Erano gli anni ’60 e la Pro Patria giocava gagliardamente ai vertici della Serie B quando si iniziò a parlare di “effetto farfalla”, teoria secondo cui il battito di ali di un gabbiano o di una farfalla sarebbe stato in grado di alterare il clima mondiale per sempre. C’è chi ci crede e chi no, sta di fatto che qualcosa d’impercettibile può far scricchiolare anche il più mastodontico dei palazzi, anche la più bella delle squadre.

Partiamo da qui: è l’Aprile del 2021 e la Pro Patria secondo chi scrive più bella e forte per distacco dell’era Patrizia Testa e Sandro Turotti sta giocando il derby del Ticino contro il Novara ed è sotto. Ci sono ampi spazi per il Novara perché ormai manca poco e si tentano gli ultimi disperati assalti. Contropiede: Lanini scatta Lombardoni insegue, duello tra giocatori almeno da Serie B. Uno scatta ancora, l’altro no, crolla. Crolla per poco perché stoicamente su una gamba si porta fuori dal campo, non c’è tempo da perdere ma non riesce a continuare: la Pro chiude in 10. Ho avuto il privilegio di poter vivere dal vivo quella stagione in cui gli stadi erano chiusi e così con il mio compagno di viaggio Andrea ci confrontiamo subito su cosa possa essere: pare una storta, nulla di che così su due piedi. Eppure da quella caduta, inizia a crollare anche una Pro Patria fortissima, in quel momento in lotta per il terzo posto. Inizia un’escalation tremenda di infortuni che fa arrivare la truppa di Javorcic ai playoff più che decimata. 

La diagnosi, peraltro, è tremenda: Manuel Lombardoni, difensore maestoso, di un’eleganza incredibile con piedi con mirino incorporato e tempismo da veterano, ha appena rotto il tendine d’achille. Inizia così un lungo calvario, ma nella nostra intervista odierna, c’è molto altro:

Partiamo dal presente, che fotografia fai del momento attuale?
“Vedo un momento in cui la squadra ha fatto prestazioni buone, non posso dire ottime anche perché penso ci siano state partite in cui ci bastava veramente poco in più, soprattutto di recente, per prenderci i tre punti che invece sono arrivati solo con l’Atalanta. Dobbiamo continuare per la nostra strada migliorandoci e cercando di prendere meno gol possibili, dobbiamo partire da quello per trovare i punti utili alla salvezza”.

Hai 25 anni eppure sei già un leader, un simbolo, un veterano… del mondo Pro Patria.
“Sì sono qui da tempo e conosco bene l’ambiente, questo mi fa solo che piacere. Non sono una persona che parla tanto, anzi, tanto che tendo a voler essere un riferimento attraverso l’atteggiamento e con i fatti. Quando un compagno necessita di una parola o di un gesto non mi tiro indietro anzi, lo faccio volentieri”.

Andiamo con ordine, è il Luglio del 2018 ed esce un titolo su un sito web: COLPACCIO DELLA PRO PATRIA: PRESO LOMBARDONI. Analizziamo una ad una le tue stagioni pre-infortunio qui?
“Lo reputo un gran percorso, sono arrivato il primo anno per la prima esperienza nel calcio dei grandi ed è stata una stagione tanto di transizione quanto utile, c’era Zaro centrale ed io giocavo sul centro destra o sinistra ed è stato l’anno in cui ho conosciuto il calcio vero. La stagione successiva, poi interrotta, è quella che ha significato il passaggio al centro della difesa per me, ogni anno quindi mi ha dato ed insegnato qualcosa in più, per ciò parlo di percorso. L’ultimo anno di Javorcic credo sia quello che sia personalmente che come collettivo abbia dato grandi soddisfazioni con una sfortuna incredibile nel finale perché siamo passati dall’essere lanciati al completo al mio infortunio a Busto e poi altri due una settimana dopo a Gorgonzola prima di altri vari acciacchi. Finale sfortunatissimo di una stagione piena di soddisfazioni”.

Sarò diretto: il sottoscritto vede nell’ultima Pro Patria di Javorcic il più grande rimpianto, era fortissima e lanciata, una serie di infortuni tremendi, ha tarpato le ali ad un sogno che stava nascendo.
“Nel calcio non ci sono certezze, quindi poteva succedere qualsiasi cosa come sempre. Però sono convinto che senza quegli infortuni, per il percorso che avevamo fatto e per l’affiatamento che c’era in spogliatoio, ai playoff e nel finale di campionato, al completo, avremmo potuto dire la nostra. Poi ripeto, mai dire mai: potevamo uscire subito come dare filo da torcere a tutti per vari turni, resta il grande rimpianto per quello che poteva essere e non è stato”.

