Ermanno Colombo: ottimo artista nella lavorazione del legno; meraviglioso “tanghero” nonchè apprezzato insegnante di ballo ma, soprattutto, eccellente allenatore di pallacanestro. Il tutto, ovvero la capacità di essere bravo, abile e tagliato per tante cose si può riassumere nella definizione “Mago Ermanno” che, poi, è quella con cui è unanimemente riconosciuto nel mondo del basket.

Ermanno Colombo, 85 anni portati con elegante disinvoltura, ha lasciato la panchina qualche anno fa per ovvie ragioni anagrafiche, ma continua il suo splendido rapporto con la palla a spicchi grazie alla sete di sapere che ancora caratterizza le sue intense giornate cestistiche. Ermanno, uomo attento e dotato di inesauribile curiosità guarda il basket in TV oppure, con buona frequenza, da spettatore presente, in incognito, dalle tribune dei palazzetti della provincia. Per entrambe le situazioni propone il suo sguardo lucido sulla pallacanestro, lo sport che più ha amato e che, a consuntivo di una bella e lunga carriera spesa quasi tutta nelle serie minori, gli ha regalato soddisfazioni sportive ma, in particolare, quello che resta di più, quello che gratifica di più, un’invidiabile ricchezza nei rapporti umani costruiti in oltre trent’anni di basket vissuti da leader della panchina.

“Una ricchezza arrivata per puro caso perchè – sottolinea subito in apertura Colombo -, il basket è entrato nella mia vita per puro caso e, mi piace pensarlo, come inevitabile segno del destino”

Raccontaci meglio, dunque, questo destino..
“Come dicevo, il mio incontro con la pallacanestro avviene in modo del tutto estemporaneo sul finire degli anni ’70 a Lonate Pozzolo, il mio paese. In quel periodo a Lonate la pallacanestro femminile è lo sport dominante avendo tradizione, seguito e interesse. Tuttavia, a causa di una serie di imprevisti la squadra di serie C Femminile rimane senza allenatore e il parroco del paese, evidentemente al limite della disperazione, mi formula una richiesta del tutto insolita: “Ermanno, saresti disponibile ad allenare le ragazze?””

Perchè la definisci “richiesta insolita”?
“Perchè della pallacanestro, conosco a malapena le regole e, in ogni caso, di tecnica non so veramente nulla. Tuttavia, il parroco, sapendo della mia passione per la ginnastica artistica, mi chiede sostanzialmente di allenare le ragazze sotto il profilo atletico aiutandole a mantenere tono muscolare, reattività e altre qualità fisiche. “Non preoccuparti per gli aspetti tecnici o tattici – mi dice il “Don” -. Quelli saranno affidati alle due-tre giocatrici più esperte che daranno alle compagne le indicazioni necessarie durante gli allenamenti e in partita” “. Io, però, curioso come un gatto, comincio a seguire con un certo interesse anche gli allenamenti tecnici al punto che il prete, con una certa “nonchalance” mi inoltre la seconda proposta: “Caro Ermanno, visto che sembri così interessato, non vorresti approfondire lo studio della materia cestistica frequentando il primo anno di corso allenatori?” Ovviamente, detto e fatto. La mia risposta al prevosto è positiva e come segno di buona volontà corro ad acquistare un libro: “La didattica della pallacanestro” e, da autodidatta, inizio a raccogliere informazioni e notizie su questo sport”.

A questo punto è doveroso fermarci un momento per descrivere il tuo passato da ginnasta..
“Anche questo capitolo della mia vita sportiva si sviluppa per caso – risponde con un sorriso compiaciuto Ermanno -. Nei primi anni ’60 frequento la scuole serali professionali a Gallarate e in classe con me c’è un atleta della Ginnastica Virtus Gallarate. A seguito di questa sua attività, per due volte la settimana, ha il permesso di lasciare le lezioni verso le 22, quindi con circa un’ora d’anticipo rispetto all’orario stabilito. Io allora colgo l’occasione per “bigiare” un paio d’ore di lezione e lo seguo. Prima solo da spettatore, poi un po’ in disparte, comincio a darmi da fare con gli attrezzi imitando i movimenti degli altri ragazzi che frequentano la palestra. In maniera un po’ sorprendente il Maestro Gubri si accorge che con gli anelli me la cavo piuttosto bene e, per farla breve, dopo un periodo di intensissimi allenamenti quotidiani sabato e domenica compresi mi insegna tutto ciò serve, mi inserisce nella squadra agonistica per quella specialità e, altra grande sorpresa, mi convoca per i campionati italiani di società in programma a Napoli. Così, partendo praticamente dal nulla, nel giro di pochi mesi mi ritrovo al top di una competizione tricolore. In Campania faccio la mia bella figura portando a casa quei punti che, utilissimi, servono alla squadra per piazzarsi sul podio. La mia avventura con la ginnastica e con gli anelli si trasforma in una grande passione che dura una decina d’anni e si interrompe oltre che per età e impegni lavorativi per dedicarmi, come detto, alla pallacanestro”.

