Lavorare nei settori giovanili è come andare nel Klondike a cercare l’oro. Può capitarti di trovare il filone giusto e vivere come uno sceicco per cinque anni. Può capitarti la zona disgraziata e allora, non ce n’è, puoi anche spaccarti la schiena e comunque non ne troverai mai soddisfazione. Oppure, in mezzo a terra, detriti e rocce inutili, ti può capitare di estrarre la pepita, una sola, buona per giustificare tutti i tuoi sforzi.
Al gruppo Robur et Fides classe 1967 è successo esattamente questo. Un nucleo numericamente esiguo, con poco materiale su cui poter scavare per talento, qualità fisiche o atletiche. Però, nel bel mezzo di tanto picconare, ecco apparire la pietra preziosa che in qualche maniera salva tutto il lavoro e ripaga della fatica, del sudore, dell’impegno profusi. La pietra, ovviamente  a 24 carati, grossa e luccicante ha un nome: Claudio Vasini, playmaker capace di abbinare letture fosforiche ad un indubbio talento e vivace istinto per il canestro. Virtù, queste ultime, che spesso e volentieri gli consentivano di gonfiare il tabellino personale. Qualità che messe sulla bilancia hanno regalato a Claudio una carriera lunghissima e molto, molto vincente nelle serie minori. Il tutto facendo comunque “marameo” ad un elemento, la sfortuna, che sulle ginocchia di Vasini ha picchiato duro: due crociati andati a farsi fottere, menischi, non ne parliamo nemmeno, e cicatrici sugli arti inferiori che rendono le articolazioni di Claudio simili ai traballanti confini di una nazione in pieno conflitto bellico.

“Rifarei tutto, anche le dolorose operazioni ai legamenti  crociati che – ricorda Vasini -, venticinque anni fa rappresentavano comunque interventi molto impegnativi e debilitanti dal punto di vista fisico e psicologico. Rifarei tutto perchè prima il dolore, poi caparbietà che ho dimostrato nel voler tornare a giocare mi hanno reso un uomo più tosto, più tenace, in definitiva migliore”.

Quando inizia la tua avventura nel basket?
“Alla metà degli anni ’70 frequentando il centro minibasket alla Robur et Fides con un eccellente istruttore come il compianto Aldino Monti. Ma è solo verso la fine di quel decennio che scelgo definitivamente la pallacanestro abbandonando l’equitazione, un’attività sulla quale ho lasciato un pezzo di cuore perchè per i cavalli, animali meravigliosi, ho sempre avuto, e sempre avrò, un debole dichiarato. Così, messi da selle e finimenti, continuo a giocare a basket. Nelle categorie Propaganda e Ragazzi mi allena Abatini, mentre negli Allievi passo nelle mani di coach Raffaele Pacchetti. Sono anni di grande divertimento, ma di risultati solo discreti perchè, come hai già sottolineato, il nostro gruppo ’67, numericamente esiguo non offre grandi prospettive. Inevitabilmente il nostro cammino si interrompe alle fasi interzonali anche se, in verità, a livello Allievi manchiamo l’accesso alle finali nazionali per un pelo e la cosa, ti dirò, mi è bruciata per parecchio tempo.
In ogni caso la musica cambia quando, a livello Cadetti, si entra nella biennalità e insieme a Finocchiaro, Gardelli e Binaghi andiamo a rimpolpare il gruppo ’66 che invece dispone di elementi di classe di valore come Piatti, Zorzi, Martinoli, Galli, Baldini, Censi e Macchi. Nelle quattro stagioni disputate tra Cadetti e Juniores va in scena un curioso “balletto”: quando facciamo gruppo coi ’66 siamo una squadra più che decorosa e mettiamo insieme ottimi risultati. Quando invece siamo tra noi o, al più, coi ’68 non combiniamo granchè anche perchè il gruppo ’68 targato Pallacanestro Varese ci spazza via facilmente.
Ad ogni modo con coach Gianni Chiapparo, a livello Cadetti usciamo all’interzona giocato a Forlì eliminati da Trieste, mentre a livello Juniores, sempre a supporto del nucleo dei ’66, centriamo finalmente il traguardo delle finali nazionali che si disputano a Cantù. Tuttavia, pur non portando a casa un curriculum “dorato”, il settore giovanile mi offre l’occasione di imparare qualcosa e crescere tantissimo tecnicamente e tatticamente all’ ombra di compagni più esperti e preparati. Non a caso, lo staffa della Robur prima squadrami tiene in considerazione e nella stagione 1985-1986 sono aggregato al gruppo della serie B con Lucarelli, Della Fiori, Zanzi, Ferraiuolo, Lesica, Brakus, Pagani e soci. In quello squadrone clamoroso, che arriva a pochissimi centimetri dalla promozione in A2, gioco pochissimo, ma questo aspetto non è importante perchè ho il ricordo di una stagione che per me vale come un Master. In mezzo a quei grandi giocatori imparo quasi tutto che c’è da imparare a livello senior in termini di mentalità e comportamento”.

