Mi piace associare la figura di Federico Ponchiroli a quella del termine “principio attivo”. Mi piace perchè Ponchiroli, ala classe 1984 cresciuta nelle giovanili della Pallacanestro Varese, è stato un giocatore che, nelle squadre per le quali ha giocato, è sempre stato in grado di produrre un effetto terapeutico, ovvero un effetto cestisticamente positivo.
Poi mi piace l’idea perchè Ponchiroli, che ho visto giocare in numerosissime occasioni, credo abbia rappresentato il prototipo perfetto del giocatore “terapeutico”, quello che appena “assunto”, grazie al suo potente principio attivo, è capace di sistemare in tempi rapidi gli eventuali malesseri, sia tecnico-tattici, sia mentali di cui soffre una squadra.
Infine, mi piace perchè “Ponc”, laureato in farmacia, quindi esperto della materia, sa benissimo che principio attivo e chimica viaggiano di pari passo sia nella ricerca farmacologica, sia nella costruzione di una squadra. 

Insomma, per farla breve, Ponchiroli fin dalle prime categorie giovanili è stato il giocatore irrinunciabile, quello che ogni allenatore avrebbe voluto in campo proprio per la sua abilità nel produrre giocate preziose nei momenti utili. Giocate all’insegna della generosità, del sacrificio, del piacere di fare qualcosa per la squadra. Le giocate cosiddette “intangibles”, quelle che, pur non entrando nelle statistiche, riempiono di gioco tutti gli allenatori e gli spettatori in possesso di occhio fino.
Ecco, Ponchiroli, era quel tipo di giocatore lì: magari al tabellino lo vedevi poco, ma tutti sapevano che il suo zampino nelle vittorie c’era, eccome. C’era sempre. 

Ma a questo punto, come al solito, è doveroso chiedersi quando inizia quel “sempre”.
“Inizia quando ho 7 anni, nel 1991 nel Basket Nerviano, il club con cui – ricorda Ponchiroli -, grazie agli istruttori Pompa e Di Tonno ho tirato per la prima volta a canestro. In quegli anni curiosamente abito a Rho, ma per ragioni logistico-famigliari gioco a Nerviano, mentre un paio d’anni dopo accade esattamente il contrario perchè i miei genitori trasferiscono la residenza a Nerviano, ma io ormai ho tutti gli amici a Rho, in particolare Alberto Garavaglia e Fabrizio Grancini, così mi iscrivo ai corsi di pallacanestro organizzati dal CMB. Nella società di coach Gurioli gioco nelle categorie Propaganda, Ragazzi e dopo un’amichevole evidentemente molto positiva, coach Cedro Galli, responsabile delle giovanili Pallacanestro Varese, mi mette gli occhi addosso. Al termine di una rapida trattativa mi trasferisco al Campus Varese e già a livello Allievi ho la fortuna di vivere subito emozioni straordinarie con il raggiungimento delle Finali Nazionali che si giocano a Pesaro. Finali che, però, ci riservano anche la prima delusione dal momento che la finalissima per lo scudetto premia la Glaxo Verona. L’anno successivo, categoria Cadetti, il nostro gruppo passa nelle mani di coach Dodo Colombo, allenatore e uomo al quale personalmente devo moltissimo”.

Come mai questo pensiero dedicato al carissimo Dodo?
Colombo, personaggio sempre sincero, è stato davvero importante, oserei dire fondamentale per la mia crescita umana e tecnica. Dodo nei miei confronti è stato sempre molto schietto, spesso duro e comunque senza fronzoli nel mettermi di fronte alle mie difficoltà facendo giustamente leva su una regola: allenarsi duramente, ma sempre col sorriso sulle labbra, sempre divertendosi perchè, diceva, lavorare è tutt’altra cosa. Coach Colombo mi segnalava che a 15 anni avere un atteggiamento “triste”, o comunque troppo serio nella pallacanestro, era sbagliato. Devo ammettere che ho impiegato un po’ di tempo per capire la bella lezione trasmessa da Dodo, ma alla fine, complice anche una lunga chiacchierata chiarificatrice, ho assorbito pienamente il suo messaggio: il gruppo e il sostegno reciproco vanno messi in prima fila insieme alla crescita individuale che, in ordine importanza, viene molto prima della vittoria. Superfluo aggiungere che le cose da lì in poi sono andate sempre meglio”.