Quindi, a questo punto riannodiamo i fili con il basket
“Dando seguito alla proposta del parroco mi iscrivo al Corso Aspirante Tecnico Regionale che si tiene in orari serali a Milano. Nel 1971 supero l’esame di abilitazione e con in tasca la tessera di allenatore, comincio ufficialmente la mia carriera come coach nel settore giovanile femminile a Lonate Pozzolo. Esordisco con una vittoria, 16 a 14, nel campionato Allieve e quei primi anni, davvero eroici, di “panca” sono straordinari perchè insieme a un gruppo di ragazze davvero innamorate del basket otteniamo buonissimi risultati sia nei campionati giovanili, sia in quelle senior. Per diversi anni, grazie ad una buona organizzazione e all’ottimo lavoro svolto in palestra, Lonate diventa una società punto di riferimento per il basket femminile nel basso varesotto con giocatrici che partendo dal nostro settore giovanile disputano categorie importanti in altri club e, allo stesso tempo, giocatrici giovani che scelgono il livello senior di Lonate tra serie C e B per crescere tecnicamente e maturare buone esperienze di gioco. Dopo un torneo di fine stagione, durante il quale la mia squadra si comporta benissimo anche contro l’Antoniana Busto, i dirigenti bustocchi mi contattano per offrirmi la guida tecnica di una squadra buona, ben costruita ma, a giudizio unanime, certamente di livello inferiore rispetto ai due-tre squadroni favoriti per tentare il salto in serie A1″.

Dopo tanta gavetta, hai fra le mani l’occasione della vita, giusto?
“La teoria direbbe questo, ma in realtà le cose vanno in maniera diversa perchè in quel gruppo di giocatrici ci sono almeno tre-quattro ragazze, guarda caso le senatrici della squadra, che sono affette da “lazzaronite”, la malattia peggiore che tutti gli allenatori odiano. Io invece in palestra ho voglia di darmi da fare, di sperimentare e verificare le mie idee e, in definitiva, di allenare e di lavorare tanto. La squadra gioca bene e grazie all’enorme mole di lavoro dimostra di possedere oggettivamente una marcia in più delle avversarie. Così, alla fine del girone d’andata, siamo al secondo posto in classifica precedendo alcuni top-team, ma visto che nonostante i buoni risultati ottenuti l’ostracismo delle giocatrici “anziane” produce continui attriti, prima della sosta natalizia rassegno le dimissioni, lascio l’incarico ma, soprattutto, un po’ amareggiato, lascio un mondo, quello delle giocatrici professioniste che, per la mia esperienza, probabilmente sfortunata, sono professioniste solo nel momento di mettere la firma sul contratto. Da quel giorno in poi il basket femminile esce definitivamente dalla mia vita e io, altrettanto felicemente, mi butto nella pallacanestro maschile”.

Ermanno Colombo con Sandro Gamba

Con i “maschietti”: dove la prima tappa?
“Ho la fortuna di cominciare bene in quel di Somma Lombardo, in serie D, alla guida di una buona squadra, ma soprattutto di un gruppo formato da ottime persone. A Somma disputiamo un paio di buone stagioni che a me servono per fare esperienza e per verificare la bontà delle mie idee tecniche. Dopo Somma, il buon Sergio Dall’Osto mi chiama a Cassano Magnago per affidarmi la squadra di Promozione. Sulle prime storco un po’ il naso perchè, dopo aver fatto bene in serie D, scendere di categoria mi sembra un declassamento. Invece, dopo una lunga chiacchierata con Sergio, capisco che dietro la proposta cassanese c’è un bel progetto pluriennale che prevede una crescita costante, Infatti, dopo aver conquistato la salvezza nel corso della prima stagione parte la nostra scalata nelle serie minori che si concretizza con 3 promozioni consecutive: dalla promozione alla D, dalla D alla C2 e, infine, dalla C2 alla C1 che, allora, era un campionato di alto livello tecnico e fisico. Ma, di più, in quegli anni, ben 9 ne ho trascorsi a Cassano, l’eccellente lavoro sinergico e corale tra dirigenti, staff tecnico e giocatori oltre a risultati importanti produce il coinvolgimento di tutta la città. Ho il ricordo di un PalaTacca sempre tutto esaurito, ribollente di entusiasmo e di tifo per una squadra che tecnicamente e fisicamente, alla vigilia del campionato, non è mai considerata tra le favorite ma, alla prova del nove del parquet, riesce a sbaragliare tutte le avversarie perchè va in campo avendo dentro elementi speciali, unici: grandissima “fame”, incredibile furore agonistico e soprattutto una fantastica coesione tra tutti i giocatori che, davvero, formano un gruppo granitico. Inscalfibile”.

Dopo Cassano, dove ti porta il “tour” delle panchine?
“Per due campionati, più che discreti, sono ancora in C1 con Olimpia Legnano, poi vado a Schianno in serie D, a Castano Primo per allenare le giovanili e, infine, chiudo, molto male, la mia avventura da coach a Fagnano Olona in C2 alla guida di una squadra che, purtroppo, ha molti punti di contatto con quella di Busto Femminile. Infatti, dopo una prima stagione più che positiva, nel secondo anno, in una squadra molto cambiata, mi ritrovo fra le mani giocatori pigri, con zero o poca voglia di allenarsi, più presenti in infermeria o sala massaggi che in campo e, per giunta, inutilmente coccolati dai dirigenti. Dopo tre mesi di questo andazzo, consegno la lettera di dimissioni, mollo Fagnano e, per così dire, mi ritiro a vita privata. Con grande dispiacere, aggiungo, perchè avrei voluto e credo meritato un congedo migliore e più gratificante”.

Quali sono i momenti della tua carriera che vorresti cristallizzare per sempre?
“Il pensiero va, senza alcun dubbio, ai bellissimi anni vissuti a Cassano durante i quali, come per magia, si era creata un’atmosfera irripetibile che ci consentiva di realizzare veri miracoli sportivi. Senza fare nomi, per effetto di quell’aura magica che rende tutti migliori e performanti, in quegli anni riusciamo a far giocare in C2 e addirittura in C1 giocatori che, in seguito, via da Cassano avrebbero faticato anche in Promozione. Però, conservo buonissime sensazioni anche per le annate di Somma e Legnano Olimpia”.

Aneddoti? Immagino ne avrai a migliaia anche perchè, lo sanno, tutti, grazie ai tuoi disegni, ai tuoi ritratti e alle tue barzellette, eri considerato un personaggio particolare e “naif” nell’universo un po’ paludato delle panchine
“I miei comportamenti come coach erano figli della mia storia personale perchè ho sempre pensato alla pallacanestro delle “minors” come a un gioco da fare con grande impegno, attenzione e concentrazione, ma pur sempre un gioco e non, come pensavano alcuni colleghi o giocatori una questione di vita o di morte. Insomma: in palestra di lavorava duro, ma sempre col sorriso sulle labbra e senza prendersi troppo sul serio perchè ho sempre pensato che nella vita le cose davvero serie e delicate fossero altre. Comunque, a proposito di aneddoti, posso dirti di aver dato lezioni di cartomagia alla coppia Dino Meneghin-Marino Zanatta quando entrambi, per alcuni anni, fecero i “G.O.”, ovvero gli animatori di lusso, nei primi, ovviamente lussuosi, villaggi Club Med. E sempre con Dino e Marino ricordo le favolose scorpacciate di fonduta a casa mia. Poi, è vero, per stemperare la tensione del pre-partita raccontavo barzellette ai miei ragazzi e, ormai, un po’ per scaramanzia era diventato un momento tradizionale. Così come è vero che i giocatori aspettavano con una certa impazienza il lunedì perchè consegnavo loro i miei “famosi” disegni e i riassunti scritti con i quali illustravo la partita giocata nel fine settimana precedente. So per certo che alcuni di questi disegni-caricature sono anche finiti incorniciati e la cosa non può che farmi piacere”.

