esaltandomi e soffrendo insieme a loro trascinato da una certezza: per fare bene allenatore e squadra, seppur giocando in due ruoli diversi, devono muoversi, pensare, agire uniti. Ecco, io credo di essermi sempre comportato in questo modo anteponendo il bene del gruppo al mio interesse personale. Sono sempre andato in palestra animato prima di tutto, e soprattutto, dalla voglia di trasmettere ai miei ragazzi e ragazze il senso di un gioco bellissimo e, nel mio piccolo, dal piacere di insegnarlo. E, alla fine, mi rimane anche l’orgoglio di aver costruito una famiglia di “Baskettari al 100%” perchè mia moglie Beatrice Toia e mia figlia Paola sono state entrambi giocatrici ad alto livello  arrivate anche in serie A, mente mio figlio Simone è stato per almeno 20 stagioni un giocatore di grande dignità protagonista a lungo in serie Be C tra Legnano, San Giorgio e Busto”.

In conclusione, come di consueto, i tuoi “Oscar All- Time”. Chi scegli tra gli allenatori?
“Non posso non citare Silvio Bertacchi, grande tecnico che mi ha insegnato molto usando garbo e gentilezza da vero signore sul parquet e nella vita. Però, vorrei ricordare anche Gigi Mondani che, a mio parere, è stato, è tuttora, uno dei coach più preparati e attenti sulla piazza”.

Chi ricordi invece come giocatori?
“Avendone allenati un “miliardo” è davvero difficile perché ho avuto il privilegio di seguirne tanti davvero bravissimi. Tuttavia, mi ripeto e cito il terzetto Bessi-Guidali-Lesica per gli anni di Busto e Maurizio Maggiorini per i miei anni trascorsi alla Pallacanestro Legnano. Poi, anche se in qualche occasione le traiettorie non sono sempre state lineari, mi dichiaro legatissimo al gruppo dei ragazzi che ho avuto il piacere di allenare all’Omega: la famiglia Caccia – Carlo, Luigi, Giovanni, Vittorio -, il povero Gerry Bellotti, Mau Radice, Piero Monolo e altri buonissimi giocatori che avrebbero meritato sicuramente di più”.   

Massimo Turconi

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