A piccoli passi, da buon diesel qual è, Letizia Benotti si sta riconquistando un posto nel centrocampo del Città di Varese. Quello biancorosso è stato fin qui un cammino tormentato per la classe ’99, frenata dalla rottura del menisco la scorsa stagione e da altri piccoli acciacchi che ne hanno rallentato il rientro in campo.

Per quanto non ancora ristabilita al 100%, comunque, il suo supporto alla squadra non è mai mancato né in campo né fuori e, con sempre più minutaggio nelle gambe, Benotti è ora pronta a chiudere al meglio la stagione per agganciare la sesta posizione del Lecco.

“È il nostro obiettivo – conferma la centrocampista biancorossa – perché per noi la sfida al Lecco è una sorta di derby e quest’anno stiamo proseguendo il duello iniziato in Promozione. Vederci al settimo posto con distacchi importanti dalle ultime posizioni fa un certo effetto perché avevamo iniziato la stagione con l’obiettivo di salvarci, ma abbiamo fatto giganteschi passi in avanti e vogliamo compierne ancora uno; aver battuto il Lecco, poi, ha fatto la differenza perché abbiamo sfatato un tabù. Tra l’altro, mi infortunai proprio contro di loro…”

Riviviamo velocemente il calvario?
“Avevo iniziato la stagione con qualche affaticamento per cui non ero proprio al 100%: a fine ottobre contro il Lecco ho sentito il ginocchio destro fare crack e subito mi sono subito resa conto della gravità dell’infortunio. Il problema è che, a causa del Covid, ho dovuto aspettare fino a maggio per l’operazione. Ho di fatto perso tutta la stagione, ma (ride, ndr) mi sono reinventata ultras insieme ad Alice (Meloni, ndr), anche lei fuori per un grave infortunio. Adesso sta andando meglio, anche se la mia ansia post-infortunio è aumentata esponenzialmente”.

Parentesi ultras a parte, come hai vissuto il campo da fuori?
“L’ho vissuto male, inevitabilmente, perché stare fuori è sempre difficile e lo è stato a maggior ragione nelle ultime partite che erano decisive. Quel periodo è comunque servito per unirmi ancor più allo spogliatoio perché non ho saltato una partita e, quando potevo, venivo anche agli allenamenti. Nel momento in cui il mister aveva scelto la famosa tattica dei foglietti, sia per le cose positive sia per le cose negative io ho scritto del mio infortunio: è facile scaricare le responsabilità sulle altre perché non si è in campo, ma allo stesso tempo è maledettamente difficile accettare il fatto di non poter contribuire concretamente alla causa sul campo”.

Le tue parole avvalorano la tesi già espressa a più ripresa dalle tue compagne: quanto è importante il gruppo all’interno d questa squadra?
“È fondamentale per mille motivi, ma principalmente perché, come ci ha detto il mister, esiste una netta differenza tra gruppo e squadra. Creare una squadra è facile, basta mettere insieme qualche giocatore, mantenerla no; creare un gruppo è più difficile perché si devono instaurare dei legami, ma una volta consolidato resterà sempre tale. Prima viene il gruppo, poi arriva la squadra”.

E di questo gruppo cosa puoi dire?
“Siamo un melting pot (ride, ndr). Non ci sono chissà quali differenze d’età, ma tutte noi proveniamo da mondi diversi, ognuna ha le sue passioni, il suo lavoro e la sua esperienza di vita. Siamo però accomunate dai colori biancorossi che ci hanno fatto unire: questo aspetto e le nostre “diversità” ci consentono di avere una visione completa su tutto. Anche da qui emerge la forza del nostro gruppo. Il mio lavoro?  Io sono educatrice professionale nel reparto psichiatrico di una RSA”.

Quando sei entrata a farne parte?
“Da quando ho iniziato a giocare a calcio perché il gruppo di adesso è composto perlopiù dalle ragazze che facevano parte del Varese Femminile a sette prima e del Ceresium Bisustum poi. Io ho sempre avuto la passione per il calcio, sono juventina sfegatata dalla nascita, ma su suggerimento dei miei genitori iniziai ad andare a rugby con mio fratello Andrea. Raggiunta l’età in cui non potevo più giocare con i ragazzi scelsi finalmente di provare il calcio e scoprii il Varese femminile: da lì non ho più smesso e sono passata al CerBis nel 2017 per poi arrivare qui. Mamma e papà cosa dicono? Mia madre Carla credo sia venuta a vedermi tre volte perché ha paura che io mi possa far male (ride, ndr); mio padre Roberto era all’epoca dirigente del Varese a sette e non si perdeva una partita. Per la mia ansia, comunque, meglio che non vengano sennò sentirei ancora più pressione”.

Vista la tua fede bianconera: dove arriverà la Juventus in Europa League?
“Spero almeno in finale, anche se visti i precedenti è proprio quello il problema. Comunque se per il Varese riesco in qualche modo a contenere la mia ansia, per le partite della Juve impazzisco. Idolo? Claudio Marchisio, un giocatore che oggi ci farebbe comodo: era un centrocampista davvero completo e mi piacerebbe avere i suoi piedi: a livello di visione di gioco me la cavo e in interdizione non sono male, ma il tiro è un disastro per cui o sbaglia il portiere o la palla non entra (ride, ndr)”.

In questa stagione, giornata dopo giornata, state trovando sempre più consapevolezza: qual è il tuo bilancio?
“Non abbiamo ancora fatto nulla e manca tantissimo alla fine. Dal mio punto di vista, se riuscissimo a mantenere questo standard sarebbe un’ottima cosa, ma sappiamo che il mister vuole giustamente alzare sempre più l’asticella. Nelle ultime partite siamo apparse stanche a livello fisico e psicologico, ma dalle prossime sfide sono sicura che torneremo ai nostri livelli”.

La sconfitta di domenica è più frutto della stanchezza fisica o mentale?
“Il nostro problema è quasi sempre l’approccio alla partita: domenica siamo entrate in campo malissimo mentre la ripresa è stata tutta un’altra storia, ma è chiaro che il primo tempo abbia pesantemente condizionato la gara. Sappiamo di dover migliorare molto da questo punto di vista e credo che, anche in ottica futura, inizieremo a lavorare con un mental coach. La mia prestazione? Da subentrata, il primo passaggio che ho fatto è stato disastroso; poi non credo di essermela cavata così male (Claudio Vincenzi annuisce con un sorriso, ndr)”.

Già la prossima partita contro il Cesano Boscone può essere un banco di prova in questo senso?
“Assolutamente sì perché, a differenza di un qualsiasi match contro il Lecco, che si prepara da solo, domenica sarà imperativo entrare in campo con la giusta mentalità. Dovremo essere pronte a tutto ed è vietato sottovalutare l’impegno”.

Quali sono le tue aspettative personali da qui alla fine della stagione?
“Giocare 90’ senza morire (ride, ndr). Scherzi a parte voglio essere meno altalenante anche all’interno della stessa partita e non essere il diesel che sono, anche se ormai è un mio soprannome vero e proprio. Voglio contribuire ai successi di questa squadra e continuare a scalare la classifica per poi guardare con ambizione alla prossima stagione”.

Matteo Carraro

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