A questo punto, prima delle tue dediche speciali, dobbiamo ricordare la tua avventura come ballerino e insegnate di danza
“Il ballo è stato il vero amore della mia vita, quello che, compatibilmente con l’età e qualche acciacco alle giunture, continua ancora adesso. In vita mia ho sempre ballato e, senza falsa modestia ero, anzi, sono davvero bravo tant’è vero che, proprio per le mia qualità, ad un certo punto sono diventato anche maestro di danza specializzandomi nell’insegnamento del tango argentino e dei balli caraibici. Due tipi di ballo che stanno ai poli opposti e rappresentano due diversi aspetti del vivere. Il tango infatti è poesia imcon mescolata a un fondo di tristezza e, per certi versi, di estraniamento. I balli caraibici invece esprimono gioia, solarità, felicità e quel desiderio di evasione dal quotidiano che “dobbiamo” avere e nutrire. Durante le mie lezioni, a numero chiuso perchè sempre molto frequentate, sapevo evidentemente esprimere queste due emozioni”.

Ballo e pallacanestro si conciliano?
“Potrebbero stare insieme e, a mio parer, anche molto bene perchè il basket richiede coordinazione, tempismo, ritmo e disciplina per cui, aggiungo, perchè no? Tant’è vero che se non ricordo male qualcuno, anni fa, si è inventato qualcosa tipo “basket e musica” con fondamentali di palleggio e movimenti senza palla fatti a ritmo di musica”.

Chiudiamo questa bellissima chiacchierata con le tue “nomination” e dediche partendo dai tuoi maestri tecnici: chi sono stati i tuoi coach di riferimento?
“Il più importante è stato certamente coach Sandro Gamba dal quale ho appreso e fatto mie importanti strategie difensive. Tuttavia, ho “rubato” molto anche da coach Dado Lombardi e coach Carlo Recalcati, allenatori che a mio giudizio hanno contribuito ad evolvere il gioco”.

Capitolo giocatori, da chi si comincia?
“Ho allenato tanti anni e, quindi, centinaia di giocatori, ma i miei ragazzi di riferimento, ai quali devo tantissimo tecnicamente e umanamente sono una circa una dozzina e li vorrei citare in ordine sparso per non creare ingiuste graduatorie, ma solo con un’ovvia divisione in ordine alfabetico e tra piccoli e lunghi. Nel reparto piccoli scelgo Carlo Caccia, Giovanni Caccia e Dario Moretti come playmaker. Danilo Bonato, Marco Dellacà, Angelo Galmarini, Donato Gnocchi, Valentino Schizzarrotto come guardie-ali piccole. Infine, nel reparto lunghi punto sul terzetto formato da Giorgio Briccola, Mauro Canavesi, “Lupo” Canavesi e. Tutti uomini di grande livello e, nondimeno, giocatori dotati di talento, ma soprattutto tanto cuore e vera passione  per la pallacanestro”.

Altri nomi?
“Cesare Zanetello come mio fedele assistente, collaboratore, ma in particolare amico per lunghi anni. Poi, ho un ricordo affettuoso per Giordano Tornieri, bravissimo massaggiatore, ma più ancora personaggio indispensabile per il buon funzionamento dello spogliatoio”. 

L’ultima dedica, quella specialissima, per chi è?
“Per mia moglie Paola che, purtroppo, è mancata a soli 50 anni nel 1994. Paola, oltre che tifosa sempre presente e perfetta consigliera è stata la “mamma” di tante ragazze e ragazzi che, dopo le partite vinte, appuntamento immancabile, attendevano con gli occhi brillanti e l’acquolina in bocca i suoi famosi “tiramisù”. Perderla, è stata un colpo durissimo per me, per i miei figli e per i tantissimi figli adottivi che la pallacanestro ci aveva regalato”.

Massimo Turconi

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