Passiamo a quel terribile infortunio, peraltro l’inizio di un calvario, la tifoseria ha atteso il tuo rientro per parecchio tempo.
“Sì senza dubbio. Sul momento, come hai detto nella premessa, non mi ero reso conto della gravità dell’infortunio ma la prima risonanza non ha lasciato dubbi. Anche in quel caso, però, posso dire di essermi reso conto di quanto fosse grave il tutto solo con il passare del tempo. Quando si parla di un infortunio come il mio o come la rottura del legamento crociato, si parla di un qualcosa che, volente o nolente, cambia il giocatore per sempre. Non sarai mai più uguale identico a prima: l’anatomia del corpo cambia, vi sono compensazioni anche totalmente involontarie che però arrivano e che non faranno mai tornare l’infortunato la fotocopia di quel che era in precedenza. Nel mio percorso di rientro è vero, ci sono stati vari problemi, alcune situazioni probabilmente potevano essere gestite meglio però alla fine sono riuscito ad affidarmi alle persone giuste che mi hanno fatto prima guarire e poi rientrare piano piano. Lo scorso anno per esempio ho avuto vari problemi fisici legati a quello che è stato praticamente un anno di inattività, posso dirmi soddisfatto delle prestazioni ed un po’ meno del numero di partite che sono riuscito a giocare nella stagione passata”.

Torniamo alla stagione del tuo infortunio, su alcuni articoli e su varie bocche c’erano pochi dubbi: Gatti e Lombardoni, protagonisti di una stagione fenomenale, sono pronti al salto di categoria. C’era questa possibilità e poi è naufragata, momentaneamente, per l’incidente di percorso?
“Voglio essere onesto in tutto e per tutto: il campionato era ancora in corso e quindi non ci pensavo, volevo continuare a fare bene con la Pro arrivando più in alto possibile, quindi non sapevo se ci fosse qualche richiesta per me anche se personalmente penso fosse una bella stagione a livello personale che avrebbe potuto darmi qualche opportunità anche di fare il salto di categoria, poi però è successo quello che è successo quindi non c’è nemmeno stato il pensiero o il tempo di capire se ci fosse qualche interesse concreto”.

Altro pensiero personale: Manuel Lombardoni per varie caratteristiche può diventare più forte di Federico Gatti a cui ha giocato a fianco un anno e che è una colonna portante della Juventus attuale.
“Federico merita solo complimenti, il suo percorso parla da sé ed è da applaudire. Per assurdo appena arrivato a Busto aveva le credenziali di un giocatore in arrivo dalla Serie D, inizialmente fece anche un poco di fatica ma è proprio questo che sottolinea gli ingredienti che hanno caratterizzato il suo percorso: fame e voglia di emergere. Ovunque è andato, a Busto, a Frosinone, a Torino… Si è conquistato sul campo e con le prestazioni quanto ha raccolto meritatamente. Io voglio continuare a fare il mio percorso, migliorandolo un gradino per volta”.

Due nomi: Ivan Javorcic e Stefano Vecchi. Sono i due tecnici che ti hanno dato di più?
“Sì senza dubbio, peraltro le analogie tra di loro sono parecchie anche legandole al sottoscritto. Entrambi sono due gran lavoratori, precisi, non di tante parole che con i fatti però fanno capire cosa vogliono e riescono a tirarlo fuori dal calciatore. Hanno entrambi una grande attenzione nella preparazione alla partita ed allo svolgimento dell’allenamento in settimana. Mister Vecchi l’ho avuto in primavera all’Inter e sia lui che la compagine nerazzurra sono stati una scuola di vita e di calcio per me. Sei già in primavera ma il calciatore, ed anche l’uomo, sono ancora in costruzione e Vecchi è stato molto importante per la mia crescita. Stesso discorso posso farlo per Javorcic perché è stato il mio primo allenatore nel calcio professionistico qui alla Pro, mi ha accolto prima ed insegnato tanto poi con un’etica del lavoro importantissima con cui ha messo altri mattoncini fondamentali per la mia crescita”.

C’è una bella coincidenza: l’ultimo scudetto primavera dell’Inter è stato vinto da Moretti e Rovida due anni fa. L’ultimo vinto prima del loro, era stato alzato nel 2018 da te. Che ricordi hai a riguardo?
“Ricordi splendidi per tutto il mix che ho potuto vivere: abbiamo vinto ed è quel che alla fine conta, ma lo abbiamo fatto in un ambiente di una professionalità incredibile con strutture pazzesche in cui crescere e vivere è un piacere, poi quando arrivano le vittorie è davvero il massimo”.

Era una primavera veramente forte, c’era anche Nicolò Zaniolo: si vedeva che avrebbe avuto davanti un gran percorso? E’ davvero una testa calda come dicono?
“Era un’Inter primavera molto forte, quello ha contribuito senza dubbio ai successi. Zaniolo penso avesse, ed abbia, qualità fisiche veramente fuori dalla norma, accompagnate da una buona tecnica. Anche lui ha avuto non uno ma due infortuni pesantissimi come la rottura del crociato e mi rifaccio a quanto ho detto prima anche riguardo al mio infortunio. Li ha avuti dopo l’exploit grandioso che aveva avuto alla Roma con Di Francesco e questo può aver rallentato il suo percorso che era, è e sarà veramente invidiabile sia a livello di club che in Nazionale. Parliamo di un ragazzo che ama scherzare, non sarà il più tranquillo al mondo ma assolutamente nulla che possa impedirgli di proseguire il suo grande percorso”.