E, sarà forse un caso, ma da lì in avanti per te e per il tuo gruppo fioccano gli scudettini.
“Penso che l’annata trascorsa con coach Colombo – continua Fritz -, sia servita per depositare insegnamenti importanti per tutto il nostro gruppo. L’anno successivo, categoria Cadetti, di nuovo allenati da coach Cedro Galli, ci trova infatti mentalmente più maturi e pronti per riprenderci quello che avevamo lasciato nel palazzetto di Pesaro: lo scudetto. Dopo una bella cavalcata nelle fasi regionali e di qualificazione arriviamo alle Finali Nazionali davvero tosti e al termine di una finalissima accesa e combattuta battiamo gli eterni rivali di Milano di un punto mettendo in mostra soprattutto la forza di un gruppo – Jack Ucelli, Cecco, Lollo Gergati, Riva Margaritella, Cola, Moraghi, Lorenzo Colombo, Alberti, Frattini – straordinariamente compatto”.

Con lo stesso gruppo conquistate anche lo scudetto Juniores.
“Esatto. Quasi a voler testimoniare della nostra grandissima coesione, con in più solo “Cigno” Mariani, portiamo a casa anche lo scudetto Junior la cui conquista è a mio parere abbastanza sorprendente. Prima di tutto perché rispetto a squadroni come Siena o Milano noi partiamo decisamente da sfavoriti. In seconda battuta perché, oltretutto, arriviamo alle Finali Nazionali messi abbastanza male fisicamente. Eppure, ancora una volta, nei momenti che contano emergono le qualità extra tecniche caratterizzano il nostro gruppo: solidità, carattere, grinta e unione. La fotografia di quell’impresa è ben rappresentata dalla semifinale vinta contro Milano. Al 36° siamo sotto 11 punti, ma siccome in campo “si vince o si muore” noi preferiamo la seconda opzione. Quindi, pressing tutto campo e in un diluvio di energie recuperiamo e battiamo Milano sul filo di lana. Poi, in finale, ormai caricati a molla, spazziamo via abbastanza facilmente Siena”.

A livello Cadetti inizia anche la tua frequentazione con la Nazionali giovanili.
“Gli allenatori delle giovanili azzurre dopo avermi visto in azione nel Trofeo Rizzi mi convocano e, stranamente, con la maglia dell’Italia farò tutta la trafila: Nazionale Cadetti, Juniores e Under 20”.

Perché usi la parola “stranamente”?
“Beh, se io facevo parte di quella nazionale, per di più con un impiego abbastanza consistente – commenta in tono auto ironico il “Ponc” -, significa che il livello del basket italiano cominciava a dare segni di decadimento. Infatti, a parte Cavaliero, Cusin e qualche giro da “sparring” di Fantoni, nessun altro di quel gruppo è diventato davvero un top-player. Però, almeno quello, ci siamo divertiti e abbiamo messo via una buonissima esperienza tecnica e umana”.

Da giovanissimo cominciano anche i tuoi approcci col basket senior.
“A 17 anni sono nella rosa del gruppo Campus che gioca in serie B2 avendone acquisito i diritti da Gavirate. Al di là del risultato finale – retrocessione in serie C1 -, per me si tratta di una stagione comunque importante perché da giocatori super esperti e di grandissimo talento come Del Torchio, Laudi e Orrigoni. Nelle due stagioni successive, molto impegnative, mi divido tra campionato juniores e senior, ancora nel Campus in serie C1 con i coach Carlo Colombo prima e Alberto Zambelli, per due campionati belli, formativi e con buoni risultati dal momento che con squadre giovanissime raggiungiamo i playoff. Poi, dopo 7 anni, lascio Varese per iniziare, nella Sangiorgese, quella che considero la vera carriera tra i senior poiché, come puoi ben immaginare, al Campus si giocava sempre gettando un occhio attento, e determinante, alla crescita dei giovani”.