Che utilizzo fai di queste lezioni?
“Un buon utilizzo, credo. L’anno successivo vado infatti a Venegono in C1 per farmi le classiche ossa in un campionato che rappresenta una buonissima tappa di formazione e alla fine della stagione “mamma Robur” mi richiama, di nuovo in serie B, ma la stagione non è esattamente di quelle fortunate e comunque non mi è utile per mettere via esperienza in un campionato importante. Così mi ritrovo di nuovo a Venegono, in C1 agli ordini di coach Vincenzo Crocetti nel ruolo di play titolare di una squadra giovane, talentuosa e brillantissima. Partiamo “a missile” con un 6 su 6 iniziale, ma nel momento del decollo definitivo faccio “crack” col primo crociato: stagione ovviamente a ramengo e carriera da ricominciare da capo con le ovvie inquietudini del caso perchè dopo una simile operazione sulla bilancia sono più le icongnite che le certezze”.

Da dove riprendi?
“Per “testarmi” riparto quasi dal gradino più basso: dal Mina Induno, in una squadra francamente illegale costruita senza badare a spese da Franco Mina. Con coach Arturo Benelli in panchina vinciamo due campionati di fila e saliamo in serie C1 con una record 57 vinte su 60 giocate che penso sia ancora imbattuto. Purtroppo, l’anno in C1, quasi che la categoria fosse “maledetta” mi salta anche il secondo legamento crociato. Alè, altro giro, altra sala operatoria, altro lungo periodo di riabilitazione e altro ritorno sotto lo striscione “Partenza”. Questa volta ricomincio da Gavirate, in serie D, ancora con coach Vincenzo Crocetti. La squadra è esperta, caratterialmente tostissima e di grande talento con Antonetti, Marco Cavalleri, Magnani, Gardini e soci e vinciamo subito il campionato salendo in C1. A questo punto l’Arturo Benelli mi chiede di seguirlo a Borgomanero per dare vita ad un altri ciclo vincente: in 3 anni altrettanti campionati vinti fino ad arrivare alla C1″.

Poi, se non ricordo male, ancora tanta “vitamina C1”, giusto?
“Esatto: la categoria diventa una sorta di mia seconda casa perchè gioco a Saronno, annata così così; Luino, due stagioni tra luci e ombre; Castelletto, senza particolari acuti, Castellanza, annata fantastica con un coach “easy & smart” come il grande Silvietto Saini e, infine, di nuovo a Castelletto e di nuovo con coach Benelli. Arturo costruisce e allena una grande formazione con la quale vinciamo il campionato alla grande e andiamo in B2. Nella nuova categoria, anche se da neopromossi, diventiamo subito “padroni”. Finiamo secondi in stagione regolare alle spalle di Ferrara, nei playoff eliminiamo Oderzo e Soresina e nella finalissima per la promozione in B1 ci ritroviamo di fronte il team ferrarese che al termine di una serie ad alto tasso di pathos ci batte in gara-4. La settimana successiva, in quel di Rieti, nel “barrage” tra le 4 squadre perdenti perdiamo un’altra finalissima contro Cefalù. E posso garantirti che perdere 2 finali nel giro di 6 giorni non fa esattamente bene alla salute e al morale. Però, siccome è dannatamente vero che per vincere deve prima imparare a perdere, l’anno dopo con coach Tritto in panca vinciamo la B2 cantando ed il 16 maggio 2001 rimarrà una data sempre impressa nella mia memoria e, ne sono sicuro, in quella di tutti i miei ottimi compagni e tifosi di Castelletto”.