Quale tipo di attaccante ti mette più in difficoltà? Chi è il giocatore passato dalla Pro che più ti ha impressionato negli anni?
“Per le mie caratteristiche penso le sfide più difficili per me siano con attaccanti bravi nel breve e bravi ad attaccare la profondità. Per quanto riguarda la seconda domanda faccio due nomi: Gatti e Latte Lath. Il primo, come ho già detto, merita applausi per come si è imposto e per il percorso che sta facendo. Il secondo l’anno in cui ha giocato a Busto mi ha impressionato: era imprendibile e creava sempre qualcosa quando la palla arrivava davanti. Anche per lui parla il post-Pro Patria e l’attuale stagione, peraltro positiva, che sta facendo al Middlesbrough”.

Quali partite con la Pro porti più nel cuore?
“Scegliere è difficile, ti restano nel cuore quelle in cui arriva il risultato dopo che magari hai giocato bene oppure quelle con i punti che arrivano nel recupero. Per esempio Pro Patria – Piacenza dell’anno scorso è stata per cuori forti, gol loro al 96’ e salvezza rimandata ancora una volta poi cambio di fronte ed al 98’ pareggio di Chakir. Pazzesca. C’è anche una grande vittoria che ho nel cuore proprio della stagione grandiosa di cui abbiamo parlato: 2020-21, vittoria a Lecco per 0-1 con gol incredibile di Gatti nel finale. Sono quel tipo di partite che ti rimangono dentro”.

Che spiegazione ti sei dato al brusco calo dello scorso anno?
“Mi viene e mi è venuto difficilissimo spiegarmelo. Penso semplicemente sia stato un insieme di fattori, magari il calo contemporaneo di vari giocatori che nell’arco della stagione è normale, però viene compensato da chi sta meglio in quel determinato momento. Forse siamo calati di forma in troppi nello stesso periodo, ma viene veramente difficile spiegarselo, difficile parlare di appagamento perché quando vinci vuoi solo ed esclusivamente continuare a farlo. Chiaro che un crollo del genere dopo un grande exploit, in cui magari sei andato oltre le tue possibilità, suscita malcontento nel tifoso mentre invece un campionato mantenendo sempre una posizione media di classifica o meglio ancora finendo in risalita, rappresenta una chiusura diversa seppur con il medesimo risultato”.

A proposito di partite: praticamente ovunque c’è sempre la tua famiglia a vederti.
“I miei genitori, mia sorella e la mia ragazza sono quattro angoli che unendosi formano la base di un porto sicuro. Sono i miei pilastri, i miei punti di riferimento. Sono ciò in cui alimentare la mia gioia quando tutto va bene e ciò in cui trovare appoggio e consolazione quando qualcosa al campo va male o arriva una sconfitta”.

Chiudiamo con questa domanda: un difensore pazzesco come te, con piedi da regista, chi ha come esempio nel grande calcio? Bonucci? Cosa ne pensi di Chiellini, appena ritiratosi?
“Non ho mai avuto un esempio fisso o qualcuno in cui volessi rivedermi. Mi piace il calciatore che fa la giocata, che mette l’estro nel suo modo di intendere il calcio, alla fine in questo sport è quel che conta. Bonucci certamente è stato forse l’emblema del difensore tecnico utile alla costruzione dal basso, se poi aggiungiamo che accanto aveva due fenomeni come Barzagli e Chiellini con cui aveva caratteristiche diverse che si compensavano si formava qualcosa di veramente insormontabile. Chiellini, come si sta dicendo tanto in questi giorni, è stato il difensore per eccellenza. Il difensore, punto. Marcatura ed attenzione in tutti i 90 minuti più recupero da insegnare nelle scuole, ma non sto esagerando: chi vuole iniziare a giocare come difensore o maturare a livello difensivo, a mio dire deve guardare Chiellini come esempio. Penso sia stato semplicemente il numero uno in questi anni”.

Lucidità, serietà, la voglia di parlare di percorso, quando il suo è stato frenato bruscamente da un brutto infortunio che però non può minimamente minare una carriera a nostro dire che avrà tantissimo da dire e da dare al calcio. Manuel Lombardoni ci ha impressionato mentre ci parlavamo insieme per quanto appena detto e per la sua maturità, per rimanerne meno stupiti, però, basta dare un’occhiata al campo quando gioca. Calciatore totalmente fuori categoria, che sarà capace anche di superare quel battito di ali che in un attimo ha letteralmente tagliato le gambe a lui ed ad una Pro Patria grandiosa.

Alessandro Bianchi

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