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La porta (per il momento) è solo quella di casa. Per i 7,32 x 2,44 del suo ufficio in campo bisognerà invece avere ancora pazienza. Parecchia. Confinato con la compagna nel suo appartamento milanese causa protocollo pandemico, Paolo Tornaghi non nasconde l’inquietudine di vivere la vita senza calcio: “I primi tempi era più facile stare sul pezzo. Ora soprattutto sul piano psicologico è un po’ più dura. Per questo cerco di leggere molto per prendere ispirazione da grandi atleti. E’ il modo migliore per mantenere sempre la testa collegata”. Urgenza motivazionale che giustifica la presenza sul comodino di “Niente teste di cazzo. Lezioni di vita e di leadership dagli All Blacks”, abrasivo (e non solo nel ruvido titolo) bestseller mondiale di James Kerr. Per i meno avvezzi, uno che ha fatto coaching ai corpi speciali dell’esercito americano. Toccando corde di stretta attualità. Sportiva e sanitaria. Un esempio? Serviti: “Un singolo disallineato o egoista è infettivo: allontanatelo e il gruppo si rinsalderà e guarirà”. Mantra che sembra tagliato su misura per fare da allegoria alla società post Covid-19.

A dar retta a quanto si sente in questi giorni, par di capire che anche il calcio rischia di ammalarsi. La tua profilassi per ripartire? 
“Credo si debba approfittare di quanto è successo per fare delle scelte orientate al futuro e non solo al presente. Mi spiego. La penso esattamente come Galliani. Quando si riprenderà, si dovrà farlo chiudendo prima la stagione attuale. Sarebbe un peccato non farlo. E non solo sul piano economico. Anche se si ripartisse ad ottobre. Soprattutto perché nel 2022 ci saranno i mondiali in inverno. Perché non allineare le stagioni con quell’orizzonte? Chiaro che debba farlo per prima la Serie A. Ma sarebbe una grande opportunità da cogliere. Dobbiamo guardare un po’ più in là dei prossimi mesi”.

Hai vissuto e giocato per parecchi anni oltre oceano. Là c’è un approccio allo sport decisamente più decisionista. Un modello mutuabile anche al di qua dell’Atlantico?
“Il commissioner della NBA Adam Silver ha chiuso in un giorno e probabilmente riaprirà in un giorno. Da noi invece ogni giorno si sentono cose diverse. E’ molto destabilizzante. Soprattutto per noi giocatori di Lega Pro che rappresentiamo il vero precariato del calcio. In pochi hanno contratti pluriennali. Mica come la Serie A dove qualche mensilità in più o in meno non cambia certo la vita”.

A proposito, il tuo rapporto con la Pro Patria scade il 30 giugno? Già abbozzato qualche discorso con Turotti? 
“Ovviamente siamo ancora in alto mare. Ci mancherebbe. Ma mi piacerebbe restare a Busto. Questo è certo”.   

Campionato mutilato. Cosa ti è mancato di più e cosa è mancato di più alla squadra?  
“Sono mancate le partite più belle, più emozionanti. Quelle che ti permettono di raggiungere gli obiettivi. Lo abbiamo visto anche l’anno scorso alla Pro Patria raggiungendo i playoff. Certo, nel nostro girone il Monza è di un altro pianeta. Ma per il resto, era ancora tutto da giocare. Un epilogo che ci lascia con un senso di incompiuto”.

Corretto dire che il miglior Tornaghi si è visto a Busto?
“Diciamo si è visto e si vedrà dato che a 32 anni credo di essere nella fase più alta del percorso di crescita. Sono soddisfatto del mio rendimento per i numeri di squadra e della difesa. Il mio rapporto con Mangano? Non spetta a me giudicare il lavoro di Giulio. Ma penso che complessivamente si è fatto bene”.

Tornando al tema ispirazione e dintorni, hai qualche punto di riferimento tra i portieri? 
“All’Inter ho avuto modo di vedere da vicino e confrontarmi con Toldo, Julio Cesar, Orlandoni. Li stimo perché li ho conosciuti personalmente. Oggi, per caratteristiche, mi piacciono Jan Oblak e David De Gea”.                   

Ci attende un calcio senza pubblico. Quanto inciderà?
“Sul piano dell’ambiente cambia parecchio. In America ho giocato con 20/30 mila spettatori. Inutile sottolineare che si sentono eccome”. 

Ma un portiere sente più l’insulto o l’incoraggiamento?
“Beh, se l’incoraggiamento è per un errore commesso, allora è meglio non sentirlo. Quanto agli insulti, ho sempre pensato che si insulti solo chi si teme”.

Difficile parlare di Pro Patria senza citare Javorcic. Cosa non scontata per un allenatore. Un tuo ritratto dello spalatino?   
“E’ un profilo che calza perfettamente con il progetto del club. Ancora giovane, con ambizione, tende sempre a migliorarsi e a portare novità negli allenamenti. Il Master di Coverciano testimonia la grande qualità del suo metodo di lavoro”.        

Giovanni Castiglioni

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