Giovanni Fietta nasce ad Asolo, un piccolo paesino vicino a Treviso mentre in ambito musicale escono pezzi indimenticabili come “Tarzan Boy”, “Noi ragazzi di oggi” e “L’estate sta finendo” ma ancora non sa che una lunga e luminosa carriera come solo le migliori estati sanno essere, lo aspetta.

Inizia forse a scoprirlo nei primi anni 2000 quando alcuni suoi attuali compagni di squadra non sono ancora nati mentre altri lo sono appena da qualche mese. Una carriera luminosa, sì, ma fatta anche di qualche sconfitta, probabilmente l’unico ingrediente capace di forgiare e rafforzare tanto prima l’uomo poi il calciatore, due modi di essere che per il capitano della Pro Patria vanno di pari passo come ci ha ribadito più volte nell’intervista concessaci fatta di aneddoti e tanti ricordi rispolverati con piacere di raccontare ed emozione nel farlo.

Giovanni, il rapporto di stima con il ds Turotti è di vecchia data, entrambi facevate parte di una grande Cremonese ed a riguardo, tempo fa, in un’intervista hai raccontato di come il calcio toglie e dà con il tempo. Ci racconti nello specifico cosa vuol dire per te questa frase?
“Rappresenta un mio credo anche per come è andata la mia carriera. Con il direttore, come hai ben detto, ci siamo conosciuti a Cremona, erano anni in cui l’obiettivo era salire di categoria ed infatti la rosa era sempre importante, nei miei 5 anni in grigiorosso ho sfiorato due volte la Serie B con due finali perse contro Cittadella e Varese a dir poco scottanti ed anche una semifinale l’anno in cui partivamo con la penalità per via del calcio scommesse. Non è stato per nulla facile, inoltre l’ultimo anno di contratto per me fu sfortunato con vari problemi fisici e le strade con la Cremo si divisero ed in me c’era il grande rimorso di quelle due finali perse. Così arriva il capitolo Como ed al secondo anno in riva al lago la squadra era certamente buona e valida ma probabilmente era difficile credere nella promozione. Succede che arriviamo ai playoff quando già in C erano allargati a non poche squadre e prendiamo il treno spareggi all’ultima giornata prendendoci l’ultimo posto disponibile. Il tempo passa, noi siamo sempre in gioco e ci crediamo sempre di più, a giugno arriva la Serie B ed è stato qualcosa di impagabile. Questo perché credo che se lavori con impegno, sacrificio e professionalità negli anni alla fine vieni sempre ripagato e così è stato per me”.

A Como hai conosciuto due futuri campioni d’Europa: Nicolò Barella e Matteo Pessina, l’avresti mai detto?
“Sì con Barella ho giocato l’anno della B, con Pessina l’anno successivo quando eravamo tornati in Serie C. Una grande carriera per entrambi si poteva prevedere perché rubavano l’occhio ma non solo, erano giovani ma avevano già la testa da “vecchi”, facevano già la differenza ma lo facevano oltre che con bravura anche con personalità e professionalità, due ingredienti fondamentali per diventare calciatori veri”.

Torniamo all’epoca di Cremona, in grigiorosso hai conosciuto qualcuno che sarà un campione per sempre, nel cuore di tutti: Davide Astori. Faccio un esempio: Giorgio Chiellini nel calcio ha vinto e perso tante volte senza mai battere ciglio, ma quando parla di Astori, ogni volta, è più forte di lui: la sua espressione cambia, i suoi occhi si inumidiscono…
“Con Davide ho fatto 6 mesi a Cremona e capisco che in certi casi si usino frasi molto simili e che rasentano la perfezione per ricordare qualcuno ma Davide era proprio così, credetemi. Era una persona per cui il termine migliore è puro. L’ho conosciuto che eravamo molto giovani ma quello che mi ha colpito è che negli anni non ha mai perso un briciolo di purezza, spensieratezza ed umanità. La sua carriera ha raggiunto traguardi importanti, ma lui non è mai cambiato minimamente. Un esempio, non saprei descriverlo in altro modo”.

Torniamo al grande rapporto con Sandro Turotti, com’è avvenuto il contatto per venire a Busto? Si può dire che con la Pro Patria hai trovato una seconda giovinezza?
“Si può dire eccome. Lo si può dire partendo da lontano, come detto a Como eravamo retrocessi ma sembravano ci fossero buone basi per ripartire in C ma così non fu: il Como fallì e credetemi il dispiacere fu enorme, andai a Renate ma fu un anno così così, probabilmente mi mancavano le motivazioni dopo una ferita importante. Così il direttore mi ha chiamato ed ho detto subito di sì, la Pro Patria mi ha riacceso e sono orgoglioso di essere entrato a far parte del mondo biancoblu”.

