Certi amori… finiscono. Nulla di negativo, è il naturale percorso della vita e all’età di 42 anni Francesca Vaccaro ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo. Epilogo già annunciato e vissuto lo scorso 5 maggio, quando il “Cap” biancorosso ha giocato l’ultima partita con il Varese nell’andata della semifinale di Coppa Italia contro il Lesmo (3-1 per la corazzata brianzola in un match dalle mille emozioni in campo e fuori).

Quasi due settimane dopo, a freddo (o forse ancora un po’ a caldo), quali sono le sensazioni? “C’è già inevitabilmente un pizzico di nostalgia, ma era il momento giusto per smettere e visto che bisognava svecchiare la squadra ho dato il mio contributo anche in questo caso (ride, ndr). L’emozione dell’ultima partita? Non mi aspettavo ciò che c’è stato dopo per cui mi ha fatto doppiamente piacere congedarmi in quel modo: vincere sarebbe stata la ciliegina sulla torta, ma sapevamo di affrontare una squadra fuori categoria e già il fatto di esser sempre state in partita e averle in qualche modo messe in difficoltà vuol dire tanto”.

Un bilancio della tua carriera?
“Breve ma intensa. Come ben noto ho iniziato a giocare molto tardi, nel 2015, e non ho certo avuto una carriera tradizionale, ma ritengo di essermi presa le mie belle rivincite: ho vinto un campionato, ho giocato in Serie C e potrò sempre dire di esser stata il primo capitano della storia della squadra femminile del Varese”.

Per quanto riguarda la stagione appena chiusa, invece, cosa possiamo dire?
“Che fortunatamente dopo la nostra ultima intervista lo scorso dicembre le cose sono cambiate e l’unica pecca del girone di ritorno è aver perso malamente l’ultima sfida contro il Brugherio, squadra della quale eravamo nettamente più forti, ma che abbiamo affrontato male. Dispiace perché se avessimo tenuto per tutta la stagione il rendimento del girone di ritorno avremmo chiuso al terzo posto”.

Cosa ti senti di aver dato a questo gruppo?
“Tutto quello che avevo, fisicamente ed emotivamente. Ho versato anche troppe lacrime per questa squadra, di gioia e di amarezza, ma non penso di potermi rimproverare nulla: ho dato tutta me stessa”.

E, viceversa, cosa ti ha dato il Varese?
“Difficile da spiegare, potrei usare le parole orgoglio e felicità. Gran parte di questo gruppo di lavoro lo conoscevo dai tempi del Ceresium Bisustum e qui a Varese ci siamo unite ancora di più. Chi è di questa città e gioca per questa squadra non può non sentire il peso della maglia: le avversarie che giocano contro di noi mettono sempre quel qualcosa in più e questo ti porta costantemente a volerti migliorare. Sono felicissima di aver fatto parte della storia biancorossa e di vedere entrambi i miei figli giocarci attualmente: il mio sogno adesso è di poterli vedere crescere in questo vivaio e di arrivare un domani in Prima Squadra”.

Il ricordo più bello?
“Sicuramente l’ultima domenica a Gavirate: al di là del risultato è stata una festa totale con le ragazze, vecchie compagne di squadra del CerBis, amici e familiari. Non ci si poteva non emozionare”.

Obbligatorio andare anche sul ricordo più “brutto”…
“Direi qualche mese fa, a dicembre, quando abbiamo vissuto il momento più critico della stagione in cui anche l’allenatore ha traballato: eravamo un po’ tutte in lacrime, quasi convinte di non poterne uscire e soprattutto di perdere mister Bottarelli, che ritengo essere una pedina imprescindibile per questa squadra. Ricordo di essere tornata a casa una sera in lacrime perché non era quello che ci meritavamo; fortunatamente, poi, da lì siamo riuscite a svoltare”.

Riprendo una domanda precedente, allargandola: cosa ti ha dato il calcio?
“Ossigeno. Come ti avevo già detto in passato, per me giocare ha significato imparare a staccarsi da tutto e tutti: ho sempre interpretato l’entrare in campo come un interruttore, una valvola di sfogo e divertimento che mi consentiva di pensare solo a me”.

C’è qualche ringraziamento che vuoi fare?
“Mi porto dietro Claudio e Nico (Vincenzi e Francione, ndr) dai tempi del CerBis e per me sono sempre state figure di riferimento, presenti in ogni momento: li voglio ringraziare pubblicamente perché fanno tantissimo per questa squadra dando più di quanto sia possibile dare. Un grande grazie va a mister Bottarelli perché ha sempre creduto in me e fin dall’inizio è nato un buon rapporto fatto anche giustamente di strigliate. Aggiungo ai ringraziamenti tutte le mie compagne perché ho avuto la fortuna di condividere lo spogliatoio con un grande gruppo che mi auguro possa sempre più migliorare e spetterà ora alle più “vecchiotte”, e ogni riferimento a Michela Lunardi è puramente casuale (ride, ndr), trascinare la carretta. Ultimo, ma non meno importante, il grazie non può non andare alla mia famiglia che mi ha sempre sostenuto”.

Ora mamma a tempo pieno?
“Un parolone (ride ancora, ndr) perché sarò comunque sempre qui o per i miei figli o per queste ragazze fantastiche. Di sicuro sarò la loro prima tifosa, continuerò a vederle e, se serve, cazziarle. Aiuto mister? Vediamo…”.

Visto che lo hai detto più o meno esplicitamente, chiudiamo con il tuo augurio per il Varese del domani.
“Alle ragazze dico semplicemente di rendersi conto di ciò che possono fare, e di farlo fin dall’inizio della stagione. L’anno prossimo dovranno arrivare in fondo con la consapevolezza di aver dato tutto e di trovarsi in quella posizione perché ci volevano essere fin dal principio, arrivare alla fine del campionato e potersi dire: ce l’abbiamo fatta, siamo in Serie C”.

Matteo Carraro

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