E come sono i primi anni “veri”?
“Abbastanza deludenti perchè, se parliamo solo di risultati, culminano con due retrocessioni consecutive. Però, è vero che spesso si impara di più nelle situazioni negative, così dopo un anno di transizione in Pallacanestro Legnano torno alla Sangio, in serie C1, prontissimo per dare il via, insieme ai miei compagni, al ciclo che nel giro di tre anni ci porterà di nuovo in serie B2”.

Ed è proprio in questo periodo che ti costruisci la fama di giocatore utile, quasi indispensabile, direi.
“Penso che allenatori e compagni abbiano sempre apprezzato la mia generosità e il mio desiderio di voler sempre essere utile alla squadra in qualsiasi situazione e a fronte di qualsiasi richiesta. Serve un “bloccone”? Un rimbalzo decisivo? Un tuffo per un recuperare un pallone? Un aiuto difensivo? Una stoppata? Ecco, io ci sono. Ci sono sempre stato, per mettere a tabellino queste giocate essenziali che, secondo me, costituiscono i collanti che tengono unite le squadre”.

Cosa succede in serie B?
“Non succede nulla perché, purtroppo, il club fa altre scelte e non mi conferma. Così resto a Gazzada in serie C1 in un gruppo in cui ritrovo tanti compagni di viaggio: i “soliti” Laudi e Del Torchio, Frattini, John Mondello, De Lucia, Pellegrini, ma la tappa di Gazzada è solo l’inizio della fine perché a metà stagione mi sottopongo ad un intervento di pulizia ai tendini che, però, risolve ben poco. Così, a poco più di 30 anni, dopo un paio di stagione vissuta sul dolore fisico ad Arese e Cislago decido di smettere”.

Ho l’impressione che in carriera tu abbia raccolto meno di quanto avresti meritato, sei d’accordo?
“Questa è una domanda alla quale faccio fatica a rispondere. In tutta onestà direi che, parlando di categorie, e di cifre che alla fine hanno sempre il loro peso, con la serie B2 ho raggiunto il mio massimo livello. Poi, è chiaro, se avessi avuto la possibilità di giocare in B per tre-quattro campionati di fila e senza gli assillanti guai fisici ai tendini, forse le cose sarebbe andate diversamente. Ma, realisticamente, ci sono di mezzo troppi “se” e io, anche per formazione mentale, sono abituato a ragionare in termini concreti. Alla fine del mio percorso agonistico mi resta, vivo e presente, il rammarico di aver giocato poco a livello senior”.

In definitiva cosa ti ha dato la pallacanestro?
“Innanzitutto mi ha regalato la possibilità di vivere una stupenda gioventù, ricca di momenti emozionanti, di adrenalina, di risate forti e sincere, di amicizie che solo al livello giovanile puoi vivere in grande libertà e con estrema genuinità. Il basket mi ha permesso di conoscere e apprezzare tantissime persone e, di più, mi ha insegnato come si fa a lavorare in gruppo facendomi capire l’importanza della collaborazione nel rispetto dei ruoli reciproci. Una lezione che mi è tuttora di aiuto nell’attività lavorativa quotidiana nell’azienda di famiglia”.

In conclusione, come sempre, c’è la rubrica “Thanks for the memories”. Cominciamo dagli allenatori.
“Di coach Dodo Colombo, al quale devo tanto, ho già detto. Accanto a lui ricordo con grande piacere Roberto “Sem” Bianchi e Dante Gurioli a Rho; Cedro Galli, Andrea Schiavi, Federico Eleni e Paolo Nicora a Varese”.

Avversari più rognosi?
“Cervi, ala di Correggio insieme ai ben noti Benzoni e Allegri. Nelle minors un trio praticamente immarcabile”.   

Compagni di squadra?
“Mando un abbraccio sincero a tutti i ragazzi del gruppo ’84-’85 consapevole che il ricordo dei due scudetti vinti resterà per sempre nella nostra testa e nell’albo d’oro delle vittorie varesine Poi voglio ricordare il talento pazzesco di Michelino Zanatta, uno che sapeva fare canestro in mille modi diversi e, infine, il piacere di aver giocato in momenti diversi con “i Tavernelli”, papà Stefano, e il figlio Ricky. Bella storia, davvero”.

Massimo Turconi

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