Quando hai detto di sì, sinceramente, ti saresti aspettato di rimanere così a lungo?
“No, sono sincero. No perché sono arrivato a Busto a 34 anni e quindi è un’età particolare per un calciatore e poi io ho sempre voluto firmare solo contratti annuali per rispetto verso la società, perché solo guardando anno per anno, quando l’età avanza, puoi capire se sei ancora in grado di dare qualcosa alla causa. Quando arrivi in una realtà nuova, poi, non pensi mai che possa durare così a lungo almeno sul momento. Invece a Busto così è stato e ripeto: è un orgoglio”.

Hai ereditato la fascia da Colombo che l’aveva ereditata da Le Noci, ora entrambi siedono in panchina, ti piacerebbe seguire le loro orme? Parlando più attualmente, invece, il prossimo anno ti rivedremo con in dosso la fascia di capitano?
“Il percorso appena iniziato da Beppe e Riccardo mi affascina, sono sincero, quindi penso che sì potrei farlo un domani. Per quanto riguarda il futuro più prossimo invece ribadisco che con il direttore c’è un rapporto di grande stima tanto che di questo si parla spesso ed in modo molto sincero. Non arriviamo mai a fine anno per parlarne, giusto per far capire la stima ed il rispetto reciproco. Io sto bene e sono abbastanza soddisfatto della mia annata. Dico abbastanza perché non mi accontento mai. Io sto bene e sono contento, se la Pro è felice di me e se continuo a stare bene fisicamente penso ci sia la possibilità di fare un altro anno”.

Hai parlato di motivazioni oltre che del benessere fisico, domenica per esempio ci è parso di vederti giocare sopra il dolore. Non è da tutti alla tua età dare dimostrazioni di questo tipo..
“Sono sincero, quando non ci sarà più in me quella voglia, quella fiamma che mi fa allungare la gamba, che mi fa sopportare qualche dolore, allora quello sarà il giorno in cui lascerò. Penso che l’età aumenti per tutti, ma la parte del calciatore deve restare, magari con un po’ più di maturità acquisita nel percorso, ma se non hai più la testa propensa al sacrificio, al tuo mestiere… Allora è il momento di smettere. Domenica avevo dolore ma ho voluto giocare anche per dare un chiaro messaggio alla squadra e se anche una briciola del mio sforzo ha aiutato il gruppo a fare risultato, per me quello è il massimo”.

Carriera lunghissima, ma una partita come Pro Patria-Piacenza forse non l’hai mai vissuta neanche tu..
“No no, sicuramente (ride ndr). Mai in assoluto. Ho vissuto ovviamente rimonte fatte e ricevute ma gol al 97’ e pareggio salvezza al 100’ mi mancava e sono felice di aver aggiunto un’altra figurina all’album della mia carriera”.

Ormai è tempo di verdetti, a dicembre durante una chiacchierata ti avevamo chiesto: chi vince il girone secondo te? E tu avevi detto secco: FeralpiSalò, come seconda ipotesi Pordenone. Non hai sbagliato..
“Sì mi ricordo, ve l’avevo detto perché mi aveva colpito molto come squadra anche quando avevamo vinto in casa loro ad inizio anno. Come singoli ovviamente sono forti ma anche come squadra erano molto quadrati con pochissimi gol subiti e con un allenatore veramente sul pezzo capace di far acquisire una grande costanza alla sua squadra. Tutti ingredienti fondamentali per vincere. Traguardo meritato direi, complimenti a loro”.

Per te che annata è stata?
“Posso ritenermi abbastanza soddisfatto, torniamo a quello che ho detto prima, non voglio accontentarmi mai e non voglio farlo nemmeno tirando una linea per quanto riguarda questa stagione: sono contento ma mai del tutto, anche alla fine di una partita in cui ricevo complimenti e vinciamo, vado sempre a vedere quei dettagli che potevano essere affrontati meglio”.

