Con il fischio finale di Varese-Como (finale 3/4° posto della Coppa Primavera – Memorial Cesare Bonazzi) si è chiusa la stagione biancorossa di Matteo Ponti. Una stagione che definire intensa sarebbe un eufemismo, ma che ben riflette la lunga storia d’amore del classe ’90 con il Varese.

Volto noto (notissimo) del calcio dilettantistico della provincia, fu proprio Ponti il perno offensivo su cui il nuovo corso biancorosso investì partendo dalla Terza Categoria. Quel Girone B, mai finito causa Covid, lo vide dominare la classifica marcatori con 25 reti in 17 partite, contribuendo di fatto alla vittoria del campionato (e al conseguente salto in Serie D, una volta acquisito il titolo sportivo del Busto81).

Ponti, comunque, ha avuto modo di scrivere una sua personalissima storia nel primo anno della Serie D, tornando poi a vestire il biancorosso la scorsa stagione nel ruolo di allenatore: la sua Under17 Provinciale, acquisito il titolo Regionale, ha lottato alla pari (pur essendo sotto età) nel Girone A dell’Under18 chiudendo al quarto posto e, nelle ultime settimane, ha contribuito in maniera decisiva alla salvezza dell’Under17 Regionale.

“È stato un biennio faticoso ma decisamente ricco di soddisfazioni – commenta lo stesso Ponti al termine dal Memorial Bonazzi – a cominciare da quanto mostrato proprio in questo torneo, occasione in cui questa squadra, abbondantemente sotto età, ha lottato alla pari contro avversari provenienti da vivai professionistici. Guardandomi indietro e vedendo dove siamo arrivati oggi non posso che essere orgoglioso di questo gruppo”.

Dopo la Terza Categoria, seppur non in veste di calciatore, hai continuato ad orbitare intorno al mondo Varese. Ci racconti come?
“Amirante e Scandola, all’epoca, mi chiesero di prendere in carico la Juniores Nazionale. Dovetti però rifiutare perché avevo già firmato un contratto con il Team Ticino che mi garantiva una certa stabilità economica, a maggior ragione considerando che quello era l’anno del Covid, oltre che la possibilità di continuare a vivere di calcio; in Svizzera, pur con le dovute restrizioni, non ci si è mai fermati. Malgrado avessi declinato la proposta i rapporti sono sempre stati ottimi, al punto che Andrea Menon mi chiese di dare un “contributo tecnico” durante le telecronache del primo anno. Ammetto che è stato un anno fantastico: indimenticabili le trasferte con Andrea, Stefano Pertile e Paolo Limido!”.

Archiviato quell’anno ti sei concentrato sulla Svizzera, e poi?
“Poi ho portato a termine il contratto svizzero, nel frattempo ho continuato a studiare conseguendo il Patentino UEFA B, e mi ha chiamato Roberto Verdelli proponendomi di allenare l’Under17 Provinciale che, ricordiamolo, per precisa volontà societaria, era sotto età come tutte le altre annate. Sono d’accordo con questa idea? Se vuoi formare i giocatori è sicuramente un metodo efficace perché sia i ragazzi che gli allenatori vengono sollecitati a trovare soluzioni per sopperire al gap strutturale, visto che la fisicità è prerogativa del calcio moderno. Quando sei più piccolo devi costruire gioco ed è proprio quello che ho cercato di fare con un gruppo completamente costruito in casa: dai campi provinciali siamo passati a giocare con sicurezza e personalità su quelli regionali arrivando ad ottenere i risultati come conseguenza dei miglioramenti compiuti”.

Fatiche e soddisfazioni: è questo il riassunto del tuo biennio?
“Sono due parole che ben dipingono il percorso. La scorsa stagione abbiamo chiuso in terza posizione alle spalle di Ispra e Bosto, ma avendo vinto la Coppa Disciplina ci siamo assicurati un buon punteggio per risalire nelle graduatorie e accedere al Regionale. Quest’anno il mio gruppo dei 2007 è stato iscritto al Regionale Under18, campionato che spesso viene visto come “inutile” ma che vanta un livello di tutto rispetto: siamo arrivati quarti con 72 punti, a -8 dalla vetta, ma il podio era ampiamente alla portata, se non fosse che, giustamente, a stagione in corso sono cambiate le priorità e abbiamo accettato l’impresa di salvare l’Under17”.

A stagione in corso, a microfoni spenti, avevi assicurato di aver accettato l’incarico solo perché sicuro che fosse una missione “possibile”. Profetico?
“Non direi (ride, ndr), ma ero davvero certo che ci fossero tutte le potenzialità per riuscirci: credo che nessuno si aspettasse una salvezza diretta, ma il fatto di esserci fatti le ossa in U18 ci ha portati a confrontarci con i pari età dell’U17 con maggior consapevolezza e i 13 punti in sei partite lo dimostrano. Personalmente credevo nella salvezza diretta fin dal principio e sono riuscito a trasmettere questa mia fiducia a tutto il gruppo, superando insieme uno scoglio di enorme difficoltà: dopo un’intera stagione nelle prime posizioni non è facile cambiare mentalità e trovarsi a dover portare a casa punti salvezza. Oltretutto sono arrivato dopo che il Varese aveva perso 3-0 lo scontro diretto con il Gavirate, l’Ispra era in un buon momento e il Valle Olona alle nostre spalle continuava a vincere. In quel momento, però, sono emerse le qualità di questo gruppo straordinario fatto di gente che ama davvero Varese, che si è goduto a 360° le emozioni di quelle sei partite e che ha mostrato un senso di appartenenza e identità senza precedenti a questi colori. Eccome come una salvezza impensabile è diventata realtà”.

Traguardo raggiunto proprio all’ultima giornata: ce la racconti dal tuo punto di vista?
“Al mattino ero in Svizzera e, al rientro in Italia, ho visto i risultati di Ispra e Gavirate: alla luce di quella sconfitta era un’occasione troppo ghiotta per non approfittarne. Siamo scesi in campo contro la Lainatese sentendo il peso della responsabilità e ne è uscito un primo tempo nervoso e contratto. All’intervallo ho semplicemente detto ai ragazzi di dare tutto ciò che avevano perché quei 45’ che ci aspettavano dovevano essere gli ultimi della nostra stagione: una volta segnato l’1-0 è stato tutto più facile e, davanti a tutta la dirigenza, è stata un’emozione incredibile festeggiare quella salvezza che vale più di un campionato vinto”.

Abbiamo parlato del passato e del presente. Quale sarà il futuro di Matteo Ponti al Varese?
“Sarò sincero: non ho ancora parlato del futuro. Io avevo un accordo sul biennio con Verdelli e l’ho rispettato lavorando su un gruppo in proiezione futura, per portarlo ad esprimere le sue qualità e confrontarsi con realtà superiori. So che a livello giovanile ci saranno alcuni cambiamenti e, pur non conoscendolo direttamente, se non in occasione di una velocissima presentazione, so che Massimo Foghinazzi è una garanzia da questo punto di vista. Se ci sarà l’opportunità di continuare qui a Varese sarò felicissimo di coglierla: io ho sempre lavorato su bienni e trienni perché ritengo che l’anno singolo non sia “stimolante”. Idee e organizzazione devono essere alla base di tutto e, ad oggi, mi sembra proprio che ci siano: ci siederemo al tavolo e discuteremo di ogni possibilità ricordando sempre che la prerogativa fondante dovrà essere l’aver a cuore la formazione del giovane”.

Matteo Carraro

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