La B1, finalmente. O no?
“La risposta è “O no” perchè la categoria richiede un impegno da professionista con tre-quattro allenamenti anche al mattino, un impegno che la mia professione di avvocato non mi consente di onorare. Pertanto, torno a Varese, in B2 alla Robur per 4 anni bellissimi e tutti giocati ad alto livello con 3 viaggi nella post-season e una finalissima che, quella persa contro Torre Boldone, che non dimenticherò mai perchè in gara-5, pochissimi minuti dopo l’inizio, gli arbitri mi sanzionano con un’ingiusta espulsione, peraltro la prima della mia carriera, togliendomi dal gioco nel momento più importante della stagione. Una delusione che, ancora oggi, mi risulta difficile rendere a parole…”.

La tua carriera prosegue per altre 3 stagioni tra Campus e 7 Laghi Gazzada, club per cui oggi fai il general manager. Ma, domanda, in qualità di ex-playmaker dotato di grande personalità non hai mai pensato di fare l’allenatore?
“In tutta sincerità, la risposta è no. Da un lato dopo 25 anni consecutivi spesi sul parquet sentivo il bisogno di staccare in maniera totale, definitiva. Dall’altro, non mi sembrava giusto sacrificare ancora del tempo togliendolo alla mia famiglia e chiudendomi ancora in palestra durante i wek-end. Meglio, molto meglio agire da dirigente in una società seria e ben organizzata come Gazzada. E poi, aspetto da tenere nelle giusta considerazione, fare l’allenatore è un mestiere terribile perchè se lo fai bene, con coscienza e passione, ti porti dietro i problemi di tutti. Un vero inferno”.

A proposito di allenatori: quali ti sono rimasti più nel cuore?
“Per il settore giovanile direi Abatini, che di fatto mi ha trasmesso grinta e carattere, e Gianni Chiapparo, che mi ha sgrezzato tecnicamente e tatticamente. Invece, per le categorie senior sono stato abbastanza fortunato perchè ho avuto il privilegio di lavorare con diversi coach dotati di ottima preparazione. Direi che in questa speciale classifica primeggia Arturo Benelli, coach di alto profilo, molto esigente con sè stesso e con noi giocatori, ma sempre pronto a darti il meglio. Un allenatore, Benelli, che a mio parere avrebbe meritato di più. Molto di più. Poi, ho eccellenti ricordi anche di Crocetti, Zambelli e Saini”.

Chi invece tra i compagni di squadra?
“Ho ottimi rapporti con tutti, ma in particolare con Fabrizio Premoli del quale sono stato testimone di nozze, Sergio Macchi, Margarini, Antonetti, Baggiani, Fontanel, Stefano Galli e Marcello Parola che, a fine carriera, mi ha chiesto di seguirlo a Gazzada, dove già allenava. Infine, non posso dimenticare Paolino Nicora che, pur non essendo mai stato mio compagno di squadra, è comunque mio amico, di basket e di vita, da sempre”.

E, per chiudere, che ne è stato dell’antica passione per i cavalli?
“Quella c’è ancora, ma l’ho passata geneticamente ed ora è amorevolmente coltivata da mia figlia Lavinia che, a 11 anni, è già un’amazzone provetta, ha talento, buonissimo feeling con i cavalli e attitudine. In compagnia di mia moglie Marina e con Diletta, 5 anni, l’altra piccola di casa, la seguiamo spesso nei vari concorsi ippici in giro per l’Italia. Basket permettendo, naturalmente”.

Massimo Turconi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui