Prosegue il nostro viaggio nella famiglia dei fratelli Caccia. Dopo Carlo e Luigi quest’oggi è il turno di Giovanni.

Giovanni, tra i Caccia, il più fisicato, 188 cm., braccia lunghe, due spalle così, anche lui mani buonissime che, del resto lo avrete già capito da un pezzo, sono un “trade mark” di famiglia. Giovanni, che aveva il talento, il passo e la capacità di giocare in tutti e tre i ruoli esterni, ma ha certamente dato il meglio di se stesso in cabina di regia essendo dotato di notevole comprensione e visione “anticipata” del gioco e fondamentali raffinati sia in avvicinamento al ferro, sia dal perimetro. Giovanni che, a come tutti i Caccia, ha varcato con entrambi i piedi la porta del sogno ma, “uccisi” dallo stesso destino, ne è uscito rapidamente. E, anche per lui, non resta che pronunciare una sola frase: “Peccato, sarebbe stato bello vederlo…”

“Dopo gli anni di giovanili nella Cestistica Bustese e successivamente Omega Bilance anch’io, senza troppa fortuna come del resto i miei fratelli e mio cugino, faccio la mia apparizione nel roster della prima squadra ai tempi d’oro dell’Omega in Serie B, esattamente nell’anno 1979-1980, ovvero nella stagione in cui a Busto Arsizio mettono insieme una squadra che, sulla carta, avrebbe dovuto conquistare la serie A2 in carrozza. Al contrario quel gruppo pur essendo dotato di tanti giocatori di alto livello non riesce a creare un vero amalgama; la famosa “chimica di squadra” non scatta mai, non produce la classica formula vincente e, di fatto, combina davvero poco. Così, quell’annata sotto il profilo tecnico risulta essere davvero deludente. Un po’ me ne rammarico perchè, da ragazzo innamorato della pallacanestro, avevo sognato come tutti di far parte della prima squadra e avevo idealizzato, forse troppo, il momento in cui sarei effettivamente entrato nel mondo dei senior. Tuttavia, alla resa dei conti, di quell’unica stagione vissuta ad alto livello mi rimane il piacere di aver messo il piede in campo in Serie B perchè ad un certo punto della stagione il capo allenatore Silvio Bertacchi viene esonerato e coach Paolo Galli, il papà-tecnico di tutti noi, mi butta in campo facendomi giocare in diverse partite nelle quali, a detta di tutti, me la cavo abbastanza bene proponendo quell’energia e quella freschezza che giocatori dai nomi più altisonanti, ma demotivati, non riescono a dare. Ma, evidentemente, tutto questo darsi da fare non porta a nulla perchè l’anno successivo, in ottica prima squadra, non sono nemmeno preso in considerazione così, come già capitato a mio cugino Carlo e mio fratello Luigi, mi tocca la trafila del pellegrinaggio nelle serie minori che, per me, nel 1980 – 1981 parte da Lonate Pozzolo in Serie D”.

Cosa racconti del tuo “viaggio” nelle “minors”
“Conservo solo gradevoli ricordi sia legati agli aspetti agonistici, sia soprattutto alle persone che ho avutola fortuna di conoscere: compagni di squadra, staff tecnici e dirigenti. Da tutti ho ricevuto qual “qualcosa” che in fondo, molto più di vittorie e sconfitte, rappresenta il vero “sapore” del giocare a basket in quelle categorie. Come dicevo muovo i primi veri passi nel mondo senior a Lonate, ma l’anno dopo sono ad Angera in un famoso e illegale squadrone – Dellacà, Massimo Collitorti, Crippa e così via -, che vince il campionato di Promozione danzando ma, come già citato da altri, a causa della morte in corso d’opera del munifico presidente Zanitelli sarà costretto a rinunciare ad un futuro che, molto probabilmente, avrebbe avuto contorni brillantissimi. Dopo Angera mi trasferisco a Somma Lombardo, in un’altra squadra molto forte e attrezzata con la quale vinco ancora il campionato di Promozione salendo in Serie D, mentre per i due anni successivi ci salviamo senza troppi patemi. Poi, a metà degli anni ’80, gli impegni lavorativi e soprattutto gli orari del negozio di famiglia costituiscono un impedimento reale e non mi consentono di proseguire con la pallacanestro giocata ad un certo livello, quello tra Serie D e C. Sostanzialmente per questa ragione, il basket scivola decisamente in secondo piano assumendo la dimensione di passione amatoriale. Così torno anch’io a casa per giocare alcune stagioni nel CAS Sacconago in Promozione e in seguito nella Cestistica Borsanese in Prima Divisione ma, è doveroso e doloroso ammetterlo, credo di aver smesso troppo presto e per dirla in altro modo, il mio bello nella pallacanestro doveva ancora arrivare”.

Quindi, in un attimo siamo alle tue scelte finali. Qual è l’allenatore “della vita”? Qual è il tuo quintetto? Anche tu un “poker” di Caccia?
“Per la figura di coach mi oriento su due personaggi importanti. Il primo anche per me è Paolo Galli che, è già stato detto dai miei fratelli e da mio cugino Carlo, ci ha plasmati tutti quanti. Il secondo è il Professor Sergio Bernareggi, un ottimo allenatore che a cavallo tra le categorie Cadetti e Juniores ha avuto una parte importante nella mia formazione tecnica. Con coach Bernareggi, insegnante di educazione fisica già allora all’avanguardia per la sua metodologia, sono migliorato tantissimo anche sotto il profilo atletico portando con me un bagaglio importante anche a livello senior. Invece, per il mio quintetto “All Star” scelgo anch’io “I 4 Caccia”, ma come quinto elemento scelgo Danilo Bonato, mio compagno negli anni a Somma Lombardo, giocatore estroso, grande lottatore, dotato di notevole atletismo, buonissimo talento e con caratteristiche tecniche complementari alle mie. Danilo è stato anche, soprattutto un giocatore generoso, dotato di un fortissimo spirito di squadra e di grande empatia. Non a caso è diventato il mio compagno di una vita, oggi grande amico con cui mi vedo e frequento tuttora”.

Massimo Turconi

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