Filippo Carrobbio, classe 1979, è molto diverso dal ragazzo ventunenne che nel luglio del 2000 arrivò a Varese per la sua prima stagione da protagonista nel calcio dei grandi con la maglia biancorossa. E’ un uomo molto cambiato sia perché è cresciuto, sia perché è passato dall’altra parte della barricata, da giocatore ad allenatore, ma soprattutto perché le note vicende legate al calcio scommesse lo hanno profondamente cambiato.
Pippo: via il dente, via il dolore ne vogliamo parlare? “Sicuramente, io non ho nessun problema. Ho sbagliato ed ho pagato a caro prezzo. La mia vita è completamente cambiata nell’arco di poche ore, la mia carriera da calciatore svanita in un attimo: avevo 32 anni e potevo dare e ricevere ancora tanto. Ho trovato dentro di me la forza di ripartire e l’ho voluto fare con tutto me stesso. Un’esperienza che mi ha fatto crescere molto caratterialmente, che mi ha modificato e che ha fatto aumentare in me la determinazione nel voler raggiungere gli obiettivi. Ho iniziato un nuovo percorso e spero di riuscire a trasmettere ai miei giocatori i giusti valori per cui scendere in campo ogni domenica. E’ comunque una cicatrice che mi porterò sempre dietro, che sarà sempre con me, per questo devo prendere il bene e accantonare il male”.
Quarantanove presenze e 5 reti in maglia biancorossa tra il 2000 e il 2002. Che ricordi hai di quelle stagioni?
“Ricordi bellissimi, è stata la mia prima stagione da protagonista nel calcio professionistico e in una formazione ambiziosa come era quel Varese. Il tandem Beretta-Capozzucca (mister e direttore ndr) erano due grandi esperti della categoria e avevano allestito due gruppi importanti. Nella mia seconda stagione abbiamo addirittura sfiorato i playoff, svaniti per un soffio alla penultima giornata nel pareggio interno con la Triestina (2-2 ndr) subito allo scadere. Era una squadra molto forte e per capirlo basta citare alcuni giocatori come Gasbarroni, Gasparetto, Centi, Fava e Gorini che come me sono poi stati protagonisti in B e hanno raggiunto la Serie A. Un gruppo spettacolare, un misto tra giocatori giovani ed esperti, un gruppo di amici in campo e anche fuori”.
Ti senti ancora con alcuni di loro?
“Gorini, Borghetti e anche Sorrentino a volte. A proposito: ricorda che mi hai promesso quando ci siamo visti all’andata di organizzare con loro una cena… siamo ormai a fine stagione, vedi tu!”
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, forzatamente come abbiamo visto, hai deciso di allenare. Tre stagioni al Cilverghe e ora altrettante al Brusaporto: come è maturata in te questa decisione, ci pensavi anche quando giocavi?
“La figura del mister mia ha sempre affascinato ed il mio ruolo di centrocampista mi ha aiutato. Nelle mie ultime stagioni a Grosseto, a Siena e anche a Spezia in campo cercavo già di dirigere la squadra dettando i tempi e il gioco, quello che ora faccio dalla panchina. Ti confesso che la stagione a Siena con Conte mi ha aperto un mondo che non conoscevo e che mi ha aiutato a capire tante cose”.
Domenica sarai al Franco Ossola con il tuo Brusaporto, la prima da ex come mister anche se come giocatore ti è già capitato due volte di incontrare il Varese.
“Nella stagione 2002-2003 ho affrontato i biancorossi con la maglia dell’Albinoleffe, finì 1-1 e fu una bella emozione perchè affrontavo tanti ex compagni dell’annata prima. Nel 2010 con la maglia del Siena nella gara di andata a Masnago (18 dicembre vittoria del Varese per 1-0 ndr) ero in tribuna, non ricordo se infortunato o squalificato ma mi fece molto piacere poter vedere i biancorossi in Serie B e con una squadra che ambiva ai playoff. Ora la situazione è molto diversa e me ne dispiaccio molto”.
A Brusaporto non ve la passate male invece…
“Dopo un periodo difficile ad inizio 2023 ci siamo ripresi con tre vittorie di fila e siamo finalmente fuori dalla zona retrocessione. Lo scorso anno abbiamo raggiunto un traguardo storico come i playoff, ora giochiamo sereni e consapevoli che possiamo centrare ancora questo obiettivo: ci proveremo fino all’ultima giornata”.
Hai parlato del Varese, come vedi i biancorossi?
“Vedo i risultati, leggo la classifica e non mi capacito. Non conosco le dinamiche interne, ma da fuori vedo un gruppo importante con giocatori che nel recentissimo passato hanno lasciato il segno in Serie D. E’ un ottimo gruppo con dei valori che non possono essere ignorati e sottovalutati. Come ti ho detto prima mi rincresce molto vederli in questa posizione e posso solo dire una cosa: su la testa e salvatevi!”.
C’è ancora un sogno nel cassetto?
“Non ho mai smesso di sognare e di credere nel mio futuro anche nei momenti più bui. Oltre al calcio, da quando sono ripartito, ho sempre fatto altro: ora lavoro in un centro Padel e seguo anche l’Accademia Calcio Membrese che ho rilevato un paio di anni fa. Faccio il papà di due ragazzi meravigliosi: Giacomo di 15 anni e Adelaide di 13, ma mi rimane ancora tempo per inseguire i miei sogni. Ho imparato: chi vivrà, vedrà. A proposito di sogni: non me lo chiedere nemmeno, domenica una maglia te la porto…”.
Michele Marocco
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