Ti sei dato una spiegazione del momento buio vissuto dalla Pro Patria? Periodo arrivato peraltro dopo due prove di livello assoluto contro Vicenza e Trento
“Anche per me che ne ho passate tante è stato molto difficile darmi una spiegazione. Eravamo veramente vicini al treno di testa e volevamo provare a rimanere attaccati, probabilmente non siamo stati abbastanza bravi a stare sul pezzo mentalmente, non sto parlando di primo posto ma quantomeno di un buon piazzamento nella griglia playoff. Quei 10 punti in quattro partite giocate benissimo dovevano farci capire se potevamo rimanere vicini alla vetta oppure no, ma non solo, mi ha colpito anche il modo altalenante in cui abbiamo perso: per esempio contro Triestina ed Albinoleffe non eravamo noi: irriconoscibili. Ma in mezzo a queste partite ce ne sono state alcune giocate in modo meno negativo, altre sfortunate, faccio l’esempio di Lecco: quello è il momento in cui tutto ti gira storto ed allora cosa devi fare? Semplice, dare il 110%, il 100 non basta, con il 100% in un momento così la palla deviata va dentro al 90’ e perdi, devi dare più del 100% per ripartire ed uscire da quei momenti”.

Torniamo a giovani formidabili: hai giocato con Gatti, Caprile e Pierozzi a Busto, cosa ci dici di loro?
“Forti, fortissimi, ma torniamo a quanto detto prima: forti tecnicamente ma anche con la testa giusta e nell’ambiente perfetto perché la Pro li ha aiutati molto a crescere. Penso sia un ambiente perfetto sia per partire che per ripartire, come hanno fatto tanti ragazzi dopo annate sfortunate. Se vuoi diventare calciatore devi avere testa, professionalità e fame e su questo Gatti penso sia l’esempio calzante, basta guardarlo in campo”.

Facciamo una top 11 dei giocatori con cui hai giocato? Quale allenatore ti ha lasciato di più?
“Qui è veramente troppo difficile rispondere, dovrei fare sette top11 per mettere dentro tutti. Allenatori non voglio fare un nome per un semplice motivo: chi più chi meno, tutti mi hanno lasciato qualcosa. Tutti. Il rapporto allenatore squadra è qualcosa che si vede solo nello sport, il tecnico è un uomo solo chiamato ad allenare 30 teste differenti, chi più giovane chi meno, chi più calmo chi meno. Questo non deve passare inosservato”.

Siamo alla fine, ma torniamo ai tuoi inizi: quando hai iniziato a pensare che il calcio poteva diventare per te un lavoro?
“Chiaramente quando sei bambino sogni, ma quando a Treviso sia in beretti che in primavera capivo che mi stavo avvicinando sempre più alla prima squadra allora ho detto a me stesso di provarci con tutte le energie, tanto che lì ho iniziato a dare qualcosa in più per raggiungere quel punto di arrivo come giovane, perché come adulto è stato ovviamente il punto di partenza quel momento come lo è stato l’esordio in B con il Treviso a Salerno”.

Diventare ed essere calciatori però, vuol dire far scelte anche non facili, come lasciare la famiglia..
“Sì è vero, tenete conto che io sono uscito di casa a 14 anni, non è stato facile ma con il tempo mi ha aiutato tanto, poi ero molto giovane quando ho conosciuto mia moglie ed eravamo entrambi ancora giovanissimi quando è arrivato il nostro primo piccolo, mentre la nostra seconda figlia è arrivata qualche anno dopo. Mia moglie mi ha seguito ovunque io abbia giocato e con i miei figli non rappresentano altro che la mia ancora, una distrazione quando serve, un conforto quando è necessario. Non è una vita normale, facendo il calciatore, per esempio nei weekend, ma ci sarà tempo per recuperare”.

Terminiamo parlando di Serie A, è tempo di Champions e la tua Inter va come un treno in Europa ma arranca in campionato
“Davvero inspiegabile questa differenza di percorsi. Penso che per giudicare occorra essere dentro, da fuori è difficile anche se si muovono varie critiche ad Inzaghi ma tanti punti persi ultimamente sono frutto anche di prestazioni buone con una valanga di tiri non andati a segno verso la porta avversaria, questione di finalizzazione mancata, parlando semplicemente. Poi è chiaro che non è solo questo, per quanto riguarda la Champions anche senza volerlo, quando sente quelle note magiche un calciatore tende a dare di più, tanto che penso l’Inter sia lì in modo assolutamente meritato dopo un girone ed una fase finale finora veramente ben interpretata”.

Alessandro Bianchi

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